“Io non sono padano..”

LETTERA APERTA A UMBERTO BOSSI da Mario Badino cittadino italiano

Gentile signor Bossi,

 Le scrivo per dirle questo: benché settentrionale (al nord sono nato e cresciuto, ho studiato, lavoro) io non sono padano. Vivo ad Aosta, che fra l’altro è più “su” di casa sua, e mi trovo bene con i miei concittadini, tanto i valdostani autoctoni, quelli col cognome francese, quanto i veneti, i calabresi e oggi anche gli stranieri, figli e i nipoti – tutti quanti – di diverse migrazioni.

 

 Come settentrionale, sono stato abituato a credere in alcuni valori che sono di tutti, ma che i nordici hanno ascritto a se stessi (quasi ne avessimo l’esclusiva): l’efficienza, l’industriosità, l’educazione, l’onestà… Mio nonno, in proposito, era solito definire Milano la «capitale morale» del Paese (poi, però, c’è stata Tangentopoli).

Spesso, devo dire, i valori cui ho fatto riferimento qui sopra sono smentiti proprio dai settentrionali, perché non è vero che quassù le cose funzionano bene: abbiamo, anche noi, una rete ferroviaria disastrosa; anche nelle nostre regioni si stanno sistemando le mafie, con la complicità di chi dovrebbe vedere e invece chiude gli occhi; abbiamo una valanga di precari senza prospettive e tanta, troppa gente maleducata e pronta ad arraffare.

Sono i guasti, io credo, di una gestione del Paese nel suo insieme, che – dopo anni di presenza in Parlamento e al governo – vede la Lega seduta sul banco degli imputati accanto alle altre forze politiche, molte delle quali – del resto – guidate da uomini del nord.

 

Signor Bossi, il vento che soffia da nord è freddo. Nel senso di calcolatore, meschino. Un vento di padano egoismo, nato per affermare il diritto del ricco, del benestante, all’isolamento, all’arrocco sul proprio cucuzzolo montano, sul proprio crinale o campanile cinto di mura.

Quando ancora si chiamava lombarda, la Lega fece questo bel ragionamento: «Se noi siamo ricchi, perché non ci liberiamo degli altri?»; e così fu sacrificata la metà (e più) del Paese.

Ma pensa davvero che non avrà alcuna conseguenza l’odio per i meridionali e per gli stranieri che i suoi uomini alimentano in tutte le occasioni, dall’alto di un palco o attraverso un video pubblicato su YouTube? Oppure lodio, simmetrico e inverso al precedente, che i cittadini del sud o dei migranti potrebbero riversare sulle donne e gli uomini del nord?

 

Io sono stufo di vedere pagliacci in camicia verde pronti a proclamarsi artefici della «rivoluzione» (termine utilizzato dall’ineffabile Gentilini); naturalmente una rivoluzione “contro”, fatta per innalzare recinti e mettere di qua i “buoni”, di là i “cattivi”.

Non sopporto la repressione continua dei diritti e delle libertà, sia che si tratti dell’asilo negato ai migranti degli altri Paesi, sia che si tratti del mancato rispetto di un sistema di graduatorie nazionale che regola la libera circolazione dei funzionari delle pubbliche amministrazioni, della scuola.

Non ne posso più di sentire slogan come «prima i veneti», «prima i lombardi», oppure «esame di dialetto» (lo sa quanti “padani” doc sarebbero bocciati a questo accidenti di esame?).

Non ne posso più di gente che propone di sostituire Dante e Boccaccio con qualche scrittorucolo locale, soltanto in base al “diritto di residenza”.

Non ne posso più di padani razzisti e maleducati che pretendono scompartimenti separati in metropolitana, in base al criterio della residenza, o dicono che i napoletani «puzzano», salvo poi vantarsi di aver risolto l’emergenza rifiuti mettendo la monnezza sotto il tappeto (dei napoletani).

Ha detto Gentilini (ancora lui!) che il nord non deve accollarsi i rifiuti del sud. Ma se avviene esattamente il contrario, con le campagne meridionali che ricevono – nella noncuranza dell’esecutivo che lei rappresenta – i nostri rifiuti, per di più quelli tossici, che poi finiranno sulle nostre tavole sotto forma di verdura o mozzarella di bufala.

 

 Se essere padani significa costruire questo mondo, signor Bossi, io metto le mani avanti: io non voglio essere padano. Se non c’è altra soluzione, se i miei concittadini settentrionali continueranno a votare in massa per il suo partito ignorante e razzista, mi troverò costretto a rinnegare le mie origini e chiederò cittadinanza meridionale. Prenda questa lettera come un atto di abiura, come il rifiuto della divisa che gli obiettori di coscienza facevano in caserma, quando non esisteva il servizio civile. Prenda questa lettera per un attestato di disprezzo da parte mia per lei, per il suo movimento e tutto ciò che rappresenta.

Che caldo! Ridiamoci su…

Con il caldo che fa, nella torrida e umida Padania (solo un demente può aver pensato di farci una nazione con un clima così), raccogliamo questa storiella e sorridiamo in questo bel paese (si fa per dire):

Primo giorno di scuola, in una scuola americana, la maestra presenta alla classe un nuovo compagno arrivato negli Usa da pochi giorni: Sakiro Suzuki (figlio di un alto dirigente della Sony). Inizia la lezione e la maestra dice alla classe: «Adesso facciamo una prova di cultura. Vediamo se conoscete bene la storia americana. Chi disse: “Datemi la libertà o datemi la morte?”». La classe tace, ma Suzuki alza la mano. «Davvero lo sai, Suzuki? Allora dillo tu ai tuoi compagni!». «Fu Patrick Henry nel 1775 a Philadelphia!». «Molto bene, bravo Suzuki! E chi disse: “Il governo è il popolo, il popolo non deve scomparire nel nulla?”». Di nuovo Suzuki in piedi: «Abraham Lincoln nel 1863 a Washington!». La maestra, stupita, si rivolge allora alla classe: «Ragazzi, vergognatevi, Suzuki è giapponese, è appena arrivato nel nostro paese e conosce meglio la nostra storia di voi che ci siete nati!». Si sente una voce bassa bassa: «Vaffanculo a ‘sti bastardi giapponesi!!!». «Chi l’ha detto?», chiede indispettita la maestra. Suzuki alza la mano e, senza attendere, risponde: «Il generale Mac Arthur nel 1942 presso il Canale di Panama e Lee Iacocca nel 1982 alla riunione del Consiglio di amministrazione della General Motors a Detroit». La classe ammutolisce, ma si sente una voce dal fondo dire: «Mi viene da vomitare!». «Voglio sapere chi è stato a dire questo», urla la maestra. Suzuki risponde al volo: «George Bush Senior rivolgendosi al primo ministro Giapponese Tanaka durante il pranzo in suo onore nella residenza imperiale a Tokyo nel 1991». Uno dei ragazzi allora si alza ed esclama arrabbiato: «Succhiamelo!». «Adesso basta! Chi è stato a dire questo?», urla inviperita la maestra. Suzuki risponde imperterrito: «Bill Clinton a Monica Lewinsky nel 1997, a Washington, nello studio ovale della Casa Bianca». Un altro ragazzo si alza e urla: «Suzuki del cazzo!». Suzuki: «Valentino Rossi rivolgendosi a Ryo al Gran Premio del Sudafrica nel febbraio 2005». La classe esplode in urla di isteria, la maestra sviene. Si spalanca la porta ed entra il preside: «Cazzo, non ho mai visto un casino simile!». Suzuki: «Silvio Berlusconi, luglio 2008, nella sua Villa Certosa in Sardegna».

Finalmente il trionfo della Valbrembana!

Come dicevano quelli colti: “Oportet ut scandala eveniant” (é opportuno che gli scandali vengano alla luce), e quindi saluto con favore la proposta della lega (che, come dice mio figlio, non merita nemmeno la maiuscola) di introdurre test per gl insegnanti, in modo da valutare il loro legame con il territorio, la loro conoscenza di storia, usi, tradizioni e lingua.

Quindi, com’è giusto e logico, se sei in val Brembana devi sapere il dialetto valbrembanese. Se sei a Casina il casinese, a Leguigno il leguignese. Finalmente. Agli insegnanti nella nostra provincia sarà chiesto di saper fare i tortelli e l’erbazzone. Italiano e matematica seguiranno. In tempi in cui le frontiere cadono, giriamo il mondo con un click del mouse, volete mettere? Si torna al cortile di casa, all’odore di zuppa di cavolo, al totem della tribù, alle care cose di pessimo gusto del buon Gozzano (che vi informo, udite udite, è ancora insegnato nel 2009 nei nostri licei cittadini da specchiati insegnanti reggiani!).

E’ giusto mettere un test. Io lo metterei anche agli onorevoli (si fa per dire) della medesima lega, che forse di un ripassino hanno bisogno, pòver fioi (http://www.youtube.com/watch?v=zrKKT-Y531I), ma valutiamo il fatto positivo, il contributo alla chiarezza: leghisti sono e leghisti restano. E poi: fanno quasi tenerezza, terrorizzati e terrorizzanti, spaventati, convinti di chiudere il mondo dentro a un monolocale di Gavirate, spaventati e convinti di tornare al bel tempo antico (si fa per dire). Peccato che in quel bel tempo antico i loro paparini e nonni fossero emigranti, sporchi, puzzolenti e analfabeti, pronti a prendere legnate ad Aigues Mortes. Ma si sa, tutto si scorda. Però attenti! Perchè la regione con il più alto tasso di abbandono scolastico non è la Calabria ma il Veneto. E come diceva Prodi: non è concesso a più di una generazione essere ricchi ed ignoranti. Perchè poi tutto si paga e quindi fossi nei signori (si fa per dire) della lega io mi divertirei ora, finchè c’è la ricreazione, perchè il futuro è incerto.

Però. Però la lega c’è e dà risposte sbagliate a problemi che esistono. Insegnanti delle elementari reggiane che se ne escono con un “uscite i quaderni” o “scendilo il bambino” ci sono e resteranno lì. Del sud o no. C’è chi continuerà a insegnare Corazzini e non Montale, a pensare che sia esistito Napoleone II o a non sapere proprio chi fosse quel tal Lutero, come due maestre agenti nelle nostre scuole reggiane. La qualità non è nemmeno un optional, è uno strano animale sconosciuto ai più e di nessun valore nelle nostre scuole. Insegnanti che di libri leggono solo quelli di testo, che non vanno al cinema, a teatro. Che entrano in classe al mattino come fossero in fabbrica o al bar. E su questo dov’è stato il tanto vantato “riformismo” della sinistra in questi anni? Proposte vere? Nebbia in Val Padana. E poi ti arriva la Gelmini e sulla scuola tramonta il sole. Ma guarda un po’.

Comunque, anche se fuori età, nel mio curricolum inserirò la mia conoscenza del dialetto reggiano e migliarese. So come si fanno i casàgai e il gnocco fritto, so chi era Matilde e Iller Pataccini. Ho visto almeno 3 partite della Reggiana nel 1970. Gelmini, arrivo!

Auguri?

Non avesse incontrato il suo destino davanti a un plotone di esecuzione, il cav. Mussolini compirebbe oggi 126 anni. A Predappio sono attesi pullman e frotte di “gente”, lo stesso accade il 28 ottobre etc.. Sono oltre 100.000 le persone che ogni anno firmano il registro nella cripta della famiglia Mussolini.

E qui mi girano i cabasisi stile Agusta (modello elicottero). Come è possibile leggere sul “Carlino” di oggi, il sindaco della ridente località forlivese punta ad una trasformazione del suo comune in “un luogo dove si discute di storia e di architettura e non il teatro di queste tristi manifestazioni“. Lodevoli intenzioni o per dirla alla DeGaulle “vaste programme”. Poi la realtà la leggiamo fra le righe dell’articolo: 100.000 persone che vengono a parlare di storia e architettura? L’articolo è corredato da una foto eloquente. Quattro cefalopenici in posa nel cimitero locale in divisa (da sin. a d.: squadrista/marcia su Roma, Federale, gerarca, Federale) con tanto di saluto romano. Tralasciamo che nessun carabiniere se li sia presi e carcerati (non è apologia di fascismo questa??) e restiamo alle cose reali. 100.000 di questi signori portano un tot di euro, dall’anno scorso-bontà sua- il sindaco ha vietato la vendita di “manganelli, croci uncinate e magliette inneggianti all’odio razziale”, resta che Predappio è il luogo di discarica di un pattume di nostalgici, curiosi et similia, che viene tollerato e silenziosamente accettato.

Reinhard Heydrich, ucciso a Praga nel 1942 da partigiani cechi, ebbe funerali di Stato e una tomba mausoleo nel cimitero degli Invalidi a Berlino. Dopo la Liberazione la tomba fu fatta saltare in aria dai sovietici, la salma riesumata, cremata e le ceneri disperse. Stop. Il bunker della Cancelleria è ancora sotto qualche metro dalla nuova Berlino ma nessuno si sogna di riaprirlo (“tanto è storia”, direbbe qualche bello spirito) e lì altro che 100.000 visitatori! No. Esiste un limite. Esiste uno spartiacque, etico e pedagogico, prima che politico. Le salme dei condannati a Norimberga furono cremate e le ceneri disperse. Nessuna tomba per loro.

Noi abbiamo Predappio. In perfetto stile italiota: la famiglia prima di tutto, la finta pietà cristiana, l’ipocrisia dilagante. Nella cripta la salma del nonno, grand’uomo, ehh, signora mia, ce ne vorrebbe, furono gli altri a tradirlo.

Già mi immagino, 29 settembre 2019, 200.000 persone in visita ad Arcore. Nella cripta un altro nonno, il nonno satiro: grand’uomo, ehh, signora mia, ce ne vorrebbe, furono gli altri (e le altre) a tradirlo.

Bel paese, bel paese (si fa per dire).

p.s per i nostalgici mi scuso dell’accostamento indecente….

“Non so come..so soltanto che…”

Ringrazio l’amica Normanna che mi ha fatto arrivare questo intervento di don Emanuele Benatti (Centro Missionario Diocesano):

“Non so come… so soltanto che…
Sì, onestamente, non so come si chiamassero né quanti fossero, né quante donne avessero al seguito, tutti i signori convenuti a L’Aquila… So soltanto che hanno fatto di tutto per farsi vedere belli, giovanili, sorridenti, simpatici, eleganti, buoni, perfino responsabili e coscienziosi, meritevoli di attenzione…
Non so di quanti militari armati e di quali e quante armi strategiche hanno avuto bisogno per sentirsi tranquilli e sicuri, per sembrare appunto rilassati e rassicuranti… So soltanto, e per certo, che per settimane in Abruzzo la gente ha vissuto in stato di assedio, controllata giorno e notte, da soldati armati, inflessibili, esasperanti. E più di uno si è sentito soffocare e impazzire, nelle tende…
Non so, onestamente, quali impegni concreti si siano presi e quali accordi reali abbiamo fatto per andare via (come sempre!) tutti così contenti, con grande ostentazione di baci e abbracci, chissà forse anche con qualche lacrima… So soltanto che 2-3 miliardi di persone, nel mondo, senza televisione e senza forza per sorridere non si sono accorte di nulla, altri due miliardi avranno visto quello che sarà stato fatto loro vedere (e non ci avranno capito granchè), e tutti loro, 5 miliardi di persone non s’aspettavano nulla e nella loro vita non trarranno alcun beneficio da quelle firme, da quelle strette di mano e da quella prosopopea mediatica…
Non so, onestamente, se fra 20-30 anni (quando un decimo di quelle intese diventeranno, forse, operative), ci sarà ancora qualcuno di quei signori… So soltanto, e per certo, che un’ecatombe di quei 5 miliardi di persone, più deboli, saranno state lasciate o fatte sprofondare, scaricate da un sistema che cura nei dettagli le operazioni d’immagine dei vip, molto meno quelle di sostanza, riguardanti le moltitudini umane…
Non so neppure quanto l’Italia abbia speso per questa kermesse (pare dai 400 ai 500 milioni di euro), né quanto le promesse di aiuto serviranno all’Abruzzo o all’Africa, ripetutamente chiamata in causa… So soltanto che il terremoto non è ancora finito, e tanto meno sono finite le guerre in Congo, in Eritrea, in Somalia, in Sudan, nello Sri Lanka, in Afghanistan, in Medio Oriente, né sono finite le repressioni in Tibet, in Birmania, in Iran, nel Sahara occidentale…
Non so quanti africani in fuga dai loro Paesi in guerra e diretti in Europa siano già morti nelle acque del Mediterraneo e dell’Atlantico in questi 10 anni (dalle statistiche non meno di 50mila)… So soltanto, e chi ha visto il film documentario “Come un uomo sulla terra” ne ha avuto una ulteriore tragica conferma diretta, che sono decine di migliaia gli africani sballottati in Libia su containers d’origine italiana, uomini e donne venduti e rivenduti anche 5-6 volte per 30 denari libici (equivalenti a 50 euro) da poliziotti e da mercenari libici violenti, stupratori, analfabeti, pedine di una rete perfettamente organizzata che collabora col Governo italiano per bloccare sul nascere a tutti i costi il flusso migratorio verso l’Italia…
Non so neppure, francamente, quanto sia vero, come ha detto Obama in Ghana, subito dopo L’Aquila, che l’Africa può farcela, purchè sappia prendersi la responsabilità di combattere la corruzione e l’autoritarismo… So soltanto che chi da tempo insanguina e dissangua l’Africa sono le leggi del mercato e della finanza mondiale imposte per conto dei paesi forti dal FMI e della Banca mondiale, oltre alla perfidia di funzionari locali e internazionali senza scrupoli, promotori di traffici innumerevoli di organi, di persone, di armi, di rifiuti tossici, di droga, di pseudo-medicinali…
Non so quanto, dopo le promesse, il Governo italiano destinerà ai paesi poveri quest’anno (finora 321,8 milioni, vista la crisi!)… So soltanto che l’approvazione del bilancio per la fabbricazione di nuovi caccia-bombardieri F35, avvenuta nel maggio 2009, prevede una spesa di ben 15 miliardi di euro…
Non so che cosa abbia spinto Frattini ad affermare che a L’Aquila “c’è stata una svolta sul clima, perché tutti hanno ammesso l’allarme”… So soltanto che tutti gli ambientalisti, scienziati, sociologi, politici, giornalisti, teologi, pastori, persone normali che da decenni denunciano la gravità della situazione, sono stati regolarmente accusati di catastrofismo, di terrorismo ecologico, di falsità e di colpevole ignoranza…
Non so, sinceramente, se, come ha detto lo stesso Frattini, oltre ai 20 miliardi di dollari stanziati per lo sviluppo, sarà istituito un meccanismo di rendicontazione precisa circa la fedeltà dei Paesi donatori alle promesse fatte, per una effettiva erogazione dei fondi… So soltanto che l’Italia è uno dei paesi più inadempienti (Frattini ha promesso: “in tre anni recupereremo il ritardo”), che nessun G8 ha finora mantenuto le promesse, e che il fallimento degli obiettivi del millennio ne è una dimostrazione lampante…
Ancora, non so fino a quando resisterà la formula del G8 ormai palesemente obsoleta (tant’è vero che dal G8 si sta passando rapidamente al G20)… So soltanto che nel 1948 è stato istituito l’ONU come assemblea permanente consultiva e decisiva per il cammino dei popoli. Ora non so effettivamente quanto credito abbia l’ONU presso i signori del G8 o del G20… So soltanto che il G8 non gode di un credito maggiore presso la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, anzi…
Papa Benedetto, giustamente, ha invitato a pregare per il G8 e per quelli che governano il mondo. Non so, onestamente, quanti l’abbiano fatto, né con che spirito… So soltanto che io l’ho fatto, a fatica, perché ero fortemente tentato di seguire Beppe Grillo… Chissà che non sia stata una preghiera doppiamente efficace, o piuttosto doppiamente meritoria! Coi tempi che corrono, bisogna spigolare e raccogliere briciole per continuare a sperare e a lottare…
Comunque se i signori de L’Aquila vorranno veramente cambiare rotta, sappiano che molti lo stanno facendo da tempo: sono forse invisibili ai loro occhi, ma ci sono, un po’ più avanti di loro… e continueranno a farlo, anche senza di loro o contro le loro alleanze.

don Emanuele Benatti

Quale spazzatura, quale disgusto, quale miseria

Da “Avvenire” di oggi:
Niente «silenzi di convenienza», parole appropriate
Caro Direttore,
è da un po’ di giorni che sento tanta amarezza nel mio animo, amarezza che a volte sfocia in rabbia. Sono un sacerdote e vostro abbonato da tanti anni, ma da sempre compero quotidianamente il giornale Avvenire. Vi ringrazio di tutto quello che fate perché si combatta e non ci si adatti alla cultura corrente, di massa, di profondo egoismo e di banalità sconcertante che si estende e domina cuori e menti di tanti giovani. Vi ringrazio delle vostre battaglie su tantissimi temi. Ma sono deluso dal vostro atteggiamento circa quello che da settimane riempie alcuni giornali: la vita privata del presidente del Consiglio. Quale spazzatura, quale disgusto, quale miseria. Aveva ragione la moglie dicendo «Aiutatelo, è ammalato». E lui ora non nega lo squallore, ma lo indica come performance, come capacità, come virtù… Afferma: «Non sono un santo e gli italiani mi vogliono così». Ma quale falsità! Tanta è la mia sofferenza per il vostro atteggiamento di silenzio, di attesa di verifiche certe,, di… come il Tg! Ma perché non una parola chiara su quello squallore? Perché anche i Vescovi non sono così chiari e precisi come su tanti altri temi di morale? Perché, senza condannare il peccatore, non si dice quasi nulla di questo peccato d’immoralità? E lui se ne fa un vanto! Quanta sofferenza, quanta amarezza nel vedervi così quasi servili, così poco decisi e precisi a condannare una moralità così squallida che purtroppo inficia menti e cuori di tante persone, di tanti giovani. Dov’è la parola chiara, precisa, puntuale che condanna? E questo atteggiamento di prudenza (che io definisco di convenienza), non c’è solo su atteggiamenti di morale sessuale ma anche del dovere di accoglienza delle persone che fuggono dall’inferno e chiedono aiuto. Dov’è la tolleranza cristiana? Né sul suo giornale né nelle parole di tanti Vescovi c’è stata una condanna precisa, chiara, evangelica. Solo il mio vescovo , il cardinale Dionigi Tettamanzi e i Vescovi lombardi sono stati precisi sul dovere dell’accogliere. E li ringrazio di cuore. Ma non certamente la Cei né il quotidiano Avvenire. C’è tanta amarezza in me. Grazie dell’ospitalità per questo sfogo e grazie se risponderà e pubblicherà.

don Angelo Gornati, Limbiate

Risponde il Direttore:
Caro don Angelo, la sua lettera è giunta sul mio tavolo lo stesso giorno in cui un grande quotidiano nazionale titolava in prima pagina: «Berlusconi, spuntano altre ragazze / e il giornale dei vescovi lo attacca». E anche ieri lo stesso giornale è tornato ad argomentare con solerzia ancora in prima pagina e sempre a partire da ciò che su Avvenire era stato pubblicato. Lei mi dice che è sgomento per il nostro silenzio, mentre altri, prendendo al volo le nostre parole, ci fanno addirittura gridare. A chi devo credere? Per come sono fatto, credo a lei, e cerco di capire che cosa mi vuol dire. Non mi costa farlo, e non mi costa immaginare che cosa passa per la mente dei nostri preti in una stagione in cui la scena pubblica offre spettacoli niente affatto confortanti. Sono loro in trincea e più di tutti sanno quanto costa rappresentare alla gente le esigenze della vita cristiana. Eppure, proprio perché mi immedesimo nella sua delusione, don Angelo, non posso rinunciare a dirle come vedo le cose. E cioè che Avvenire non è stato zitto. Ha parlato sul tema a più riprese: con un fondo di Rossana Sisti, con un secondo fondo di Gianfranco Marcelli, con un terzo intervento di Piero Chinellato, infine con una mia risposta collettiva ad alcune lettere, che è il testo da cui ha attinto Repubblica per fare il titolo di cui dicevo. Vede, per i media nazionali la posizione di Avvenire è inequivocabile, glielo posso assicurare. E lo stesso mi sento di dire per i nostri Vescovi: sia il presidente cardinal Bagnasco sia il segretario generale monsignor Crociata hanno colto le occasioni pastorali che si sono presentate per prendere posizione in modo netto sul piano dei contenuti come della prassi. Chiunque è stato raggiunto dai loro interventi ha capito quello che si doveva capire: alla comunità cristiana tocca tenere alto il contenuto della fede, e non cedere a compromessi. Avvenire ha dato puntualmente conto di entrambe le loro prese di posizione. Per questo, pur con tutto il garbo possibile, non me la sento di accogliere la sua accusa di «convenienza». Non solo mi sembra ingenerosa, ma anche ingiusta. Provi a immaginare che cosa avrebbe fatto lei se nel Comune in cui opera si fosse presentata una situazione moralmente critica come quella nazionale. Avrebbe parlato chiaro, da prete, o avrebbe organizzato la dissidenza? Immagino che avrebbe fatto fino in fondo il prete. Che è, se ci pensa bene, esattamente la linea seguita dai Vescovi. Quanto agli immigrati, lei loda il pronunciamento dell’episcopato lombardo e ringrazia il suo arcivescovo, il cardinale Tettamanzi. E fa bene. Se, poi, avesse tenuto presente quanto il presidente della Cei aveva articolatamente detto a proposito della politica migratoria in occasione dell’assemblea generale dei Vescovi, non avrebbe colto divaricazioni. La cultura è naturalmente la stessa e anche l’approccio pastorale alla questione è il medesimo. Avvenire è stato zitto anche su questa tematica? Davvero difficile da sostenere e da dimostrare. Forse non s’è pronunciato in termini ‘da scomunica’ verso quanti operano in direzione opposta all’accoglienza. Ma lei crede che le parole grosse aiutino a convincere chi condivide e asseconda certe battaglie della Lega? Si sbaglia, don Angelo. Noi, rispetto ai problemi che pone l’immigrazione, dobbiamo parlare e muoverci in maniera da non perdere per strada la nostra gente, e non regalarla a posizioni culturali di chiusura. Dobbiamo invece con lucidità e lungimiranza continuare a tessere quello spirito comunitario che, per natura sua, è anche e necessariamente inclusivo. La saluto.

Le parole ammalate

Lo stato di salute della democrazia e l’incapacità di provare vergogna (G.Carofiglio)

Un sintomo del grado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare. Dal senso che riescono a generare. Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante. Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio a un’ideologia dominante attraverso l’occupazione della lingua.
E l’espropriazione di alcune parole chiave del lessico civile. È un fenomeno riscontrabile nei media e soprattutto nella vita politica, sempre più segnata da tensioni linguistiche orwelliane. L’impossessamento, la manipolazione di parole come verità e libertà (e dei relativi concetti) costituisce il caso più visibile, e probabilmente più grave, di questa tendenza.
Gli usi abusivi, o anche solo superficiali e sciatti, svuotano di significato le nostre parole e le rendono inidonee alla loro funzione: dare senso al reale attraverso la ricostruzione del passato, l’interpretazione del presente e soprattutto l’immaginazione del futuro.
Se le nostre parole non funzionano – per cattivo uso o per sabotaggi più o meno deliberati – è compito di una autentica cultura civile ripararle, come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, capendo quello che non va e poi rimontandole con cura. Pronte per essere usate di nuovo. In modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo.
Proviamo allora a esercitarci in questo compito di manutenzione con una parola importante e più di altre soggetta allo svuotamento (e alla distorsione) di significato di cui dicevamo. Proviamo a restituire senso alla parola vergogna. Nell’accezione che qui ci interessa la vergogna corrisponde al sentimento di colpa o di mortificazione che si prova per un atto o un comportamento sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti, riprovevoli.
E’ una parola da ultimo molto utilizzata al negativo: per escludere, sempre e comunque, di avere alcuna ragione di vergogna o per intimare agli avversari – di regola con linguaggio e toni violenti – di vergognarsi. La forma verbale “vergognatevi” è oggi spesso utilizzata nei confronti di giornalisti che fanno il loro lavoro raccogliendo notizie, formulando domande e informando il pubblico.
Sembra dunque che vergognoso sia vergognarsi. La vergogna e la capacità di provarla appaiono qualcosa da allontanare da sé, una sorta di ripugnante patologia dalla quale tenersi il più possibile lontani.
Sulla questione Blaise Pascal la pensava diversamente, attribuendo alla capacità di provare vergogna una funzione importante nell’equilibrio umano. Nei Pensieri leggiamo infatti che “non c’è vergogna se non nel non averne”.
In tale prospettiva è interessante soffermarsi sull’elencazione, che possiamo trovare in qualsiasi dizionario, dei contrari della parola. Troviamo parole come cinismo, impudenza, protervia, sfacciataggine, sfrontatezza, sguaiataggine, spudoratezza, svergognatezza.
Volendo trarre una prima conclusione, si potrebbe dunque dire che il non provare mai vergogna, cioè il non esserne capaci, è patologia caratteriale tipica di soggetti cinici, protervi, sfacciati, spudorati. Al contrario, la capacità di provare vergogna costituisce un fondamentale meccanismo di sicurezza morale, allo stesso modo in cui il dolore fisiologico è un meccanismo che mira a garantire la salute fisica. Il dolore fisiologico è un sintomo che serve a segnalare l’esistenza di una patologia in modo che sia possibile contrastarla con le opportune terapie. La ritardata o mancata percezione del dolore fisiologico è molto pericolosa e implica l’elevato rischio di accorgersi troppo tardi di gravi malattie del corpo.
Così come il dolore, la vergogna è un sintomo, e chi non è capace di provarla – siano singoli o collettività – rischia di scoprire troppo tardi di avere contratto una grave malattia della civilizzazione.
Qualsiasi professionista della salute mentale potrebbe dirci che le esperienze vergognose, quando vengono accettate, accrescono la consapevolezza e la capacità di miglioramento, e in definitiva costituiscono fattori di crescita. Quando invece esse vengono negate o rimosse, provocano lo sviluppo di meccanismi difensivi che isolano progressivamente dall’esterno, inducono a respingere ogni elemento dissonante rispetto alla propria patologica visione del mondo, e così attenuano il principio di realtà fino ad abolirlo del tutto.
Come ha osservato una studiosa di questi temi – Francesca Rigotti – l’azione del vergognarsi è solo intransitiva e non può mai essere applicata a un altro. Io posso umiliare qualcuno ma non posso vergognare nessuno. Sono io che mi vergogno, in conseguenza di una mia azione che avverto come riprovevole. Pertanto la capacità di provare vergogna ha fondamentalmente a che fare con il principio di responsabilità e dunque con la questione cruciale della dignità.
Diversi autori si sono occupati alla vergogna. La parola è presente in alcuni bellissimi passi di Dante e ricorre circa trecentocinquanta volte in Shakespeare. Ma è davvero interessante registrare cosa dice della vergogna Aristotele nell’Etica Nicomachea. “La vergogna non si confà a ogni età, ma alla giovinezza. Noi infatti pensiamo che i giovani devono essere pudichi per il fatto che, vivendo sotto l’influsso della passione, sbagliano, e lodiamo quelli tra i giovani che sono pudichi, ma nessuno loderebbe un vecchio perché è incline al pudore, giacché pensiamo che egli non deve compiere nessuna delle cose per le quali si ha da vergognarsi”.

OK, Giuliano…

Vorrei ringraziare un amico, non perchè amico ma perchè ha detto una cosa giusta. Giuliano Maioli, assessore uscente a Castelnovo Monti. Una bella persona, tanto per capirci. Ha chiarito la sua posizione contro le norme anti-accattonaggio. Mi sono sentito molto triste quando ho letto che Sindaci del PD, che abbiamo appena eletto, hanno preso questa decisione. Triste e squallida. Facile prendersela con i poveracci, si fa bella figura con poco. “Ti piace vincere facile, eh?” dice quella pubblicità. Perchè? Per inseguire i vecchi compagni divenuti leghisti? Ma che vadano a Pontida! Per far vedere che anche noi, etc….? Dio, che tristezza! Tuteliamo il decoro? A me, personalmente, il decoro frega quanto una cippa. E volendo parlare di decoro mi fa molto più senso un SUV parcheggiato in seconda fila che un poveretto che ti chiede un euro. Forse perchè è più probabile che il futuro mi riservi la seconda opzione, piuttosto che la prima. O forse perchè credo che facciano più danni le brave personcine (evasori, commercialisti, professionisti, etc..) che qualche poveretto, sia pure-come ci dicono-schiavo del racket. Perchè così si vince il racket? Semplicemente si sposta un po’ più in là. Ma intanto il signor sindaco del PD ha fatto bella figura, ha recuperato qualche voto dai bigotti e dagli abitanti terrorizzati e così si tira avanti. Senza un’idea, magari riciclando i vecchi “compagni” socialisti degli anni ’80 e strizzando l’occhio agli industriali “democratici”. Tanto, a sinistra, c’è ancora chi conta i peli alle pulci per decidere che-non essendo abbastanza a sinistra- non va a votare e chi aspetta la prossima rivoluzione ( e intanto si becca Calderoli e Gasparri, gnam!).

Comunque sia, grazie Giuliano, hai un caffè pagato dove vuoi, quando vuoi!

Scemo più scemo..

Dalla cronaca: a Massa lite poi degenerata in scontri con feriti e contusi fra militanti dei CARC (Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo) e la ronda di estrema destraSSS (sicurezza, sisso e salsiccie). Se son rose fioriranno, si diceva, e infatti… Iniziano a mostrarsi gli esiti delle mer(d)avigliose leggi del nostro governo (si fa x dire). Ooops, pare che nel decreto-sicurezza (loro)  si siano ricordati di specificare che le ronde NON possono essere politicamente connotate! Guarda un po’, che caso! Distratti? Smemorini? Altrimenti come si potevano legalizzare quelle bande di cefalopenici che sono le ronde padane? Quindi, meglio tacere. E così a Massa prima partita: scemi vs.scemi. Scemi di sinistra contro scemi di destra. Qualche contuso, qualche denuncia e via così. Ma le ronde non dovevano servire a tutelare l’ordine? A dare sicurezza? Ma qualcuno può uscire sicuro sapendo che girano ronde SSS? Neanche fossero i nazisti dell’Illinois…Leggi fatte con quella parte del corpo che serve a sedersi, cosa aspettarsi? Al più calci nel….