Il vescovo Bux: «A Rosarno immigrati accolti come fratelli»

Domenica, in tutte le chiese della diocesi di Oppido-Palmi, verrà letto il messaggio scritto dal vescovo Luciano Bux (che pubblichiamo di seguito) dopo la guerriglia urbana, con agguati e ferimenti, che per alcuni giorni, ha sconvolto la cittadina calabrese di Rosarno, nel cuore della piana di Gioia Tauro, contrapponendo lavoratori stranieri – in maggioranza giovani africani –  e residenti della zona, probabilmente manovrati dalla criminalità organizzata.

Dopo la confusa campagna dei mezzi di comunicazione, specie le tv a livello nazionale, e dopo tante dichiarazioni di personaggi locali e nazionali ritengo di dover dire una parola al clero e ai fedeli della nostra diocesi.
Tralascio ogni considerazione di carattere sociale, civile, politico e culturale: non si addicono a una sacra celebrazione. Ritengo sia mio grato dovere, di vescovo, dire un grazie al Signore per il comportamento della Chiesa di Oppido-Palmi non solo in questi giorni, ma per tutti i lunghi anni in cui è nato e cresciuto il fenomeno degli immigrati in diocesi, specie a Rosarno.
In tutti questi anni la nostra Chiesa ha dato esempio di come si possa essere “servi inutili” (Lc. 17, 10), a cominciare dal vescovo, ma servi che si sentiranno dire dal Signore: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto» (Mt. 25, 35).
Poi, il Signore dirà a tanti sacerdoti e laici di parrocchie, aggregazioni ecclesiali, organismi diocesani:  «Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamati amici» (Gv. 15, 17). La misericordia di Dio praticata dal nostro clero e dai nostri laici mi è stata di grande conforto nelle recenti tristi giornate. Abbiamo accolto gli immigrati non solo come persone umane, ma come nostri fratelli, a cominciare dai fedeli di Rosarno guidati dai sacerdoti operanti nelle tre parrocchie insieme ai diaconi e alle suore, fino a comunità e gruppi operanti in tante altre località della diocesi. Quando li abbiamo invitati, in anni diversi, a due convegni diocesani per rallegrare con la loro presenza e i loro canti i nostri intervalli di convegno, sono venuti con gioia, e più di uno rinunciando a mezza giornata di lavoro e di guadagno… Ricordo anche dei ragazzi stranieri e musulmani felici di far parte della squadretta di calcio parrocchiale… Dico:  “Grazie”  al Signore e grazie ai preti e ai laici che si sono affaticati con amore generoso per anni, non solo nei giorni passati.
A quei fedeli che sono stati solo a guardare dico:  ogni volta che vedete un essere umano che è nel bisogno, non state solo a guardare e a parlare, ma rimboccatevi le maniche e datevi da fare come potete per alleviare le loro sofferenze.  Questo ci insegna Gesù nella parabola del buon Samaritano (cfr. Lc. 10, 30 ss.).
Alle persone che vivono con la mente e il cuore lontano da Dio, anche se si mostrano religiosi credenti, ricordate loro che Gesù dice:  «Nessuno può servire due padroni, perché … si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro.  Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt. 6, 24).

Concludo con le parole che il Santo Padre, il Papa, ha pronunciato domenica scorsa, con attenzione anche alla nostra Terra:  «Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare nell’ambito del lavoro dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita».  «La violenza non deve essere mai, per nessuno, la via per risolvere le difficoltà.  Il problema è anzitutto umano.  Invito a guardare il volto dell’altro e a scoprire che egli ha un’anima, una storia e una vita:  è una persona e Dio lo ama come ama me».
O Signore, nostro e di tutti i popoli, o Signore della Chiesa e di questa Chiesa particolare che è in Oppido-Palmi, grazie a Te e grazie a voi, sacerdoti e fedeli. Per il futuro restiamo nella fedeltà al Vangelo di Gesù nostro Signore e alla Sua Chiesa, che è il Suo mistico Corpo.


Luciano Bux vescovo di Oppido-Palmi

http://www.avvenire.it/Cronaca/A+Rosarno+immigrati+accolti+come+fratelli_201001140832071970000.htm

Tormentoni: l’ora di religione

Come nel teatro d’avanspettacolo il “tormentone” era quella macchietta ricorrente che a senso, o no, interrompeva il corso della scena, così anche noi abbiamo i nostri “tormentoni”. Quello ferragostano 2009 sarà “L’ora di religione”. Il TAR del Lazio, una volta tanto, ha emesso una sentenza logica e motivata, degna di uno stato laico. La religione come materia facoltativa non deve dare adito a “crediti” e gli insegnanti relativi (designati dal vescovo, motu proprio, senza concorsi o inutili orpelli ma pagati dallo stato, cioè noi) non devono partecipare agli scrutini.

Apriti cielo! Mamma li turchi, episodio di “bieco illuminismo” (ma alla CEI chi glieli scrive i testi? Il portiere del “Bagaglino”?), discriminazione, la gelmina tuona “la religione cattolica esprime un patrimonio di storia, di valori e di tradizioni talmente importante che la sua unicità deve essere riconosciuta e tutelata. Una unicità che la scuola, pur nel rispetto di tutte le altre religioni, ha il dovere di riconoscere e valorizzare», insomma per dirla con Orwell, tutte le religioni sono uguali, ma una è più uguale delle altre. Bene. Viva.

Io, da cattolico affaticato ma praticante, condivido in pieno la sentenza del TAR. Mi piacerebbe vivere in un paese dove i vescovi facciano i vescovi (mestiere già complicato di suo), senza perdere tempo ed energie in nomine, sia che si tratti di fondazioni bancarie che di insegnanti pagati dal denaro pubblico. Un paese dove nelle scuole si insegni, con docenti formati nelle pubbliche università, la materia di “storia delle religioni” (tutte) e si lasciasse ai singoli e alle famiglia la cura dell’educazione religiosa. Il mio dissenso lo esprimo da anni, contribuendo alla auspicata povertà della Chiesa, destinando il mio 8 per mille alla Chiesa Valdese (fra l’altro fra i promotori dell’azione legale oggi conclusa dal TAR del Lazio). Vorrei una Chiesa che fosse Chiesa e uno Stato che fosse Stato. Senza Concordati, accordi vari e giochini di soldi o peggio ad intercorrere fra i due. Vorrei.

Tanto si sa come finirà, la gelmina ricorrerà al Consiglio di Stato e la questione sarà riportata nei binari della “normalità”. Soldi e potere. Business as usual.

Mi piacerebbe…

Mi ero appisolato nel meriggiare stanco e assorto. Nel dolce dormiveglia mi venivano in mente cose che mi piacerebbe fossero vere, o almeno possibili. Ho aperto un occhio, ho guardato il cielo, attraversato da una nuvola che sembrava un braccio alto levato. Mi sono riappisolato.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove chi non paga le tasse viene considerato un ladro e non un furbo.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove il termine “merito” valga per tutti, dove, davvero, anche il figlio di un immigrato possa diventare Presidente di qualcosa (se del Consiglio tanto meglio).

Mi piacerebbe vivere in un paese che si accorgesse che la cultura è decisiva  per il suo futuro e che potremmo vivere quasi di rendita mettendo a frutto il nostro patrimonio storico e artistico.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove un cattolico possa essere libero cittadino in libero stato, senza dover temere ogni giorno le reprimende di qualche represso pastore dismesso.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove arrangiarsi, fregare, farsi furbo, confondere privato e pubblico siano cose inconciliabili con la morale pubblica (e privata che è la stessa cosa).

Mi piacerebbe vivere in un paese dove ci fosse una morale.

Mi piacerebbe vivere in un paese di cui non devo vergognarmi ogni volta che vado all’estero.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove i vescovi non debbano nominare membri in consigli di amministrazione di fondazioni bancarie o simili.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove i dirigenti debbano rispondere concretamente del loro operato e del loro stipendio.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove non possa esistere un gioco d’azzardo che promette ai cittadini 130 milioni di euro di vincita.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove prevalga l’etica della responsabilità.

Intanto continuo il mio pisolino, lasciando ai sogni il loro spazio (economico e politico) secondo il principio che “i sogni son desideri..di felicità”.

Quale spazzatura, quale disgusto, quale miseria

Da “Avvenire” di oggi:
Niente «silenzi di convenienza», parole appropriate
Caro Direttore,
è da un po’ di giorni che sento tanta amarezza nel mio animo, amarezza che a volte sfocia in rabbia. Sono un sacerdote e vostro abbonato da tanti anni, ma da sempre compero quotidianamente il giornale Avvenire. Vi ringrazio di tutto quello che fate perché si combatta e non ci si adatti alla cultura corrente, di massa, di profondo egoismo e di banalità sconcertante che si estende e domina cuori e menti di tanti giovani. Vi ringrazio delle vostre battaglie su tantissimi temi. Ma sono deluso dal vostro atteggiamento circa quello che da settimane riempie alcuni giornali: la vita privata del presidente del Consiglio. Quale spazzatura, quale disgusto, quale miseria. Aveva ragione la moglie dicendo «Aiutatelo, è ammalato». E lui ora non nega lo squallore, ma lo indica come performance, come capacità, come virtù… Afferma: «Non sono un santo e gli italiani mi vogliono così». Ma quale falsità! Tanta è la mia sofferenza per il vostro atteggiamento di silenzio, di attesa di verifiche certe,, di… come il Tg! Ma perché non una parola chiara su quello squallore? Perché anche i Vescovi non sono così chiari e precisi come su tanti altri temi di morale? Perché, senza condannare il peccatore, non si dice quasi nulla di questo peccato d’immoralità? E lui se ne fa un vanto! Quanta sofferenza, quanta amarezza nel vedervi così quasi servili, così poco decisi e precisi a condannare una moralità così squallida che purtroppo inficia menti e cuori di tante persone, di tanti giovani. Dov’è la parola chiara, precisa, puntuale che condanna? E questo atteggiamento di prudenza (che io definisco di convenienza), non c’è solo su atteggiamenti di morale sessuale ma anche del dovere di accoglienza delle persone che fuggono dall’inferno e chiedono aiuto. Dov’è la tolleranza cristiana? Né sul suo giornale né nelle parole di tanti Vescovi c’è stata una condanna precisa, chiara, evangelica. Solo il mio vescovo , il cardinale Dionigi Tettamanzi e i Vescovi lombardi sono stati precisi sul dovere dell’accogliere. E li ringrazio di cuore. Ma non certamente la Cei né il quotidiano Avvenire. C’è tanta amarezza in me. Grazie dell’ospitalità per questo sfogo e grazie se risponderà e pubblicherà.

don Angelo Gornati, Limbiate

Risponde il Direttore:
Caro don Angelo, la sua lettera è giunta sul mio tavolo lo stesso giorno in cui un grande quotidiano nazionale titolava in prima pagina: «Berlusconi, spuntano altre ragazze / e il giornale dei vescovi lo attacca». E anche ieri lo stesso giornale è tornato ad argomentare con solerzia ancora in prima pagina e sempre a partire da ciò che su Avvenire era stato pubblicato. Lei mi dice che è sgomento per il nostro silenzio, mentre altri, prendendo al volo le nostre parole, ci fanno addirittura gridare. A chi devo credere? Per come sono fatto, credo a lei, e cerco di capire che cosa mi vuol dire. Non mi costa farlo, e non mi costa immaginare che cosa passa per la mente dei nostri preti in una stagione in cui la scena pubblica offre spettacoli niente affatto confortanti. Sono loro in trincea e più di tutti sanno quanto costa rappresentare alla gente le esigenze della vita cristiana. Eppure, proprio perché mi immedesimo nella sua delusione, don Angelo, non posso rinunciare a dirle come vedo le cose. E cioè che Avvenire non è stato zitto. Ha parlato sul tema a più riprese: con un fondo di Rossana Sisti, con un secondo fondo di Gianfranco Marcelli, con un terzo intervento di Piero Chinellato, infine con una mia risposta collettiva ad alcune lettere, che è il testo da cui ha attinto Repubblica per fare il titolo di cui dicevo. Vede, per i media nazionali la posizione di Avvenire è inequivocabile, glielo posso assicurare. E lo stesso mi sento di dire per i nostri Vescovi: sia il presidente cardinal Bagnasco sia il segretario generale monsignor Crociata hanno colto le occasioni pastorali che si sono presentate per prendere posizione in modo netto sul piano dei contenuti come della prassi. Chiunque è stato raggiunto dai loro interventi ha capito quello che si doveva capire: alla comunità cristiana tocca tenere alto il contenuto della fede, e non cedere a compromessi. Avvenire ha dato puntualmente conto di entrambe le loro prese di posizione. Per questo, pur con tutto il garbo possibile, non me la sento di accogliere la sua accusa di «convenienza». Non solo mi sembra ingenerosa, ma anche ingiusta. Provi a immaginare che cosa avrebbe fatto lei se nel Comune in cui opera si fosse presentata una situazione moralmente critica come quella nazionale. Avrebbe parlato chiaro, da prete, o avrebbe organizzato la dissidenza? Immagino che avrebbe fatto fino in fondo il prete. Che è, se ci pensa bene, esattamente la linea seguita dai Vescovi. Quanto agli immigrati, lei loda il pronunciamento dell’episcopato lombardo e ringrazia il suo arcivescovo, il cardinale Tettamanzi. E fa bene. Se, poi, avesse tenuto presente quanto il presidente della Cei aveva articolatamente detto a proposito della politica migratoria in occasione dell’assemblea generale dei Vescovi, non avrebbe colto divaricazioni. La cultura è naturalmente la stessa e anche l’approccio pastorale alla questione è il medesimo. Avvenire è stato zitto anche su questa tematica? Davvero difficile da sostenere e da dimostrare. Forse non s’è pronunciato in termini ‘da scomunica’ verso quanti operano in direzione opposta all’accoglienza. Ma lei crede che le parole grosse aiutino a convincere chi condivide e asseconda certe battaglie della Lega? Si sbaglia, don Angelo. Noi, rispetto ai problemi che pone l’immigrazione, dobbiamo parlare e muoverci in maniera da non perdere per strada la nostra gente, e non regalarla a posizioni culturali di chiusura. Dobbiamo invece con lucidità e lungimiranza continuare a tessere quello spirito comunitario che, per natura sua, è anche e necessariamente inclusivo. La saluto.

Pensierino domenicale

Come ci insegnavano una volta, la prima intenzione a Messa al momento della preghiera dei fedeli era “preghiamo perchè la Chiesa si converta”. E allora, oggi domenica, preghiamo per questo.

Perchè la Chiesa non debba più designare nessuno in fondazioni bancarie.

Perchè la Chiesa non debba mai interessarsi di consigli di amministrazione, interessi e nomine.

Perchè la Chiesa scelga sempre la strada della misericordia e non quella della condanna.

Perchè la Chiesa decida un bel giorno che può fare a meno di tutti i Concordati con gli Stati,utili solo a lucrare privilegi e favoritismi.

Perchè ci ricordiamo che esiste solo il Vangelo dei poveri e non quello dei ricchi.

Perchè nel credere vale anche lo stile di vita e non le parole. E la castità non è solo quella della carne, è anche quella che ci tiene lontano dal potere e dalla sua corruzione.

Perchè la Chiesa italiana si accorga del disastro morale in cui versa la società e si muova con gesti e parole profetiche.

Perchè la Chiesa dedichi almeno la metà dell’attenzione che mette sui temi della morale sessuale anche ai temi della povertà, della dignità umana e della pace (quella vera, che non è solo mancanza di guerre ma è soprattutto giustizia).

Per quanto mi riguarda, anche per quest’anno, devolverò il mio 8 p.mille alla Chiesa valdese. Diciamo che è il piccolo contributo di un credente alla povertà della Chiesa.

Cercasi persone smarrite

In questo turbinio di gonne, cosce, alcove, tresche e lenocinio mediatico mi sorge spontanea una preoccupazione: ma dove sono finiti i nostri defensores fidei? I Teodem, Teocon, Atei devoti, sacerdoti intrippati, mistici da pizzeria? La famiglia è sotto attacco, ma non una famiglia, no. LA famiglia di Arcore. E loro? Forse stanno preparando un nuovo Family day? Sono intenti a stampare i volantini e a preparare gli striscioni? A un primo colpo d’occhio gli unici striscioni che vedo sono i giornalisti che strisciano a terra, la lingua sulle scarpe dell’Homo priapicus. Ma forse mi sbaglio.
Sono certo che la Binetti sia intenta a stringere il cilicio sulle sue carni virginali per scontare i peccati del leader, mentre cardinali e monsignori si stanno mangiando le mani: “proprio stavolta che avevamo trovato uno che ci dava tutto, guarda che casino va a combinare! Ma facesse le sue cosine come tutti, in silenzio, discretamente, da bravo cattolico!”. Già, un bel problema, bisogna capirli, abituati a secoli di peccati discreti lavati con magnanimità nella penombra del confessionale, questo qua (che deve aver scambiato le pilloline blu per mentine all’anice) ti va ad esibire le sue demi-vierges in tv, a “Porca a porca”! Ah, non c’è più rispetto, non c’è più decoro, signora mia, dove andremo a finire? Già, dove andremo a finire? Quale sarà la prossima frontiera che il cavaliere azzurro (e glielo avevano detto che troppe pilloline blu danno quest’effetto secondario…) abbatterà per renderci ancora più liberi? Presentarsi davanti alle scuole con solo l’impermeabile addosso, aprirlo a sorpresa e poi dire che faceva lezioni di educazione sessuale alle giovani generazioni?

La nostra fantasia inciampa ma siamo certi che Lui ci saprà stupire, come sempre.

Mentre Silvio ci liberava…

Mentre Silvio ci liberava dai nostri inutili prìncipi, dalle nostre fisime morali, una domanda sorge spontanea: ma la Chiesa (leggi gerarchia) dov’era? Mentre veniva cancellata ogni remora all’illegalità, allo spreco, alla mercificazione, dov’erano i tanti vescovi, cardinali e compagnia orante? Ad un omino verde caduto nel nostro Belpaese sarebbe difficile capire come la nazione che ospita lo Stato della Chiesa, che rivendica le sue radici cristiane ogni giorno, prima e dopo i pasti, sia arrivato a questo degrado, a questa puttanizzazione a tappeto, a questo alzheimer di massa che ci troviamo a vivere ogni giorno. Magari si sarebbe aspettato cose simili in altre nazioni, ma in Italia! La cristiana Italia. E allora?

In un vecchio film di Bunuel un gruppo di frati, approdato in una locanda, si mescolava agli avventori. Quando parlavano secondo il vangelo, il regista li metteva dentro alle stanze, in mezzo alla gente, quando giocavano a carte, berciavano, lumavano le pupe, erano raffigurati fuori da quelle stanze, da soli, isolati. In Italia c’erano, tanti, monsignori e cardinali, a lusingare il potere, a rafforzare loro stessi il potere. Pochi a parlare del Vangelo, a vivere del Vangelo. E quei pochi regolarmente bastonati, isolati, messi in disparte.

Ogni credente sa che la propria esperienza di fede, la propria quotidiana conversione passa attraverso un rapporto diretto con qualcuno che vive il Vangelo, che ti rende partecipe della follia contenuta in quel libro. La gerarchia ha fatto altro in questi anni, ci ha abbandonato, ci ha lasciato isolati a difenderci, ognuno, come poteva, dall’ondata che ha travolto il nostro povero paese. Nella migliore delle ipotesi (si fa per dire).

Appello per una Chiesa più solidale e compassionevole

Appello per una chiesa più solidale e compassionevole

Molti fatti con i quali veniamo a contatto ci dicono che oggi la Chiesa tende progressivamente a isolarsi dal mondo contemporaneo. Molti uomini e donne, specie giovani, avvertono, da parte loro, una radicale estraneità dalla Chiesa. Tra Chiesa e società si è determinata una drammatica frattura su questioni importanti come la libertà di coscienza, i diritti umani (fuori e dentro la Chiesa), il pluralismo religioso, la laicità della politica e dello Stato. La Chiesa appare ripiegata su se stessa, chiusa e incapace di dialogare con gli uomini e le donne del nostro tempo.
Siamo molto preoccupati per le conseguenze negative che tale perdurante situazione produce per l’annuncio del Vangelo. Per questo, ci sembra saggio riprendere e rilanciare la feconda intuizione di Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II: quella di «un balzo in avanti» della Chiesa per una testimonianza in grado di rispondere «alle esigenze del nostro tempo».
Il tentativo in atto di contenere lo Spirito del Concilio è, a nostro avviso, un grave errore che, se perseguito fino in fondo, non può che aumentare in modo irreparabile lo steccato tra Chiesa e società, Vangelo e vita, annuncio e testimonianza. A noi sembra che l’insistere su visioni e norme anti-storiche o non biblicamente fondate o, talvolta, anti-cristiane, non aiuti la credibilità ecclesiale nell’annuncio del regno di Dio.
Vanno ripensati, ad esempio, le questioni riguardanti l’esercizio della collegialità episcopale e del primato papale, i criteri nella nomina dei vescovi che salvaguardino il pluralismo, la condizione dei divorziati, dei separati e delle persone omosessuali, l’accesso delle donne ai ministeri ecclesiali, la dignità del morire.
Vogliamo una Chiesa che non imponga mai a nessuno le proprie convinzioni sui problemi dell’etica e della politica e si fidi solo della forza libera e mite della fede e della grazia di Dio.
Vogliamo una Chiesa che pratichi la compassione e trovi nella pietà la sua gloria. E faccia sue le parole che il santo padre Giovanni XXIII incise sul frontone del Concilio: «Oggi la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi non rinnovando condanne ma mostrando la validità della sua dottrina… La Chiesa vuol mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà, anche verso i figli da lei separati».
Vogliamo una Chiesa che sappia dialogare con gli uomini e le donne e le loro culture, senza chiusure e condizionamenti ideologici, e impari ad ascoltare e a ricevere con gioia le cose vere e buone di cui gli interlocutori sono portatori. La verità e la bontà sono di Dio, il quale le dà a tutti gli uomini e non solo ai cristiani.
Vogliamo che al centro della Chiesa venga messo il Vangelo e la sua radicalità. Solo così la Chiesa potrà essere vista e sperimentata come “esperta in umanità”. È tempo che, senza paura, nella Chiesa e nella città prendiamo la parola da cristiani adulti e responsabili, pronti a rendere conto della speranza cristiana.

Palermo, 25 febbraio 2009

Promotori dell’appello sono alcuni sacerdoti e laici, non solo palermitani. In ordine alfabetico: Giuseppe Barbera (laico), Nino Fasullo (prete), Rosellina Garbo (laica), Rosario Giuè (prete), Tommaso Impellitteri (laico), Teresa Passatello (laica), Teresa Restivo (laica), Franco Romano (parroco), Zina Romeo (laica), Rosanna Rumore (laica), Cosimo Scordato (prete), Francesco Michele Stabile (parroco). All’appello, che finora ha raccolto più di 300 adesioni, hanno aderito i seguenti preti: Aurelio Antista, Liborio Asciutto, Gregorio Battaglia, Alberto Neglia, Giovanni Calcara, Gianni Novelli, Egidio Palombo.

L’intervista a don Rosario Giuè sarà scaricabile nei prossimi giorni dal sito: http://www.radio.rai.it/radio3/terzo_anello/facciaafaccia/index.cfm

Un consiglio: un libro

Oggi consiglio un libro di un amico e ottimo storico, Sergio Luzzatto: esce in questi giorni presso Manifestolibri. “I popoli felici non hanno storia”. E’ la raccolta di articoli che Luzzatto ha pubblicato sul Corriere della Sera.

Che cosa ha significato e cosa significa, per noi italiani, avere il papa in casa? Qual’è il rapporto fra passato e presente nella storia, ormai lunga, dei terroristi e del terrore? In che senso le discussioni dell’oggi sulle nuove frontiere della vita e della morte giadagnano a essere illuminate da vicende di ieri  o dell’altroieri?. Perchè l’interminabile conflitto fra israeleiani e palestinesi ci riguarda tutti, più di ogni altra guerra al mondo?

Sofferenze di un povero cattolico

Forse, proprio come disse una volta il teologo Ratzinger, oggi assurto ad alti incarichi, la Chiesa serve a far meritare il Paradiso ai poveri fedeli. Certamente ce la stanno mettendo tutta per farci arrivare in Paradiso, noi poveri credenti e incalliti peccatori. Dalle battaglie urlate sull’etica, alla compromissione con il potere (in Italia e ovunque ma soprattutto qui), alle improvvise aperture ai lefebrviani, alle scomuniche brasiliane e, fresca di stampa, il rifiuto del profilattico per combattere l’aids. Pietà l’è morta si diceva in tempo di guerra, e la guerra sembra continuare. Nessuna pietà, nessuna partecipazione al dolore dell’uomo. Una gerarchia fatta di anziani, chiusa in sè stessa e ai segni dei tempi. Impaurita. Come se avesse dimenticato che proprio Cristo ha già fatto tutto, ci ha riscattato dai nostri peccati. Ha voltato pagina. Ci ha amati, salvandoci, sacrificando se stesso per tutti. Con l’amore. Non con le scomuniche o andando a patti con l’Erode di turno. L’unica volta che davvero Cristo perde la pazienza è quando vede il tempio invaso dai cambiavalute e dai mercanti. Si fa una frusta e li caccia a calci nel sedere.

Che farebbe oggi tornando fra noi? Ogni giorno invece assistiamo a un passo indietro, nel silenzio di noi credenti che non abbiamo più voce. Chiese sempre più vuote, sacerdoti sempre più anziani e intristiti, ultras sempre più arroganti e integralisti. Una gerarchia che preferisce gli atei devoti ai credenti adulti. Una Chiesa che non evangelizza ma si chiude nelle sue paure. Un papa che rappresenta per la Chiesa quello che è stato Bush per gli USA: il momento più basso e di maggior distacco e isolamento. Ma ci sarà un Obama? Lasciamo fare alla Provvidenza che se ne intende, anche se in questi ultimi tempi deve essersi un po’ distratta. Capita anche ai migliori…