Mladic, Eichmann e i mostri della storia (Emilio Carnevali)

Il 12 ottobre 2010 è in programma a Genova la partita Italia-Serbia, valida per le qualificazioni ai campionati europei di calcio. Fin dal pomeriggio i tifosi serbi si scontrano con le forze dell’ordine nel centro della città. La sera, dentro lo stadio, si scatenano. Il capitano della Serbia, il giocatore dell’Inter Dejan Stankovic, corre insieme ad altri compagni di squadra sotto gli spalti dei suoi tifosi e cerca di “calmarli” applaudendoli e esibendo tre dita da entrambe le mani (il gesto dei cetnici, simbolo del nazionalismo serbo). Il telecronista Rai Marco Mazzocchi spiega ai telespettatori italiani (cito a memoria): “Sta facendo il gesto del 3. Gli sta dicendo: se continuate così ci fanno perdere 3 a 0 a tavolino”. Ovviamente i tifosi serbi continueranno nella loro opera di devastazione e la partita verrà sospesa.

_41629000_mladicapok.jpgD’altra parte quelle erano probabilmente le stesse persone che pochi giorni prima avevano attaccato i manifestanti del Gay Pride in corso a Belgrado e probabilmente ancora le stesse che qualche giorno fa sono scese in strada a migliaia per protestare contro l’arresto dell’ex generale Ratko Mladic. L’intreccio fra il calcio e le vicende politiche e belliche della ex Jugoslavia rimanda a un capitolo di quel conflitto che non possiamo affrontare nemmeno sommariamente. Ci limitiamo a ricordare che Zeljio Raznatovic, più noto con il famigerato soprannome di Arkan, era un capo ultras della Stella Rossa, la più blasonata squadra di Belgrado, prima di dar vita al gruppo paramilitare delle Tigri, i cui componenti vennero in gran parte reclutati proprio fra gli ultras e che si rese protagonista di alcuni dei peggiori massacri perpetratati durante la guerra di Bosnia. Quando Arkan fu assassinato – nel 2000, a guerra ormai finita – fu salutato a Belgrado da una folla di 20.000 persone; anche in Italia, nella curva dei tifosi della Lazio (notoriamente infarcita di gruppi di estrema destra), fu issato uno striscione che recitava “Onore alla tigre Arkan”.

Tuttavia il collegamento fra un elemento ordinario della nostra esperienza quotidiana come il calcio ed un evento assai lontano, di difficile comprensione almeno per le generazioni più giovani, come la guerra – la guerra nella sua stra-ordinaria atrocità – può forse essere utile per riflettere sul pericolo che un certo tipo di pratica della memoria possa scivolare paradossalmente nel suo opposto, ovvero in una Grande Rimozione. E’ il pericolo che corriamo quando separiamo certi fenomeni dall’orizzonte delle nostre possibilità, dei nostri destini collettivi, appiccicandogli addosso l’etichetta della mostruosità dis-umana. Siamo di fronte a una problematica ben al di là del dilemma – anch’esso presente in casi come questi – di una giustizia che opera sempre e solo nei confronti degli sconfitti, ovvero del terribile ammonimento che ci ha lasciato Joseph Goebbels quando nel 1943 dichiarò: “Passeremo alla storia come i più grandi statisti di tutti i tempi, o come i più grandi criminali” (ai giorni nostri George W. Bush non è celebrato come un grande statista, ma c’è da esser certi che non sarà mai condotto alla sbarra per rispondere di crimini contro l’umanità).

Lo scorso 3 giugno l’ex generale Mladic, il cosiddetto “boia di Srebrenica”, è comparso – vecchio e traballante – in un aula del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Contro di lui ci sono undici capi di imputazione: genocidio, sterminio, omicidio, deportazioni, torture, crimini contro l’umanità, violazione delle leggi di guerra, presa di ostaggi (i soldati delle Nazioni Unite), attacchi contro civili inermi. Di fronte al giudice Mladic ha dichiarato: “Non sono né colpevole né innocente”.

Eichmann.GIFSignificativa l’assonanza fra questa dichiarazione e quella fornita nel 1961 dall’ex gerarca nazista Adolf Eichmann al giudice del tribunale di Gerusalemme che lo processava per crimini contro l’umanità e contro il popolo ebraico: “Non colpevole nel senso dell’atto d’accusa”. Mladic ha detto di aver aver semplicemente difeso il suo popolo, Eichmann dichiarò di aver operato in osservanza delle leggi del suo paese (e su questo punto è difficile eccepire).
E’ probabilmente vero che per esercitare il ruolo che Mladic rivestì nel corso della guerra è necessaria anche una buona dose di personale efferatezza. Come è sensata l’obiezione che Timothy Garton Ash – in un articolo pubblicato su Repubblica lo scorso 4 giugno – muove ai critici che domandano: “Perchè vi limitate a mettere sulla graticola i pesci grossi e lasciate nuotare via i pesci piccoli?”. “Questo è vero”, ha risposto Garton Ash, “ma è inevitabile. Non è immaginabile processare tutte le decine di migliaia di colpevoli, con diverse responsabilità, delle atrocità commesse da una qualsiasi dittatura. O si crede che sia forse meglio il contrario: catturare i pesciolini e lasciare liberi i pesci grossi?”. Se però questo è vero dal punto di vista del diritto, non può essere valido dal punto di vista della storia, della memoria e della costruzione di una lettura dei fatti utile a poter almeno tentare di fare in modo che certe cose non accadano più.

Il “mostro disumano” può infatti essere un modo comodo – e pericoloso – per attuare quella cancellazione della responsabilità collettiva che sola può spiegare l’odio come prodotto di complesse dinamiche culturali, sociali ed economiche e non semplicemente come risultato dell’esaltazione di un pugno di individui.

E’ forse un meccanismo simile a quello che sta anche alla base della morbosa attenzione dedicata dalle nostre televisioni e da certa stampa ai numerosi casi di cronaca di nera con i relativi “mostri” da prima pagina: che sia in fondo un modo per esorcizzare gli spettri più spaventosi e inconfessabili che si aggirano anche fra i pensieri e le fantasie delle persone più “normali”? Che tutta questa nostra passione per i vari plastici della villetta di Cogne e della casa di Garlasco sia un modo per marcare comunque la distanza fra noi e loro (i mostri), per rassicurarci sul fatto che noi non potremo mai essere come loro?

Sono tutti interrogativi le cui risposte non sono davvero alla nostra portata. Più modestamente – tornado al tema iniziale – ci vorremmo limitare a mandare un applauso simbolico al signor Andy Newman, segretario del sindacato Gmb Union. Ogni anno la sua organizzazione versava 4000 sterline alla squadra dello Swindon Town (quarta divisione inglese), ma da quando è stato chiamato a dirigerla l’ex calciatore italiano Paolo Di Canio ha deciso di interrompere la sponsorizzazione: «Siamo un sindacato di lavoratori e non possiamo avere rapporti commerciali con un club che ha un allenatore fascista. Non abbiamo scelta. E’ un peccato, ma non possiamo fare altro». Cose che possono accadere solo in Inghilterra. Da noi i saluti romani di Paolo Di Canio sono considerati inoffensiva goliardia. Sarà questa la “banalità del male”?

(6 giugno 2011)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/mladic-eichmann-e-i-mostri-della-storia/

Una scheda completa sulla strage di Sebrenica è in: http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/675945.stm

Mladic, Eichmann e i mostri della storia (Emilio Carnevali)ultima modifica: 2011-06-06T23:51:00+02:00da pelikan-55
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