“Ei fu, siccome immobile, dette il mortal sospiro“…quale sarà il fortunato poeta che canterà la fine, ingloriosa, ridicola e grottesca del nostro presidente (provvisorio)? Chi lo travolgerà, l’ennesima minorenne, la velina-assassina che farà schioppare l’ultima, eroica, coronaria, un peto tonante sfuggito al cospetto dei grande del G8? No, lo sappiamo: sarà un complotto della sinistra, un colpo di stiletto dei soliti comunisti o di qualche giornalista-giustizialista che sobillerà, mesterà, tramerà. E il grande uomo cadrà, come la statua di Saddam sulla piazza di Bagdhad, e noi come la cara Jenny dei Pirati di brechtiana memoria, diremo “oplà!”.
Nell’attesa registriamo il risveglio della CEI che si è ricordata che un leader dovrebbe, almeno, non esagerare in ciarpami e vaccate varie. Meglio tardi…Ma intanto l’operazione “Salvate il satiro Silvio” è partita, ohibò, con la solita vecchia tattica: 1. Intervista a “Porca a porca”; 2. Insulti alla signora Veronica della stampa leccobarda; 3. Fuoco di copertura dei giornalisti della “Compagnia dell’agnello”. Se qualcuno ha lo stomaco si legga oggi “Il limite che non c’è” del sublime P.L.Battista, ovviamente attrezzandosi con stivaloni e grembiule per non rimanere inzuppati della saliva del “giornalista”, impegnato nella sua linguistica occupazione. E quello una volta era il “Corriere” di Ronchey e Ottone. Tempi duri, non c’è che dire.
Non volevo commentare: continuo a non fidarmi copletamente della denuncia di Veronica, non vorrei che fosse un polverone sollevato ad arte… Ma se è tutto vero, l’immagine che esce degli uomini del capo (Rossella compreso, ma che giornalista è?)è devastante e devastata. Maschilismo e sessismo allo stato puro, nella più pura tradizione fascista. Ho ripensato al Duce e alla fine che fece fare alla sua prima “moglie” e al figlio avuto da lei. Almeno Veronica questo se lo risparmierà…
Una famiglia di troppo
L’attaccamento della destra alla famiglia cristiana fondata sul matrimonio
indissolubile è un mito fondato sulla ipocrisia, con risvolti tragici per
quanto riguarda l’origine nel fondatore del fascismo, e farseschi negli
attuali esponenti del centro-destra. Costoro gridano alla “dissoluzione”
morale e sociale che precipiterebbe se passasse un’idea della famiglia e
del matrimonio un po’ più ampia e laica rispetto a quella delle gerarchie
della chiesa, atteggiandosi a strenui campioni del modello familiare da
queste proposto, come se nessuno conoscesse le loro storie private di
matrimoni dissolti, coppie di fatto, separazioni e divorzi: che potrebbero
restare, come sono, fatti privati, se essi non pretendessero di ergersi a
giudici e dare lezioni di morale e religione.
Nel caso di Mussolini, poi, il mito familista si erge sulla tragica sorte
di un figlio e di una madre, sacrificati nelle loro vite, di cui si è
cercato di cancellare anche il ricordo. Non si può perciò che apprezzare
l’annuncio a sorpresa di Marco Bellocchio di un suo prossimo film, sulla
vicenda tragica e sconosciuta di Benito Albino Mussolini, figlio del duce
del fascismo, e sulla madre di lui. Benito Albino nacque l’11 novembre
1915 a Milano, da una relazione che Mussolini ebbe con Ida Irene Dalser,
35enne originaria di Sopramonte di Trento, dopo che aveva rotto con il
partito socialista, saltando all’estrema destra facendosi acceso
propagandista della guerra. La Dalser, che aveva vissuto per un certo
tempo a Parigi, a Milano aveva aperto uno dei primi gabinetti di “igiene
estetica e massaggio”. Chiuse l’attività ben avviata per seguire Mussolini
al “Popolo d’Italia”.
I due si sposarono, e questo risulta dal fatto, di cui è rimasta traccia
documentaria, che alla Dalser veniva corrisposto dallo stato durante la
guerra il sussidio settimanale erogato alle famiglie dei richiamati, quale
“moglie del militare Mussolini Benito”.
Nella sua imponente biografia di Mussolini in otto tomi e migliaia di
pagine, Renzo De Felice dedica alla vicenda del primo figlio maschio poche
righe, confinate in una nota del primo volume, in cui scrive: «Verso la
fine del 1914 Mussolini strinse una relazione sentimentale con una
trentina di nome Ida Irene Dalser, titolare di un gabinetto di bellezza
fisica a Milano. La relazione fra i due fu lunga e burrascosa. Da essa
nacque nel novembre 1915 un figlio (che morì in manicomio nel 1942) a cui
fu imposto il nome di Benito Albino Dalser, che Mussolini riconobbe nel
gennaio 1916 e per il cui mantenimento, citato in un secondo tempo dalla
Dalser, si impegnò alla fine del luglio 1916 a corrispondere la somma di
200 lire mensili. Abbandonata da Mussolini, la Dalser lo perseguitò a
lungo tanto che, con decreto prefettizio 22 maggio 1917, fu allontanata da
Milano e poi internata, come suddita nemica, a Caserta».
De Felice null’altro dice sulla disgraziatissima vita di questo infelice
figlio del Duce, sul rapporto col padre e perché fosse stato rinchiuso in
manicomio e come vi fosse morto appena ventisettenne privato del cognome
paterno. Nell’indice dei nomi, Benito Albino è citato sotto il cognome
della madre, e questo la dice lunga sulla dipendenza dello storico dai
giudizi delle fonti fasciste e in primis dello stesso Mussolini, che quel
figlio voleva cancellato.
Nulla dice De Felice sul fatto che la Dalser sostenesse di essere stata
sposata con Mussolini, ma la cosa che colpisce di più è che essa – per non
aver accettato semplicemente di scomparire dopo essere stata scaricata ed
aver continuato a battersi per i diritti del figlio come una madre sa fare
– viene presentata dal De Felice/ Mussolini come la “persecutrice”, con
cinico rovesciamento delle parti. Per cui tutto il seguito – la
deportazione, l’internamento, la reclusione forzata in manicomio
nonostante fosse perfettamente lucida e sana, la sorte del figlio, la
morte – ne viene ad essere giustificato. Mussolini vittima e Dalser
carnefice: un altro esempio di quel “ribaltonismo storiografico”, su cui
si vorrebbe costruire una “memoria condivisa”.
Lo stesso De Felice pubblica una lettera pervenuta nell’ottobre 1919
all’allora presidente del consiglio Nitti da un amico giornalista, in cui
si riferisce che il futuro duce «promette di addolcire il tono» nei
confronti del governo se non lo si attacca troppo nei giornali governativi
e, «per scendere a cose anche più basse, il Mussolini ha una certa Darsen
(sic!), una donna dalla quale ha avuto un figlio, che lo perseguita… Si
potrebbe allontanarla da Milano per ottenere in cambio che il Mussolini
stia quieto?». La donna è dunque proposta come oggetto di scambio e la
fonte, che suggerisce di accettare i desiderata di Mussolini per ricavarne
vantaggi politici, non esita ad ammettere che si tratta di bassezze.
Quando Mussolini divenne capo assoluto del governo, quelle «cose anche più
basse» non dovette più oltre barattarle, ma poté semplicemente ordinarle,
rimuovendo dal mondo dei vivi e cercando di cancellare le tracce
dell’esistenza di due persone e una famiglia di troppo. Schiacciando vite
e falsificando carte. Meritando così, grazie anche a un matrimonio
celebrato con tutti i crismi dell’autorità religiosa, la fama di esemplare
cultore della… sacra famiglia.
Ruggero Giacomini
da La rinascita della sinistra
7-6-2007