La storia di Giorgio Gandini

Giorgio Gandini, 17 anni da esule. Dalla persecuzione in Italia alla primavera di Praga (V.Lecis)

Alle 4 del mattino la Lancia della federazione comunista di Ferrara è parcheggiata in via Ripagrande. Al posto di guida è seduto Guido Bertacchini, l’autista del Pci locale. Bertacchini guarda impaziente dai finestrini appannati in attesa di qualcuno che deve arrivare. Finalmente il portone del numero civico 21 si apre e una lama di luce si proietta sulla strada debolmente illuminata. L’uomo che si avvicina all’auto indossa un cappotto pesante e nelle mani stringe  la custodia della sua Lettera 32. Giorgio Gandini, un giovane giornalista comunista di 28 anni, sale nella macchina. Si salutano con gli occhi gonfi di sonno. Gandini non ha perso il suo proverbiale buon umore e la voglia di scherzare anche se una valanga gli è precipitata addosso. Lui però tiene duro, fedele alla massima di Lenin secondo il quale le caratteristiche di un rivoluzionario devono essere la pazienza e l’ironia. Almeno la seconda non gli manca di certo. Insieme cominciano un lungo viaggio verso Milano.

Quella  mattina gelida del 7 ottobre 1956, Giorgio Gandini comincia a percorrere la strada dolorosa ed esaltante dell’espatrio, una scelta di vita obbligata. Inseguito da due mandati di cattura a causa delle condanne a sei-sette anni di carcere per vilipendio al governo, alle forze di polizia e istigazione a delinquere è costretto a lasciare l’Italia con destinazione Praga, la capitale di uno dei paesi del cosiddetto socialismo reale: la Cecoslovacchia.

Gandini è un giornalista brillante e tagliente. Di famiglia antifascista, giovanissimo partigiano della Brigata Garibaldi “Bruno Rizieri”, fonda a Ferrara nel 1947 con altri giornalisti l’Associazione Stampa. Nel frattempo diventa prima redattore e poi direttore responsabile fino al 1956 del settimanale della federazione comunista la Nuova Scintilla, un organo di stampa combattivo e di controinformazione. Fino al 1953 è anche il corrispondente dell’Unità dal ferrarese.

Gandini non le manda a dire. Scrive in difesa dei braccianti del Delta Padano, racconta le bestiali condizioni di vita di quella gente, descrive le violenze della polizia e dei carabinieri. In quegli anni davvero di piombo, le forze dell’ordine di Scelba sparano. E uccidono persone inermi nel Ferrarese come Ercolei, Margotti, Mazzoni, Fantinuoli. Un clima tremendo segnata da fame e repressione  costellata da centinaia di arresti e migliaia di feriti.

Finisce nel mirino. E’ conosciuto, non fa sconti. La sua è una penna affilata. In quell’epoca da una parte c’è il Pci, dall’altra gli agrari e la Dc. Due mondi contrapposti che si guardano in cagnesco divisi da concreti interessi di classe. Non c’è molto spazio per zone grige o terzismi. Gandini subisce una raffica di processi per direttissima e diverse condanne. Dicono di lui che ha “un’intelligenza subdola per attizzare i braccianti ignoranti”. (nella foto, a destra, mentre intervista proprio un bracciante negli Anni Cinquanta)

“Nella sede della Dc. Nacque lì la vera decisione di farmi espatriare” racconta oggi Giorgio Gandini, classe 1928, seduto con la moglie Lori nel divano del salotto della sua casa piena di libri, quadri e ricordi di una vita di battaglie. “Ero amico di Gilberto Formenti, allora direttore della Gazzetta Padana il giornale degli agrari. Mi telefonò proponendoci di vederci. Venne a prendermi a casa, in via Ripagrande 21. Mi disse: hai troppe condanne, ora cade la condizionale e ti arrestano. Ti porto dal prefetto dove troverai anche il segretario della Dc. Tu dovrai dire in loro presenza soltanto di aver esagerato e vedrai che sarai assolto nella prossima udienza. Che cosa ti costa?”.

Com’è andata  a finire ora lo sappiamo. Giorgio Gandini non si piega ma non vuole subire una carcerazione che considera ingiusta, una ritorsione dei nemici di sempre, di quella odiatissima classe degli agrari assenteisti e sfruttatori.. Il Pci decide che Giorgio deve cambiare aria. Allora succedeva così: il partito comunista tutelava quegli iscritti particolarmente esposti e sottoposti alle persecuzioni. Ex partigiani, giornalisti, amministratori locali, militanti operai venivano aiutati a lasciare l’Italia che viveva sotto il tallone di un centrismo che non dava respiro e che si stava preparando al boom economico.

“Andai con Italo Scalambra, all’epoca segretario della federazione comunista, a Botteghe Oscure sede della direzione nazionale a Roma. Parlammo con Sergio Segre e Pietro Ingrao. Ricordo che quest’ultimo si dichiarò in disaccordo con l’idea di farmi abbandonare l’Italia. L’incontro più importante fu con  Aldo Lampredi, il partigiano Guido, l’uomo che con il colonnello Valerio aveva giustiziato Mussolini. Lui andò subito al sodo ma chiese di proseguire la nostra conversazione fuori dagli uffici della direzione. Ci ritrovammo così in un bar di Largo di Torre Argentina. Lampredi si fece consegnare anzitutto le mie tessera del Pci e dell’Anpi. Il partito ufficialmente non c’entrava nulla, non doveva assolutamente restare coinvolto. Mi domandò quale nome volessi scegliere per la mia nuova vita. Ci pensai un istante, il partito aveva esaurito la scorta di Rossi, Verdi, Bianchi. Dissi: Michele Valle, per collegarmi idealmente con i braccianti delle valli di Comacchio e del Delta. Lui prese nota e ci disse di tornare a Ferrara, si sarebbero fatti vivi in breve tempo”.

Alle 4 del mattino del 7 ottobre 1956 un’auto attraversa una Ferrara gelida e deserta. Alla guida c’è Bruno Bertacchini, al suo fianco Giorgio Gandini. La destinzione è Milano. Luogo dell’appuntamento con Aldo Lampredi, la stazione centrale di Milano nella sala dove è esposto un vero piroscafo. Il viaggio procede semza intoppi ma, arrivati alle porte di Milano, Giorgio chiede di scendere dall’auto. La prudenza non è mai troppa e bisogna rispettare le vecchie regole della clandestinità. Anzitutto accertarsi di non essere seguiti. Saluta Bruno con un abbraccio, chissà quando si sarebbero rivisti un’altra volta.

segue in:

http://www.fuoripagina.net/tagliobasso-generale/a-praga-17-anni-da-esule-giorgio-gandini-dalla-repressione-in-italia-alla-primavere-di-dubceck.html