C’è sempre qualcuno più a nord di te…(ovvero: i “padani” sono terroni)

campagnacontrofrontalieri.jpgPena del contrappasso per i lavoratori “padani” che tutti i giorni attraversano il confine svizzero. Dal Canton Ticino infatti è partita l’iniziativa “Bala i ratt” (www.balairatt.ch) contro l’invasione quotidiana dei 45mila frontalieri del Belpaese. Nella homepage del sito, curata dalla Ferrise Comunicazione di Muralto, tre ratti sono alle prese con la spartizione di una forma di Groviera e raffigurano gli obiettivi della pubblicità: gli italiani che portano via il lavoro ai ticinesi, gli stranieri responsabili del 70% dei reati e il “paladino delle cause perse” Giulio Tramonti che brandisce lo scudo fiscale contro chi ha la “colpa di voler mettere al sicuro i propri soldi”. Nei giorni in cui spopolano le invettive di Bossi contro i “porci” romani, gli svizzeri ricordano ai “padani” che, per loro, sono solo “terroni”. Anche se sono muratori, operai, camerieri, impiegati, infermieri, ricercatori o professori. Proprio come tanti meridionali che lavorano nel Nord del Carroccio.

Eleonora Bianchini

Il Fatto, 29.9.2010

Padania o morte ? Tutti i bluff di Bossi e soci

9433f10d6688a37c402174983e01d32d.jpeg1984-1990: nasce la Lega lombarda che debutta alle amministrative, la Pretura di Saronno indaga per “vilipendio della bandiera” e “associazione antinazionale”, primo raduno a Pontida reso celebre dal giuramento pronunciato nel 1167 dalla Lega dei Comuni contro l’invasore Barbarossa.

Di questo periodo è importante sottolineare come la “Lega nord per l’indipendenza della Padania”, costituita da associazioni politiche, avesse il conseguimento dell’indipendenza e il suo riconoscimento internazionale quale repubblica federale indipendente e sovrana. E la legittimità di un partito che si caratterizza per uno scopo non costituzionale e contrario all’articolo 5? Sono gli anni in cui Bossi dichiara: “In Italia ci sono due gruppi etnici: la razza celtica, che viene da migliaia di anni di lavoro e i latini che considerano il lavoro roba da schiavi”.

1990-2000: il parlamento del nord inaugurato da Umberto Bossi, mentre la Lega viene coinvolta in una inchiesta sulla maxitangente Enimont, nascono le Camicie verdi (comitato di liberazione della Padania), Bossi invoca (senza risultato) la disobbedienza fiscale sull’Isi (imposta straordinaria sugli immobili), va a Belgrado e parla da “fratello” al leader serbo Milosevic. Otto serenissimi vengono processati e condannati per direttissima per l’assalto al campanile di San Marco in nome della “Veneta serenissima armata”. “Siamo qui per un passo incontrovertibile, per la prima dichiarazione di guerra allo Stato centralista, alla partitocrazia di Roma, alla prima repubblica che non vuole lasciare il posto alla seconda” (Umberto Bossi, La Stampa, 11 maggio 1992).

“Ho già preparato i manifesti: “Nord prepara la valigia”. Se riusciamo a convincere questo nord di brava gente a non pagare l’Ici allora sì che viene il bello. Che mi arrestino, arrestino pure uno della Lega e qui è la rivoluzione” (La Stampa, 19 agosto 1992).

“Bisognerebbe far scattare la legge per il ricostituito partito fascista. Questi sono quella cosa lì. E si può dimostrare facilmente. Questo partito è messo in piedi da una banda di dieci persone che lo controllano nascosti dietro paraventi, non rispettano le regole della Costituzione, chiamano golpista il presidente della Repubblica, svuotano il parlamento e vogliono fare un esecutivo senza nessun controllo superiore”. (Ansa, 19 gennaio 1995).

“Inoltre usano le televisioni che sono strumenti politici messi insieme da Berlusconi quando era nella P2, secondo il progetto Gelli: dove il Paese dal punto di vista politico doveva essere costituito da uno schieramento destra contro sinistra (…) usano la televisione come un randello per fare e disfare. Si tratta di una banda antidemocratica su cui è bene che ci sia qualche magistrato che indaghi se viene commesso il reato di ricostruzione del partito fascista” (Ansa, 19 gennaio 1995).

“La Padania deve combattere contro il nazionalsindacalismo e il nazionalclericalismo. Sono lontani i tempi di Giovanni XXIII il gran lombardo. Ora è arrivato il Papa polacco che ha portato la Chiesa a interessarsi molto più del potere temporale che di quello spirituale. I vari casi Ior e Marcinkus sono a dimostrarlo” (9 agosto 1997).

“Il tricolore lo metta al cesso signora!” (Venezia, riva Sette Martiri, 16 settembre 1997).

“Quando vedo il tricolore io m’incazzo. Il tricolore io lo uso soltanto per pulirmi il c…” (Comizio a Cabiate, 1997): questa frase venne udita dai presenti, tra cui i carabinieri di Cantù di servizio in borghese, chiamati poi a raccontare l’episodio durante il dibattimento: il processo finì con la sentenza di condanna per vilipendio del 2001.

“È una sentenza pesantissima e ingiustificata. Ma i ragazzi di Venezia si facciano coraggio. Non sconteranno tutta la pena: infatti non appena arriverà la Padania saranno liberati con tutti gli onori” (Dichiarazioni di Roberto Maroni, attuale ministro degli interni della Repubblica italiana, il 10 luglio 1997 sulla vicenda dell’assalto armato al campanile di Venezia).

“La Padania è una realtà politica nota in tutto il mondo, anche se la classe politica stracciona del Mezzogiorno finge di non saperlo mentre per noi il meridione esiste solo come palla al piede che ci portiamo dolorosamente appresso da 150 anni” (Mario Borghezio durante un comizio ripreso dal film “Camicie Verdi” di Claudio Lazzaro).

Dal 2000 ad oggi: nasce la Casa delle libertà, Bossi diventa ministro delle Riforme, nasce la Bossi-Fini, viene approvata la devolution, Bossi rilancia con il trasferimento della Rai a Milano invocata anche come capitale d’Italia.

“Noi parlamentari, deputati, senatori, ministri e sottosegretari giuriamo fedeltà alla Padania e al suo popolo e promettiamo di batterci con tutte le forze per la libertà e la prosperità della nostra terra e delle sue genti” (Pontida, La Stampa, 18 giugno 2001).

“Profughi non ne vogliamo, stiano a casa loro”, (Sull’emergenza umanitaria della guerra in Iraq, l’Unità, 21 marzo 2003).

“I vecchi democristiani per i danni che hanno fatto al Paese andavano fucilati” (Corriere della Sera, 26 settembre 2003).

“Il nord potrebbe vivere meglio senza tirarsi addosso il centralismo dello stato italiano. Dobbiamo svegliarci. E visto come stanno le cose non ci rimane che la via della secessione. Basta con le chiacchiere” (Pramaggiore (Ve), Repubblica.it, 26 ottobre 2006).

“La libertà non si può più conquistare in Parlamento ma con uomini lanciati in una lotta di liberazione. Senza la devoluzione da qui possono partire ordini di attacco dal Nord. Io sono certo di avere dieci milioni di lombardi e veneti pronti a lottare per la libertà”. (Al parlamento padano, Mantova. Ansa, 29 settembre 2007).

“Non dobbiamo più essere schiavi di Roma. L’inno dice che l’Italia è schiava di Roma… toh (gestaccio). E’ arrivato il momento fratelli, di farla finita. Basta di far martoriare i nostri figli da gente che non viene dal nord” (Padova, Repubblica.it, 20 luglio 2008).

“So quanti di voi sono pronti a battersi, anche milioni, ma io ho scelto la strada pacifica rispetto a quella del fucile. La lotta della Lega non finirà fino a quando la Padania non sarà libera” (Pontida, 20 giugno 2010).

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/06/26/padania-o-morte-tutti-i-bluffdi-bossi-e-soci/

Xenofobia l’anomalia italiana (Paolo Soldini)

jobbik_wideweb__470x3580.jpgIl 16 percento ottenuto dai sedicenti liberali della Fpö nelle elezioni presidenziali austriache conferma che in quasi tutti i paesi del continente esiste ormai uno zoccolo duro di consensi, tra il 7-8% e il 20%, per partiti che, in modo diverso, si richiamano a valori e princìpi dell’estrema destra. Alcuni esprimono una “protesta contro la storia”: sono i movimenti che rivalutano i vari fascismi europei e il nazismo, come i Republikaner tedeschi, l’estrema destra russa, magiara o baltica. Per altri, il motivo fondante non è l’occhio al passato. Il Front national di Le Pen, il partito popolare dello svizzero Blocher, gli olandesi di Wilders, il belga Vlaams Blok, il partito del popolo danese di Pia Kjaersgaard ritengono di cogliere ed esprimere al meglio lo Zeitgeist: la paura degli “invasori” stranieri e della globalizzazione, il rifiuto di ogni idea di cessione di sovranità e l’ostilità contro la Ue, un evidente egoismo sociale, apertamente ammesso, sia su base statuale che regionale. Ciò che accomuna tutti i partiti di destra, del primo e del secondo tipo, sono da un lato il razzismo, la xenofobia e un forte conservatorismo in materia di valori morali privati, dall’altro lato il populismo costruito intorno a figure carismatiche. Tutti interpretano un mito comunitario, che può esprimersi nel nazionalismo classico o in un regionalismo che costituirebbe la trama “moderna” dell’”Europa dei popoli”. La retorica regionalista spinge a prospettare ipotesi di rottura della comunità nazionale per le aree “ricche e represse, incomprese e tartassate dal centro”. Come si colloca in questo contesto europeo la Lega nord? Il nocciolo della politica leghista pare fortemente collegato al patrimonio consolidato dell’estrema destra continentale. Xenofobia e razzismo, ostilità verso la Ue, (in)cultura localista, perenne rivendicazione di risorse e “diritti” sequestrati dallo stato centrale. Il fatto che un movimento intimamente eversivo abbia acquisito una sua rispettabilità e oggi partecipi al governo del paese è una delle straordinarie anomalie italiane. Ci sono paesi europei nei quali quel che dicono e ciò che fanno in tema di razzismo e xenofobia ministri leghisti verrebbero considerati se non reati quanto meno farneticazioni da stigmatizzare nella politica e nei media. Qui li consideriamo intemperanze folkloristiche, fossili di un estremismo superato. Le analogie con l’estrema destra europea sono invece costitutive per la Lega. Il secessionismo non è stato abbandonato: è stato costretto nei panni di un federalismo che il sistema politico accetta come una prospettiva sensata pur non avendo in Italia alcuna tradizione, né alcuna storica spinta reale ed essendo immerso, oggi, in una fitta nebbia sul che sarà, come sarà, perché. L’egoismo “comunitario” non è diverso da quello che si manifesta altrove e la spia di questa identità della Lega sono la xenofobia e il razzismo. È il piano sul quale nessun processo di addomesticamento moderato appare credibilmente in atto.

http://www.unita.it/news/paolo_soldini/97956/xenofobia_lanomalia_italiana

foto: militanti del movimento fascista ungherese Jobbik.

Antidoto alle boiate leghiste

Siete stanchi di sentire le solite boiate leghiste, tipo “Gli stranieri sono il 23%”, “Tutti questi clandestini…”, “Ci portano via il lavoro…”, “Nei paesi islamici non ci sono chiese…” e simili defecazioni verbali? Allego perchè ognuno se lo scarichi “Mandiamoli a casa”. I luoghi comuni. Razzismo e pregiudizio. Istruzioni per l’uso. Un file interessante, utile, da leggere e diffondere:

263_mandiamoliacasa.pdf

Pover nano…..!

pericolo_di_morte.jpgSono stato incerto se inserire questa segnalazione nella consolidata rubrica “Aiutiamoli a vergognarsi” o crearne una nuova, tipo “Ai confini della realtà”, “Cambia spacciatore”, “ma daiii…”, comunque lascio giudicare ai miei cari coniglietti lettori. Il testo è tratto dal sito ufficiale del Movimento giovani padani (credo affiliato al Movimento cosmico venusiani e discendente della sezione di St:Pauli della Hitlerjugend ma certamente ispirato dal Mitivo Partito nazista dell’Illinois).

Preciso che è TUTTO VERO, non c’è satira che tenga. Valutate voi:

NO AL RAZZISMO!

SIAMO STUFI DI ESSERE TACCIATI DI RAZZISMO, QUANDO INVECE IL RAZZISMO VERO SI CONSUMA CONTRO DI NOI!

In tv abbiamo visto una publicità del Ministero delle pari opportunità… contro il razzismo…e dicono di contattarli nel caso in cui una persona si senta discriminata o vittima di atti di razzismo.

VISTO CHE NOI PADANI(*) SIAMO DISCRIMINATI CON UNA CERTA CONTINUITA’ E VIOLENZA, proponiamo di segnalare ogni atto discriminatorio nei nostri confronti…
chissà che poi non esca sui giornali qualche dato interessante…

GLI ESEMPI SONO TANTISSIMI E CERTE VOLTE DAVVERO SCONVOLGENTI, DATO CHE COLPISCONO SOPRATTUTTO LA POVERA GENTE CHE VIVE IN UNA DELLE REGIONI PADANE
Il Razzismo si coniuga in diverse maniere: si passa dal razzismo di Stato a quello singolare contro chi parla una delle lingue padane.
Alcuni esempi:

  • Lo stato italiano da’ un punteggio maggiore a chi viene da regioni diverse da quelle padane, quindi case popolari e posti di pubblico impiego non vengono dati ai cittadini poveri residenti nelle regioni padane.
    Come è possiible? La Costituzione non sancisce che i cittadini sono tutti uguali? Perchè alcuni devono godere di PRIVILEGI PER DIRITTO DI NASCITA, solo perchè vengono da regioni non padane?
  • Quante volte abbiamo sentito qualcuno farci osservazioni sgarbate quando osiamo parlare le nostre lingue locali?
  • Quante volte ci siamo sentiti tacciare di ignoranza solo perchè riportavamo la verità storica e archeologica sui celti? Quante volte ci siamo sentiti dire che le nostre bisavole erano tutte buone donne gioiose di venire inseminate dai legionari romani?
  • Quante volte hanno sminuito le nostre culture locali sostenendo che fossero fesserie per rozzi ignoranti?
  • Quante volte a scuola l’insegnate ha sostenuto che i cittadini delle regioni padane sono degli zotici ignoranti?
  • Adesso diciamo BASTA!

    Il Ministero delle Pari Opportunità ha creato l’U.N.A.R. (Ufficio Nazionale Anti discriminazione Razziale) ed ha istituito un numero verde.
    Noi intendiamo usarlo
    Stiamo raccogliendo tutte le testimonianze di razzismo contro di noi per mandarle al Ministero delegato per far finalmente valere i nostri diritti.

EPISODI DI RAZZISMO E VIOLENZA CONTRO I PADANI

  • Il nostro Movimento è sempre stato pacifico e non violento, ed ha subito nel corso degli anni numerosi atti di violenza gratuita e atti di razzismo inauditi.
    Quante volte avete letto sul giornale che una sede della Lega è stata distrutta o bruciata? Quante volte ai segretari della lega sono arrivati proiettili di pistola quale minaccia di morte? Tante, troppe per un paese democratico.
    L’episodio forse più clamoroso è stato nel 1996 quando le forze del disordine italiano hanno fatto irruzione illegalmente in un ufficio di un Parlamentare e hanno pestato a sangue l’On. Maroni, e poi lo hanno condannato per resistenza a pubblico ufficiale: oltre il danno la beffa.
    I giornalisti di regime ed i giudici corrotti sostengono che noi siamo i violenti, in realtà noi leghisti non abbiamo mai attaccato nessuno, non abbiamo mai reagito alle offese, non siamo mai stati partecipi di atti di violenza ne’ di razzismo. Se non fosse così, allora i giornali di regime ve lo avrebbero gia’ detto, e ce lo continuerebbero a rinfacciare.
    Noi siamo in tanti, noi siamo un popolo, e non abbiamo bisogno di reagire alle provocazioni di chi democratico non è. Noi in quanto autonomisti e rispettosi delle diverse culture, lingue e tradizioni e amanti della nostra terra e della nostra gente, non abbiamo e non avremo mai bisogno di scendere alle mani.

(*) Padani non vuol dire necessariamente leghisti.
Cosa si intende per padani? Tutti coloro che hanno cittadinanza in una delle regioni padane si definiscono padani.
Non è una definizione che riguardi le origini etniche o culturali o linguistiche, poichè basta essere padani anche da poco per subire le angherie dello stato italione: tasse più alte, accise del metano più alta, impossibilità di accedere alle case popolari o ad un pubblico impiego perchè, risiedendo in Padania, non si riescono ad avere punteggi sufficienti per essere inseriti in graduatoria.
Invitiamo quindi tutti i buontemponi a riflettere su questi dati di fatto.

Felici di odiare (3)

di Alessandro Dal Lago, da MicroMega 6/2009

3. Il primo anno e mezzo del terzo governo Berlusconi ha fatto emergere una progressiva deriva fascistoide. Naturalmente, questa tendenza non è apparentemente in contraddizione con la forma democratica di un paese inserito in Europa e nel sistema delle alleanze occidentali. Si tratta piuttosto di una dittatura soft dell’esecutivo e del suo beatus possidens, dell’emarginazione progressiva del parlamento, del ridimensionamento della magistratura e della costruzione di un legame diretto e a senso unico con la pubblica opinione grazie al controllo assoluto della televisione e al crescente condizionamento della stampa quotidiana. Un processo che, con tutte le differenze che si possono stabilire, ricorda l’ascesa al potere di Napoleone «il piccolo».
Ma ci si sbaglierebbe pensando che questo cesarismo sia l’esclusivo effetto della manipolazione mediale (come risulta anche dal recente film Videocracy). In realtà, lo strapotere di Berlusconi si fonda anche su un legame sociale parzialmente nuovo (in quanto emerso soprattutto negli anni Novanta) con il pubblico, quello relativo al bisogno indotto di sicurezza personale o, se vogliamo, di incolumità (13). Se l’odio contro i migranti (la famosa «cattiveria» di Maroni) riafferma la relazione esclusiva di una popolazione con il territorio, la questione della sicurezza è funzionale alla costituzione (o alla protezione) immaginaria dell’identità individuale. Odiare gli stranieri significa affermare un’identità collettiva, un «noi». Odiare chi ci rende insicuri vuol dire produrre un’identità personale, disporre di un «io». È naturale che attribuire agli stranieri la responsabilità dell’insicurezza comporta una fusione dell’identità collettiva immaginaria con quella individuale.
La citazione di Hobbes riportata in epigrafe chiarisce come il tema della paura, centrale nella teoria della sovranità nel Leviatano, sgorgasse da un’esperienza diretta della madre del filosofo. Infatti, il parto prematuro sarebbe stato causato nel 1588 dal terrore degli inglesi nell’imminenza dell’attacco dell’Invencible armada spagnola. Ed ecco il passo dell’autobiografia di Hobbes da cui ho tratto l’esergo:

When that Armada did invade our Isle,
Called the invincible, whose freight was then
Nothing but murd’ring steel, and murd’ring men,
Most of which navy was disperst, or lost,
And had the fate to perish on our coast.
April the Fifth (though now with age outworn)
I’th’early spring, I, a poor worm, was born. […]
For fame had rumour’d that a fleet at sea
Would cause our nation’s catastrophe
And hereupon it was my mother dear
Did bring forth twins at once, both me and fear.
For this my countries foes I e’r did hate
With calm peace and my muse associate (14).

La paura è fondamento dell’odio per i nemici della patria e quindi della delega del potere al sovrano che difende la nazione. Ma il tema della sicurezza individuale o dell’incolumità personale costituisce, rispetto a questo luogo fondamentale della teoria politica moderna, una variante che ha acquistato senso e centralità soprattutto dopo la fine del bipolarismo (15). Venuto a mancare il nemico per eccellenza, e cioè il regime sovietico (che Berlusconi ha in parte sostituito con un comunismo immaginario), sono soprattutto i nemici interni ad alimentare in negativo il bisogno di sicurezza e quindi un’identità individuale idiosincratica. Un bisogno performativo, e quindi impossibile da soddisfare se non nella sua incessante e interminabile ripetizione. La sicurezza richiesta dai cittadini (o da chi parla in loro nome) è evidentemente utopica e quindi illusoria. Nessuno, e tanto meno le truci ronde spontanee o le ridicole pattuglie di alpini mandati a passeggiare nei nostri centri storici, può assicurare l’assoluta protezione dai rischi della vita urbana. Ma nel momento in cui il potere (e Berlusconi sa farlo meglio di chiunque altro) riconosce la legittimità, anzi la priorità, della richiesta incessante di sicurezza, il cittadino – che ovviamente corre gli stessi rischi che ha sempre corso, e cioè quelli abituali di qualsiasi città europea – vede soddisfatto non tanto il suo bisogno di sicurezza, quanto il suo diritto di esigerla.
In questo senso, il diritto alla sicurezza ha sostituito gran parte degli altri diritti: un salario decente e stabile, un’autentica partecipazione politica, le libertà civili. Se il diritto al salario esprime il riconoscimento dei bisogni materiali e della dignità del lavoro, e la partecipazione e le libertà civili rappresentano in qualche misura una cittadinanza paritaria e non soggetta alle istituzioni, il «diritto» alla sicurezza (in larga parte immaginaria) presuppone – esattamente come quello alla protezione dai nemici esterni di cui parla Hobbes – un cittadino che invoca lo Stato e quindi finisce per delegargli ogni potere. La questione delle ronde non deve trarre in inganno. Il cittadino che ha rinunciato ai suoi diritti sociali e civili in nome della sicurezza è un cittadino infantilizzato, incapace di vedere al di là della porta di casa, e di immaginare i rapporti con i suoi simili se non in chiave di minaccia. Oggi si illude di partecipare alla gestione della propria sicurezza, ma in realtà non fa che mimare in modo farsesco la repressione dei nemici interni, reali o immaginari che siano, su cui si basa ogni potere totalitario, formalmente legittimo o no.
Nella costituzione di un nuovo legame di dipendenza sociale, la destra berlusconiana non è stata sola. In realtà, grazie all’azione avanguardistica della Lega, ha portato alle estreme conseguenze un processo politico-culturale a cui ha partecipato gioiosamente anche il centro-sinistra, almeno negli anni Novanta, quando era per lo più al governo. Rileggendo le cronache di quegli anni si scopre facilmente come a iniziare il discorso del diritto alla sicurezza, della sicurezza «partecipata», della lotta contro il «degrado» urbano, alle iniziative dal basso contro la microcriminalità (soprattutto degli stranieri) eccetera siano ambienti Ds o Pds. Probabilmente, uomini come Amato, Violante, Chiamparino, Fassino, Veltroni, Livia Turco o Giorgio Napolitano, per citare solo quelli più noti, si illudevano che in questo modo avrebbero strappato alla destra un formidabile argomento politico (16).

E invece non facevano che legittimare una relazione profondamente impolitica tra cittadini e Stato. E questo avveniva proprio nella fase in cui altri diritti, soprattutto quelli sociali, venivano messi in discussione. Con ciò il centro-sinistra si avviava a perdere non solo una precisa identità politica, ma soprattutto una base sociale. Un cittadino impaurito, timoroso del futuro ma senza possibilità di vedere rappresentati i propri bisogni, non può che alla fine votare la destra, se non altro perché questa si mostra evidentemente più decisionista nella repressione dei nemici interni.
Non sappiamo se l’individuo Berlusconi sopravviverà politicamente alla sua attuale delegittimazione internazionale e (parzialmente) interna. Ma il legame sociale basato sulla sicurezza (che oggi, insieme al controllo dei media, è un fondamento del potere berlusconiano) è difficilmente modificabile senza un profondo ripensamento della sua natura impolitica. Opporre alla sicurezza repressiva e xenofoba della destra la «sicurezza» partecipata, come si sostiene in alcune penose riflessioni del centro-sinistra, non ha altro significato che la subalternità al modello sociale su cui il Cavaliere ha costruito quindici anni di trionfi. È vero che non si tratta di un’eccezione e che la subalternità, strategica, psicologica e culturale, è la principale chiave di lettura delle sconfitte dell’Ulivo. E tuttavia, il terreno della sicurezza appare quello più delicato e in prospettiva decisivo per l’esistenza stessa della sinistra.
Stabilire una buona volta un confine tra realtà e psicosi collettive in materia di microcriminalità, degrado eccetera, rinunciare a un’idea di legalità basata sul divieto ossessivo di comportamenti socialmente irrilevanti, rivedere alla radice il problema delle migrazioni e dei diritti dei migranti, e soprattutto smetterla con una concezione infantilizzata della cittadinanza sarebbero i primi passi per rinunciare alla subalternità nei confronti della destra per ora trionfante. Ma c’è da dubitare fortemente che l’attuale ceto dirigente del centro-sinistra, privo com’è di cultura politica e perso nelle sue irrilevanti diatribe, ne sia capace.

Note

(1) «E fu così che la mia cara mamma/ partorì d’un colpo due gemelli, me e la paura», ora in Th. Hobbes, Leviathan, with selected variants from the latin edition of 1668, a cura di Edwin M. Curley, Hackett, Indianapolis 1994.
(2) Si veda per un’analisi della cultura di cui Berlusconi è avanguardia ed espressione, P. Pellizzetti, Fenomenologia di Berlusconi, Manifestolibri, Roma 2009.
(3) Forse, poujadismo sarebbe più appropriato, per definire in parte la cultura leghista. Ma con «fascistoide» si può intendere un fondo costante della cultura italiana che, per quanto affine ad altre tendenze di destra in Europa, risale appunto al nostro fascismo.
(4) Tale cultura non è affatto in contraddizione con l’imprenditorialità, la capacità di fare affari a distanza eccetera. Questo è il mondo dei piccoli imprenditori che magari esportano (o esportavano) in tutto il mondo, ma poi votano Lega perché è il partito che assicura vantaggi nel «territorio». Quando una certa sociologia dilettantesca, negli anni Novanta, si è esaltata per il modello del «Nord-Est» non ha compreso che attivismo microindustriale e reazione politica erano del tutto compatibili.
(5) «Io, per effetto di vero amore e di stima/ lavoro e penso dapprima/ ai miei compatrioti e alla mia terra/ e poi, se mi avanza, ai forestieri», G. Rota, citato in B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Bolis, Bergamo 1959.

(6) Da ultimo, cfr. M. Marzano, «I muri che alimentano la nostra paura», la Repubblica, 31-8-2009.

(7) Ciò vale in misura minore anche per l’ostilità nei confronti dei meridionali, che è diffusa nel Nord più di quanto si creda e che la Lega alimenta periodicamente proprio per riaffermare la sua natura territoriale. Naturalmente, finché la Lega resta un partito del governo nazionale, questa ostilità non può superare certi livelli.
(8) Cfr. J. Bale, Sport, Space and the City, Routledge, London 1993. Da parte mia ho analizzato questi processi in A. Dal Lago, Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio, il Mulino, Bologna 2001, 2a ediz. Naturalmente, non è necessario che il territorio esista realmente. Deve essere soprattutto un luogo dell’immaginazione. Ecco allora volta per volta il «Nord», la «Padania», il dialetto «lombardo» eccetera, luoghi geografici e culturali quindi aleatori e fungibili, a seconda delle convenienze.
(9) Per un’analisi della funzione critica che le migrazioni rivestono nei confronti delle società di immigrazione cfr. A. Sayad, L’immigrazione o i paradossi dell’alterità, Ombre Corte, Verona 2008.
(10) Cfr., per esempio, G. Cadalanu, «Migranti, Amnesty accusa l’Italia», la Repubblica, 28-5-2009.
(11) Cfr. il mio Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999 (ediz. aumentata 2004), in cui si analizzano in questo senso il decreto Dini del 1995, la legge Napoletano-Turco del 1998 e la successiva Bossi-Fini..
(12) Il 27 agosto 2009 le principali agenzie di stampa hanno diffuso l’allarme del governo italiano sulle carceri (Alfano: «Carceri sovraffollate da stranieri, serve l’intervento dell’Europa». Bossi: «Sono piene zeppe di immigrati»). A prima, vista si potrebbe pensare una volta di più a uscite goliardiche. Dopo aver varato leggi xenofobe che hanno l’effetto di riempire le carceri, il governo si appella all’Europa o denuncia gli effetti della propria attività. Ma si tratta piuttosto di quello stile fascistoide, tutto giocato sulle boutade a sensazione, di cui parlavo sopra.
(13) Per una discussione di questo punto Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000, con una mia postfazione.
(14) «Quando la nostra isola fu invasa dall’armata, chiamata l’invincibile,/ e si sparse il terrore dell’acciaio e degli uomini uccisori,/ gran parte di quella flotta fu dispersa o distrutta/ e il destino la fece perire sulle nostre coste./ il 5 aprile [1588] all’inizio della primavera/ io nacqui, vermiciattolo ora consumato dall’età. […]/ Si era sparsa la notizia che una flotta al largo/ avrebbe causato la catastrofe della nazione./ E fu così che la mia cara mamma/ partorì d’un colpo due gemelli, me e la paura./ Per questo ho sempre odiato i nemici del mio paese/ con tranquilla serenità e sorretto dalla mia musa», Th. Hobbes, Vita carmine expressa, vv. 1-8 e 25-30.
(15) Cfr. C. Robin, Paura. La politica del dominio, Egea, Milano 2005.
(16) Questa è in fondo il motivo per cui le scienze sociali in Italia non hanno criticato queste derive, e hanno invece partecipato alla stigmatizzazione degli stranieri in nome della protezione dei cittadini (penso a un sociologo notissimo come Marzio Barbagli). Cfr. il mio «Ma quando mai è stata di sinistra? Alcune considerazioni sulla sociologia “embedded” in Italia», Etnografia e ricerca qualitativa, 3, 2009.

Felici di odiare (2)

di Alessandro Dal Lago, da MicroMega 6/2009

2. Il personaggio Berlusconi è, insomma, la maschera di un blocco sociale e culturale di destra che si è potuto esprimere liberamente, quasi gioiosamente, grazie alla scomparsa di quei partiti che, dopo la caduta del fascismo, esercitavano in Italia una funzione gramsciana di pedagogia collettiva, e cioé il Pci e la Dc. Il termine generico «destra» è forse inadeguato perché non rende la peculiarità anche storica di questa cultura. «Fascistoide» ne esprime meglio la natura: attaccamento spasmodico alla proprietà, affarismo, decisionismo contro i deboli, mitologia, a seconda delle varianti, della nazione o della piccola patria, spirito strapaesano, sospetto nei confronti di qualsiasi cosa venga da fuori, assoluta indifferenza ai diritti degli altri (3). È una cultura provinciale profondamente radicata nel paese, forse più nelle zone sviluppate e apparentemente moderne che nel resto (4). Probabilmente le sue potenzialità eversive (come si manifestano nella Lega) sono state tenute a freno per molto tempo dalla presenza di un capillare cattolicesimo organizzato. Ma per avere un’idea di quanto sia antico questo genius loci italiano, anzi padano, si considerino i versi apparentemente affabili di un poeta settecentesco, l’abate Giuseppe Rota, difensore della poesia in bergamasco e antilluminista radicale.

Mi per efett de ver amour, de stima,
Lavori e pensi in prima
A i mè compatriogg e a i mè terèr;
E dopo, se ’l men vansa, a i forestè (5).

Ma l’affabilità dell’uomo di Chiesa è notoriamente scomparsa nei suoi successori leghisti e non solo in loro. È vero che nello stesso centro-destra le sparate xenofobe della Lega fanno alzare qualche sopracciglio, ma questo è lo spirito che anima, con piccole varianti, tutto il Pdl e che Berlusconi ha mirabilmente sintetizzato. È qui la ragione profonda del ruolo centrale che l’immigrazione gioca nella vicenda italiana. La questione ha portato alla luce non tanto una generica ostilità all’altro, come si sostiene ritualmente nei tentativi di analizzare l’anomalia italiana e le derive xenofobe (6), quanto la stessa ragion d’essere, materiale e simbolica, del blocco sociale berlusconiano e della sua espressione più radicale, e cioè la Lega. Se mai questa un giorno dovesse rivedere per assurdo le sue posizioni in materia d’immigrazione, negherebbe la propria ragion d’essere. La Lega è naturalmente e felicemente xenofoba. Essa ha scoperto cioè da una ventina d’anni quanto il suo «popolo» sia felice nell’odiare qualcuno, come se fosse una curva di tifosi perennemente in guerra contro un’altra curva. E quindi paradossalmente, la Lega ha bisogno dell’immigrazione e dell’insicurezza (7).
Ho usato la metafora della curva calcistica perché meglio di ogni altra descrive la profonda topofilia della destra italiana, l’ossessione per il territorio (8). L’immigrato rappresenta, con la sua semplice esistenza di essere umano uscito dal suo paese per entrare in un altro, la negazione della territorialità, e cioè del fatto che si possa esistere come attori sociali e politici solo in un territorio (9). Ma si tratta di una negazione indispensabile alla cultura politica della destra italiana. Se un giorno, sempre per assurdo, gli stranieri non arrivassero più, la Lega esaspererebbe il conflitto con quelli che ci sono, ne inventerebbe di nuovi o ne rispolvererebbe di vecchi (come nelle grottesche e periodiche sparate contro i «meridionali»). Perché la territorialità non si esprime nel semplice possesso esclusivo di un territorio, ma nella sua riaffermazione incessante – tale pretesa deve essere pronunciata in eterno per avere senso politico. Ecco perché la Lega (e in misura minore, ma nello stesso senso, il resto del centro-destra) ha bisogno dell’immigrazione per poterla «contrastare» e quindi riaffermare la propria pretesa esclusiva al territorio.
Si tratta dunque di un contrasto che ha soprattutto una funzione simbolico-politica, al di là dei terribili costi umani che il recente pacchetto-sicurezza e il rifiuto indiscriminato dei richiedenti asilo stanno causando. Mi spiego: l’espulsione preventiva dei migranti (i cosiddetti respingimenti) e la negazione dell’asilo politico non significano la fine dell’immigrazione irregolare. Per mille rivoli, nonostante i naufragi e le deportazioni in Libia, gli stranieri continueranno ad arrivare e ad alimentare il mercato del lavoro clandestino. Se questo rimane invisibile, alla Lega e alla destra va benissimo (come dimostra la sanatoria delle badanti, e cioè di una categoria sociale non solo indispensabile alle famiglie ma scarsamente visibile perché confinata entro le mura domestiche). Per il resto, quello che importa alla Lega e alla destra è il consenso su una politica simbolicamente muscolare. Stando ai sondaggi, il consenso c’è e ciò dà un’idea del grado di implosione culturale e politica del paese.
Questo è dunque il significato di una politica migratoria tutta giocata sulla paura. Poche migliaia di migranti vengono lasciati alla deriva nel Canale di Sicilia o respinti in Libia, dove il loro destino, in base a numerose testimonianze, è a dir poco oscuro (uccisioni, vessazioni di ogni genere, carcerazioni indefinite, violenze, deportazioni verso paesi terzi sottratte a qualsiasi controllo internazionale eccetera) (10). Tutti gli altri, regolari o irregolari che siano, vivono da noi in una condizione d’invisibilità sociale, di mancanza di diritti, di obbedienza ai padroncini e di terrore verso qualsiasi polizia si occupi di loro. Ma il governo di centro-destra non ha mai veramente bloccato il loro afflusso. Negli anni del secondo governo Berlusconi (2001-2006), il numero dei migranti regolarizzati è più che raddoppiato, rispetto all’epoca del precedente governo Prodi, e una tendenza analoga, a partire appunto dalla sanatoria delle cosiddette badanti, è facilmente ipotizzabile oggi. Con la faccia feroce verso gli sventurati che traversano il Canale di Sicilia e gli stranieri che commettono piccoli reati e, allo stesso tempo, l’assorbimento delle categorie degli invisibili nell’economia domestica, il governo Berlusconi realizza un duplice obiettivo: la riaffermazione simbolica della difesa del territorio e il sostegno alle famiglie e alle piccole imprese. Con il recente pacchetto sicurezza si realizza dunque un inasprimento parossistico di quel doppio regime verso gli stranieri (i clandestini «cattivi» e i regolari «buoni») che, in realtà, ha sempre definito le politiche pubbliche italiane, di destra e di sinistra, in materia di immigrazione (11).
Tutto ciò ha naturalmente dei costi sociali e politici. Per cominciare, il pacchetto sicurezza approvato nel luglio 2009 introduce un reato, quello di immigrazione clandestina, che sta portando inevitabilmente al sovraffollamento delle carceri (12). Non solo: l’attività della polizia dovrebbe raddoppiare per controllare davvero i possibili clandestini. E data l’attuale crisi economica e finanziaria, questo è chiaramente impossibile. Inoltre, anche senza chiamare in causa l’opposizione di vasti ambienti cattolici alle leggi dell’attuale governo, il pacchetto sicurezza sta visibilmente aprendo dei conflitti con l’Europa. Benché in linea di principio l’atteggiamento europeo sia altrettanto ostile all’immigrazione incontrollata, quasi tutti i paesi europei hanno una legislazione più aperta nei confronti dei richiedenti asilo. Espellendoli a priori, l’Italia, una volta di più, non fa che scaricare il problema sul resto d’Europa.
La politica italiana in materia di immigrazione e diritto d’asilo espone il paese non solo all’aggravamento di problemi tradizionali (il sovraffollamento delle carceri, l’ingorgo dell’apparato giudiziario e di polizia), ma anche a frizioni con il resto del continente. E tuttavia è assai dubbio che l’attuale maggioranza cambi rotta. Come si è detto sopra, la cultura politica della destra si fonda sull’odio nei confronti di nemici reali e immaginari, forestieri, migranti, clandestini, «comunisti» eccetera. Essa è quindi basata sull’emergenza, sull’idea del territorio assediato, cioè su sentimenti collettivi irrazionali che assicurano alla destra, finché probabilmente la crisi economica non spariglierà i giochi attuali, il consenso del fondo sociale del paese. In questo senso, se altri poteri esterni o interni (l’alleato americano, l’Europa, la Chiesa…) non interverranno, direttamente o indirettamente, Berlusconi e i suoi pretoriani (parte del Pdl, la Lega eccetera) continueranno a percorrere la strada attuale, anche quando è visibilmente contraria agli interessi collettivi.

continua

Rastrellamenti

Siamo arrivati ai rastrellamenti. Sì’, perchè l’operazione “White Christmas”, ideata dal sindaco leghista del comune di Coccaglio (BS), altro non è che un rastrellamento: andare casa per casa e verificare i documenti dei residenti e scoprire i clandestini, gli irregolari. (http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/immigrati-13/immigrati-13/immigrati-13.html)

Ora, a parte che gli irregolari sono i leghisti, che negano e insultano i principi fondamentali della convivenza civile, la domanda rimane sempre quella, inevasa. Dove eravamo mentre questa gentaglia si diffondeva, faceva proseliti, metteva radici, vinceva elezioni? Dov’erano i democratici, quelli di sinistra, dov’era la gerarchia cattolica? E dove sono ora? Chiusi nei circoli a spartirsi le municipalizzate? A darsi reciproche cattedre universitarie? A bearsi nei loro assessorati?

In Veneto, in Lombardia, le chiese sono piene di leghisti devoti. Dove sono i pastori che li caccino fuori? O che dal pulpito dicano-con cristiana correzione fraterna- che non si può essere cattolici e leghisti, cattolici e razzisti, cattolici e xenofobi? O conta solo intascarsi l’8 per mille?

Siamo ai rastrellamenti. Sdegno, indignazione. Poi? Siamo nel paese dove risuonano mille tuoni ma non piove quasi mai. Dove ogni giorno la polemichetta dell’oggi spazza via quella del giorno prima. Noi dove eravamo?

Quando i nazisti presero i comunisti
io non dissi nulla,
perché non ero comunista.

Quando presero gli Ebrei
io non dissi nulla
perchè non ero ebreo.

Quando presero i sindacalisti,
io non dissi nulla 
perché non ero sindacalista.

Quando presero i cattolici,
io non dissi nulla
perché non ero cattolico.

Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno
che potesse dire qualcosa

Martin Niemöller
pastore evangelico

Tutto facile e semplice

E poi dicono che il mestiere dello storico è un po’ noioso! Ho avuto la ventura di partecipare ad un dibattito con un onorevole della lega. Dibattito? No. Perchè, com’è usanza trasversale e bipartizan, l’onorevole è intervenuto, ha parlato e poi se n’è andato “per impegni istituzionali..”, lasciandoci noi, tapini, a proseguire il “dibattito” senza l’autorevole interlocutore. Vabbè.

Ma l’occasione è stata comunque utile: ascoltare dal vero un leghista di primo piano, non un Borghezio qualsiasi, intervenire sul tema “Reggio perde la memoria?”. E qui ho capito, o almeno intuito alcune cose che mi confermano nel mio timore: sono i leghisti il vero pericolo per la nostra convivenza, prima ancora che per la democrazia. I fascisti, alla Filippi o Tadolini, piantano croci, fanno scrivere articoli osceni come quello di ieri sull’Informazione sulla strage di Cervarolo. Ma fascisti sono e come tali vengono etichettati. I leghisti no, i leghisti sono diversi e molto più pericolosi. Salvo pochi casi clinici, non ci si vanta di essere fascisti, mentre invece la “leegha” (secondo l’accezione bossiana) è già un senso di identità per tanti, soprattutto giovani, e lo testimoniano le tante spilline biancoverdi sugli zainetti di studenti reggiani.

E del resto basta ascoltare l’onorevole e come dare loro torto? Un qualunquismo assoluto ma moderno, lucidato, quattro ruote motrici, full optional. L’onorevole ha buttato lì concetti come “noi non siamo di destra o di sinistra, nessuno ha la verità in tasca…Bisogna uscire dall’odio…C’è stata una brutta guerra civile (perchè ce ne sono di belle di guerre civili?), la verità sta nel mezzo, senza ideologie…per capire il dopoguerra bisogna leggere Guareschi…c’è un complotto per il petrolio fra Cina-Iran e Chavez…”. Insomma, complotto intergalattico a parte, una summa di banalità assolute, ma dette bene, con chiarezza, tutte di assoluto, apparente, buonsenso, un rispondere insomma, perfettamente al target medio leghista. Siamo il nuovo, basta destra e sinistra, il mondo è cattivo, basta sistemare le cose qui (fra Cadelbosco sopra e sotto, magari).

Lo ascoltavo e prendevo appunti e, in un attimo di distrazione, mi sono sorpreso a dire “beh, non ha tutti i torti”. Ogni problema, per quanto complicato, trovava la sua soluzione. Giovani e preparati, li hanno definiti. Giovani sì, preparati?

Fra le “verità” dette brillava quella sull’Unità d’Italia: fatta dai piemontesi contro gli altri, contro il sud dove i briganti erano…partigiani! Combattevano per le loro idee e fra di loro c’erano i soldati borbonici fedeli ai loro “ideali”. Tutto facile, all’insegna del “finalmente si può dire..”. Studi? Volumi? Saggi? Intere biblioteche sul processo di unificazione? Bleah, arriva la “leegha” e sistema tutto. Ma facile, semplice, comprensibile anche al gommista di Bagnacavallo.

Vaglielo tu a spiegare la complessità della storia, dei processi di unficazione, le contraddizioni (vedi i garibaldini a Bronte che fucilarono i “liberati”). Cosa volete interessi al suddetto gommista? C’ho da pagare l’iva, il terrone mi porta via il lavoro, io sparo e voto “leegha”. Facile, semplice.

Già facile, semplice, ma sbagliato. Ma la medicina qual’è? La cultura di sinistra che, o nega i problemi, o si occupa non si sa di cosa? Nel campo della fiera vuoto, il primo Dulcamara che arriva vende il suo elisir ai felici paesani. Facile, no?

Respinti

Domenica sera è andato in onda la prima puntata del reportage “Respinti” di Riccardo Jacona, per la serie “Presa diretta”.

Articolo su: http://www.viaemilianet.it/notizia.php?id=2935 (con video su Novellara).

La domanda finale del sindaco: “Ma è lungimirante seminare odio e paura?”

Non sarà lungimirante ma certamente è stato utile alla creazione di un clima di intolleranza e chiusura, gestito e promosso dalla lega e goduto dalla destra. Un clima che abbiamo lasciato crescere e dove anche la gerarchia cattolica ha dato un suo contributo, almeno in termini di silenzio e accondiscendenza, quando non con aperta collaborazione, come nel caso del parroco (protempore) di s.francesco di città, vero campione di una chiesa dei ricchi.