Il carceriere di Moro trasformato in eroe (B.Tobagi)

 

La morte dell’ex Br Gallinari conquista i sommari dei tg: l’agenda mediatica lo consacra come protagonista della storia. In parallelo, fioriscono in rete gli encomi funebri al “compagno Prospero”. Con buona pace delle sofferte riflessioni avviate, ai tempi, da Rossanda sui “compagni che sbagliano”.
Commenti marginali, ma numerosi: “Riposa in pace guerriero”; “Un nome rosso e partigiano”; “Un saluto militante e riconoscente” scrivono i Proletari Comunisti, “onore e gloria”. Dal centro sociale Tempo rosso: “È morto un comunista, come noi contadino nella metropoli”. “Volato via troppo presto” scrive Baruda.net, “spero solo che al tuo funerale ci saranno migliaia di pugni chiusi a salutarti, perché le pagine dei giornali non si riescono a leggere, perché la sola lezione che possiamo dare a questo Stato, come ai nostri figli, è darti un saluto imponente. A pugno chiuso”.

Segue una poesia di Osip Mandel’stam: tragica ironia involontaria, citare un poeta imprigionato nei gulag in memoria di un militante delle Br che sognavano la dittatura del proletariato. Prevedibile che l’ex brigatista Ricciardi commemori “una vita dedicata alla lotta di classe… mettendo in gioco la propria esistenza per raccogliere e rilanciare la spinta rivoluzionaria che proveniva dal cuore stesso della classe operaia” (poco importa se gli operai, tra cui pure vi furono simpatizzanti, presero le distanze in blocco, manifestarono contro il sequestro Moro). Assai meno la ragazza classe 1989 che su Facebook saluta a pugno chiuso il “guerrigliero e compagno rivoluzionario”.

È l’ennesimo sintomo di un più vasto problema di rapporto con il passato. La società dello spettacolo, contraddistinta dall’eterno presente, fa sparire “la conoscenza storica in generale”, scrisse Guy Debord nei suoi Commentari, “e in primo luogo quasi tutte le informazioni e i commenti ragionevoli sul passato più recente”. Da decenni nel discorso pubblico il passato è nuvola confusa di narrazioni, mere propaggini strumentali al presente: ogni gruppo coltiva il proprio, e quando un soggetto è sufficientemente forte in termini mediatici, impone una propria versione dei fatti, conflittuale e alternativa.

Pensate alle rappresentazioni di Mani Pulite; a Craxi, esule/latitante; alle fantasiose versioni della caduta del governo Berlusconi nel novembre 2011. Il senso della storia repubblicano è affidato a un coacervo di “memorie frammentate”, ancor più che “divise”, prodotte da una pluralità di gruppi portatori non solo di memorie, ma di istanze valoriali profondamente diverse nella trasmissione e valutazione degli eventi passati. Tra le enclave più persistenti ci sono proprio le memorie “negate”.

Nella celebrazione della compatta risposta delle masse alla violenza brigatista, dal racconto del terrorismo degli anni Settanta si sono rimossi dati scomodi, per esempio le simpatie raccolte dai brigatisti in tanti mondi diversi, giovani frustrati e anziani rancorosi per la “resistenza tradita”, sottoproletari e intellettuali, e un retaggio di rabbie antiche che sopravvivono e si ripropongono (rinfocolate da vent’anni di berlusconismo e dai sacrifici dell’era Monti). Merita attenzione anche il fatto che molti stigmatizzano come a Gallinari, malato di cuore, furono a lungo negati i permessi e la detenzione domiciliare.

L’omaggio all’ex Br si mescola alla condanna delle “carceri infami”. Questo fa comprendere quanto sia importante che la battaglia per dare condizioni di vita dignitose ai detenuti e avviare un serio percorso politico almeno sulla limitazione, se non proprio sul superamento, della detenzione carceraria in favore di pene alternative, diventi sempre più un patrimonio comune, sulla base del dettato costituzionale e non del “rifiuto del sistema”.

Le memorie sono tante, è fisiologico che sia così. La retorica del “dovere” e del “valore” della memoria è vacua, se prescinde da una riflessione che riconosca l’esistenza di letture del passato e della società profondamente divergenti (laddove riconoscere, ovviamente, non è giustificare), s’interroghi sulle motivazioni dei conflitti, cerchi di persuadere soprattutto chi è più lontano alla condivisione di uno zoccolo duro di evidenze fattuali e di un terreno di valori condivisi. Quando questo percorso manca, non deve stupire che le enclave sopravvivano e orgogliose rivendichino il proprio passato, espellendo i dati di realtà scomodi e tenendo in vita pericolose “leggende nere”.

B.Tobagi

La Repubblica, 15.1.2013

 

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Un pensiero su “Il carceriere di Moro trasformato in eroe (B.Tobagi)

  1. Credo che il valore di quest’articolo stia nella frase
    “La retorica del “dovere” e del “valore” della memoria è vacua, se prescinde da una riflessione che riconosca l’esistenza di letture del passato e della società profondamente divergenti (laddove riconoscere, ovviamente, non è giustificare), s’interroghi sulle motivazioni dei conflitti,…”
    e di conseguenza nella firma di un figlio di vittima del terrorismo.
    Altrimenti sarebbe un articoletto.
    Così invece è proprio l’articolo ad uscire da beceri visioni di parte ed elevarsi nella più aperta delle considerazioni che fanno della storia un intreccio di protagonisti che comunque la storia ufficiale solitamente semplifica.

    Personalmente non mi è capitato di ascoltare mitizzazioni su Gallinari al di là di quelle che leggo qui.
    Ha fatto scelte, sicuramente perdenti e comunque sbagliate col senno del poi, visto la reazione a destra che ha avuto il paese.
    Lui ne ha preso atto senza abiurare ma solo dichiarandosi sconfitto.
    Ha cercato di mantenere una coerenza difficile perché in questi casi la si paga sulla propria persona, altri han fatto come lui, tanti invece han scelto percorsi più accomodanti. Ciò non fa di lui un eroe, ma sicuramente raccoglie il rispetto anche dei suoi nemici.
    In questo blog ha senso fare anche un’altra considerazione di fantasia: se avesse vissuto nell’epoca della Resistenza sarebbe stato un Sintoni, un Toscanino, un Eros o in chiave più operativa un Robinson. Come loro, finito la guerra, non avrebbe fatto carriera, lasciando posto ai Sacchetti.
    Invece è vissuto in un altro tempo e la storia ci dice che ha sbagliato, tragicamente per lui, per le vittime e per il paese.
    Ma poi ne ha preso atto.

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