Luigino e l’automobile di papà

Luigino e l’automobile di papà

A Luigino piaceva tanto la macchina di papà, la Punto giallina. Ci saliva di nascosto in cortile e poi partiva. Di testa. Con la fantasia, che le chiavi erano su in casa nel borsello di pelle del sig.Antonio. Luigino arrivava appena ai pedali ma non importava: partiva e via, strade e ponti, curve e autostrade, tutto gli scorreva davanti. Girava il volante, le frecce, faceva click-clack, la leva del cambio, un po’ dura e col pomello morbidoso, si spostava qui e là. Prima, seconda, terza. Era un grande pilota, come faceva le curve lui! Era facile, che ci voleva? Bruumm, brummm, ed eccolo a Milano, poi a Roma, Torino e poi Firenze (la geografia non era il suo forte ma in 4a elementare che si può pretendere?). Com’era bravo Luigino in auto! Corse a tutta birra, frenate, sbandate, fantastico come sapesse guidare Luigino già a nove anni!

Un giorno la distrazione del signor Antonio giocò un brutto scherzo a Luigino. Il papà era di fretta, doveva correre in bagno, a volte succede anche ai genitori. Troppe prugne secche la sera prima e così al ritorno dall’ufficio ecco i dolori, il sudore, insomma il bisogno. Entrare in cortile, spegnere il motore, uscire dall’auto e correre in casa fu un tutt’uno. Poi, superato il momento di difficoltà gastrica, ecco riprendere la normalità: a tavola con la famiglia per il normale pranzo con meritato riposino sul divano subito dopo.

Luigino fece quello che faceva sempre: attese che papà si abbioccasse e poi, lesto lesto, scese in cortile, salì in auto, come tante volte aveva fatto. Ma stavolta qualcosa di diverso c’era. Le chiavi erano innestate. Il padre, preso dall’attacco interiore, le aveva lasciate lì per arrivare più rapidamente al bagno di casa sua.

Le chiavi. Luigino non esitò un attimo. Che ci voleva? Tutti guidavano l’auto, le strade erano piene ma lui era un pi-lo-ta, altrochè, un super pi-lo-ta.

Girò la chiavetta e le lucette si accesero. Aveva osservato il padre tante volte e sapeva che col piede sinistro bisognava schiacciare qualcosa là sotto mentre si spostava la leva del cambio. Ma quale pedale? Ce n’erano tre! E poi era ancora piccolo e per arrivare a spingerne uno (quello di destra? sinistra? in mezzo? Erano uguali!) doveva quasi infilarsi sotto al cruscotto e si trovava col naso schiacciato sul volante, anzi proprio nel suo centro dove-quello lo sapeva di sicuro perché l’aveva visto fare tante volte-c’era il clacson che serviva a dire agli altri “scemo”, “spostati”, e altre parole meno educate che suo padre usava spesso guidando.

Si aggrappò al volante e si spinse verso il basso, schiacciò il pedale di sinistra, una due volte, niente, poi quello in mezzo, niente ancora. Solo quello di destra serviva a qualcosa: era il gas! Lo spinse e rimase godersi la lancetta di sinistra che saliva, il rumore tremolante e poi quasi lamentoso del motore su di giri. Poi, per mantenere il piede destro sul pedale e continuare quelle accelerate così divertenti, ormai in bilico sul bordo del sedile si sentì scivolare avanti e si aggrappò a quello che c’era. La mano destra sul pomello morbidoso e il piede sinistro sul pedale che giaceva inutile da quella parte là sotto.

La marcia fu innestata, il motore salì di giri e Luigino, finalmente ripreso l’equilibrio, potè lasciare pian piano, sempre per non perdere l’equilibrio, l’inutile pedale di sinistra.

Si accorse quasi subito che la finestra del signor Alfonso, quella a piano terra, si stava spostando e, oplà, era sparita, poi anche quella dopo sparì e quella dopo ancora.

Luigino era partito sulla macchina del papà.

Per fortuna la divina Provvidenza aveva voluto che il signor Esposito, quello del quarto piano, tornato da poco avesse chiuso il cancello d’ingresso al cortile del palazzo. Così Luigino, quando si trovò l’ostacolo davanti, da pi-lo-ta quale egli indubbiamente era, spostò il suo peso sul volante a destra e la macchina sterzò attorno all’angolo del condominio di via delle Stelle 5. Sempre in precario equilibrio teneva il piede destro sul pedale (l’unico utile), mentre col sinistro aveva finalmente trovato un appoggio ancora più a sinistra del pedale inutile là sotto.

Col motore imballato e la prima marcia ululante girò l’angolo e fu allora che la signora Rosetta del secondo piano, che era uscita sul balconcino per scuotere le briciole dalla tovaglia sulla testa della signora Ines del primo, realizzò il fatto:

-Gigino guida la macchina!

La notizia rimbalzò da un piano all’altro, risuonò di ballatoio in ballatoio, su per la tromba delle scale e giù fino alle cantine.

Nel tempo di un giro dell’auto attorno al palazzo tutti erano affacciati a finestre e balconi. Il povero signor Antonio che, resuscitato dal sonno postprandiale, aveva subito riconosciuto l’ululare  della sua Punto giallina impegnata in quel carosello circolare, riuscì solo a urlare:

-Fermatelo!

Ma la sua invocazione cadde nel vuoto, e non solo perché stava al quarto piano. Di colpo dalle finestre, balconi, tinelli, cucine e soggiorni ecco diffondersi in un crescendo quasi rossiniano una serie prima di sussurri poi di voci, crescenti e più forti e chiare:

-Bravo Luigino!

-E’ giovane: lasciamolo provare!

-Peggio di suo padre non farà!

La maggioranza del condominio si era espressa e, in democrazia, la maggioranza ha sempre ragione.

Il signor Antonio che era corso giù per fermare Luigino, gli urlava a ogni passaggio:

-Fermati! Fermati! Non sai guidare!

Ma le voci, ora divenute quasi un coro l’avevano presto coperto:

-Ecco, ce l’ha con lui!

-Rosichi, eh, perché lui è giovane?

-Lascialo fare, poi vedremo..

Al signor Antonio non rimase altro che sedere sul gradino d’ingresso fra un geranio ingiallito e un oleandro morente e piangere con grande dignità, in silenzio.

Al primo giro Luigino centrò due vasi (di terracotta) di ortensie, la bicicletta della signora Ines e quella della figlia del signor Alfonso che gliela aveva regalata la settimana prima, col paraurti agganciò un sacco dell’immondizia lasciato sul vialetto, lo stracciò e sparse varia roba in giro.

Al secondo giro livellò a zero Pucci il gatto adorato della signora Rosetta che restò con l’ultimo grido di incoraggiamento (“Dai, fagliela vedere a quei vecchi parrucconi!”) strozzato in gola. Staccò di netto il paraurti della Golf del signor Totò, compagno della signora Ines, trascinandoselo dietro fino a colpire lo scooter della nipote che, cadendo, travolse la portiera dell’auto a fianco, quella del geometra del secondo piano.

Al terzo giro la sorte si accanì sulla famiglia Esposito: prima fu la volta di Pixy, il barboncino, travolto ma in modo non definitivo, riportando solo la frattura della zampa posteriore destra e dell’anteriore sinistra. Poi fu la Panda della moglie ad essere centrata nel posteriore con distacco della fanaleria e afflosciamento di uno pneumatico.

Ad ogni giro davanti all’ingresso, dove sedeva in lacrime il padre, Luigino gridava forte per farsi sentire (non era riuscito ad abbassare i finestrini):

-Guarda come vado forte! Ho già la patente! Domani partiamo tutti in vacanza e guido io! Ti compro la macchina nuova! Andiamo tutti al mare!

La storia racconta poi come finì la corsa-direbbe il poeta: alla metà dell’ottavo giro, dopo 5 macchine danneggiate, tre biciclette schiacciate, due scooter da rottamare, 1 gatto morto, 1 cane sciancato, 1 pappagallino fuggito (quello del signore del 3° piano che nel trambusto non aveva richiuso la finestra dopo la sua partecipazione ai cori d’incitamento al pi-lo-ta), undici vasi di fiori distrutti, un pallone da calcio bucato (quello era di Luigino stesso che se l’era dimenticato il pomeriggio precedente), spazzatura sparsa ovunque, per dimostrare che destra e sinistra erano la stessa cosa, all’avvicinarsi dell’ennesimo angolo Luigino sterzò bruscamente a sinistra e, anziché proseguire nel fantastico percorso, la Punto si diresse decisa verso il cancello chiuso contro cui infranse fanaleria, radiatore, sospensioni e cofano, mentre il parabrezza sopravvissuto all’urto fu giustiziato dal crollo del grazioso lampioncino in pesante ferro battuto che sormontava il cancello medesimo.

Fu il silenzio. Ma per poco. Il signor Antonio accorse temendo danni fisici a Luigino ma l’audace giovinezza era stata più forte. Il fanciullo si scosse dalla polvere dell’airbag esploso, scese tranquillo e soddisfatto, guardò trionfante il padre e proclamò:

-Visto che roba? Visto come si fa? Ho vinto il Gran Premio!

Luigino e l’automobile di papàultima modifica: 2018-12-24T11:59:04+01:00da pelikan-55
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