Il sangue innocente del Risorgimento (Normanna Albertini)

Sul numero di Tuttomontagna in edicola l’articolo recensione-intervista a “Question Time”

297365_2263012508054_1630737040_2305070_2091925295_n.jpgSono passati soltanto 150 anni e del Risorgimento, dopo un’iniziale ondata di partecipazione, si parla ormai con poco slancio, mentre fioriscono decine di volumi d’ogni genere: dai romanzi ai saggi storici, sociologici, di costume, alle raccolte fotografiche. Opere più o meno serie, più o meno imparziali, talune contraddittorie, altre chiaramente revisioniste. Nel filone si avventura anche Massimo Storchi, storico reggiano che ha alle spalle diverse pubblicazioni sulla Resistenza, dando alle stampe “Question time. Cos’è L’Italia – Cento domande (e risposte) sulla storia del Belpaese” (Aliberti editore, 2011), nel quale ripercorre oltre un secolo e mezzo di storia della nostra nazione tramite cento domande e relative risposte. Con spiegazioni e stimolanti punti vista, dallo Statuto Albertino del 1848 alla Seconda repubblica, Storchi invita a rivedere la storia provando anche a ridimensionare alcuni luoghi comuni. E svelando i retroscena taciuti e rimossi di un Risorgimento che è stato, comunque, una guerra, quindi un massacro. Come la carneficina del 14 agosto 1861 a Casalduni e Pontelandolfo, nel Beneventano, quando, su ordine del generale Enrico Cialdini (il cui busto troneggia oggi all’ingresso del Comune di Reggio Emilia), la colonna del maggiore Melegari e la colonna del colonnello Negri invasero i due paesi. Lo scopo deliberato era di raderli al suolo come rappresaglia per la fucilazione di pochi giorni prima di 40 militari piemontesi, avvenuta al culmine di una serie di episodi di insubordinazione. Fu un eccidio: uccisioni a sangue freddo, stupri e saccheggi ai danni della popolazione inerme. Lo scempio non è mai stato accertato dallo Stato italiano e ancora non ne sono chiari i contorni: dai 13 morti ufficialmente riconosciuti all’epoca, agli almeno 400 attribuiti da tutti gli storici moderni, agli oltre 1000 che le ultime ricerche storiografiche stanno facendo venire a galla. Una tragedia di proporzioni bibliche, per la quale lo Stato non si è mai scusato. Nel Beneventano, come nel resto del Sud Italia, quelli furono giorni difficili: il brigantaggio aveva fatto presa sui ceti popolari, delusi dai Piemontesi che trattavano i meridionali alla stregua di “terroni africani” e ne saccheggiava i territori; tutto a vantaggio dell’espansione del Nord Italia. Si ponevano le basi per quella “questione meridionale” che sopravvive anche ai nostri giorni, ma che, all’epoca, si tingeva di drammatici contorni fatti di fucilazioni, agguati e rappresaglie. Il sindaco di Reggio Emilia aveva palesato, qualche tempo fa, il suo solidale pensiero rispetto ai fatti di quel 14 agosto, così, in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, aveva invitato il Sindaco di Pontelandolfo a Reggio per ricevere il Primo Tricolore. Mercoledì 3 agosto, nella Sala del Tricolore di Reggio Emilia, la cerimonia di consegna, a cui ha invece  partecipato il vicesindaco della città beneventina, Donato Addona: “Non vogliamo – ha detto Addona – che Pontelandolfo sia ricordato come un covo di briganti contrari all’Unità d’Italia, perché così non fu. Ma riteniamo giusto che a distanza di 150 anni venga finalmente alla luce la verità su un eccidio ingiustamente compiuto”. Il 14 agosto, durante la “Giornata del ricordo”, il primo vessillo nazionale donato da Reggio ha sventolato a Pontelandolfo al cospetto di alte cariche istituzionali e dell’ex premier Giuliano Amato. Questo, dunque, uno dei tanti episodi su cui Storchi si sofferma con il puntiglio e l’accuratezza dello storico che conosciamo. L’idea del libro l’ha avuta durante le presentazioni in giro per l’Italia del suo saggio “Il sangue dei vincitori”, imperniato sull’azione delle “Corti di Assise straordinaria” che dovevano perseguire i crimini compiuti dai fascisti nel corso dei venti mesi di occupazione tedesca. Ogni presentazione si chiudeva con tante domande che non riguardavano soltanto i temi trattati dal libro, ma anche tutto il novecento italiano e più. Insomma: una grande voglia di “vera storia” non snaturata e piegata a fini politici: “Ormai noi siamo, in Italia, in una situazione molto particolare, – spiega Storchi, – si allarga la forbice tra storiografia seria e quel che la gente pensa sia la storia. Una volta in televisione andavano le trasmissioni di Zavoli; oggi, in programmi come Voyager, si mettono insieme la Sindone, Hitler, i Templari, gli Alieni e gli Ufo e tutto ciò, se va bene, crea solo una grande indifferenza. Se va bene. Faccio lo storico perché sono convinto che la mia sia un’operazione etica, nobile. Un cittadino che non conosce la propria storia è dimezzato e cade facilmente nei cortocircuiti, nelle trappole della storia. In uno Stato convivono necessariamente diverse memorie, che non sono memorie condivise, ma che, in democrazia, è corretto che escano e che si confrontino nel dialogo. Tutto ciò diventa però pericoloso quando chi ha il potere politico ha anche il potere mediatico. ” Partendo dall’unificazione nazionale, il volume passa per le guerre, la Resistenza e il dopoguerra per arrivare alla contemporaneità che Storchi definisce “difficile”; l’ultima domanda verte infatti sul mito della Padania, ma ce n’è anche per il falso mito degli “italiani brava gente”.

Per uscire dai vincoli stretti dell’ambito storiografico e potenziare la comunicazione del libro, Storchi ha voluto inserire diverse illustrazioni satiriche di Gianluca Foglia (Fogliazza), autore satirico, fumettista, illustratore, autore teatrale. Foglia collabora con l’Anpi nazionale (on line ogni lunedì una vignetta in home page), con IlFattoQuotidiano.it, e narra la Resistenza a fumetti in teatro, portando a spasso per l’Italia il suo “Memoria Indifferente”, dove parla anche di cinque partigiane dell’Appennino Reggiano. “Un giorno Massimo mi scrive, – racconta Foglia, –  mi dice che ha trovato molto interessanti le vignette che settimanalmente pubblico sul sito nazionale dell’Anpi e che ha un’idea: il suo ultimo libro illustrato da una mano satirica. Per me l’onore è stato immediato: ho fatto finta di pensarci un quarto d’ora poi ho accettato (ma solo dopo che ha offerto lui il caffè). Quindi l’idea è stata di Massimo (comunicatore della memoria anch’egli alla ricerca di nuovi veicoli comunicativi) e l’editore l’ha accolto con favore da subito. Il protagonista è Massimo; l’altro, nell’idea originale, è lo studente col quale lo storico dialoga. Il libro doveva essere un dialogo tra un ragazzo perfettamente italiano, ma di genitori stranieri, che interroga Storchi. Un’idea per non rendere il libro didascalico.” Perché Massimo Storchi come protagonista delle vignette? “Serviva illustrare, impreziosire le vignette, farle diventare illustrazioni.– spiega Foglia. –  E Massimo è uno storico non solo bravo, ma atipico, brillante, tanto che bisognerebbe presentare ‘Fortezza Bastiani’, il suo blog, prima ancora dei suoi libri. L’ironia di cui è capace graffia come quella di un autore satirico, spesso è dissacrante. Volevo inoltre sorprenderlo facendolo diventare un personaggio illustrato (chissà che non ci sia un seguito…), volevo che la sua scrittura proseguisse anche nell’immagine a matita e credo che l’operazione sia riuscita. Lui si è piaciuto moltissimo e io mi son sbizzarrito!” Sfogliando il libro e soffermandosi sui disegni, ci si chiede se la loro elaborazione sia stata anche una scusa per ridere delle nostre disgrazie: “A dir la verità c’è poco da ridere! – continua Fogliazza. –  Son tutte situazioni che più che ridere inducono una riflessione, anche se questa è più impegnativa di una risata. In genere le mie vignette, la mia satira, preferisce scavare per smuovere un pensiero per non limitarsi alla battuta che lascia il tempo che trova. Le risate ce le siamo fatte guardando Massimo come si presta ad essere un vero protagonista disegnato: il primo storico che diventa un personaggio disegnato. Cavoli, se non è rivoluzionario questo! Le maledizioni e le imprecazioni ce le siamo tenute per noi, nel senso che con uno sguardo ci siamo intesi anche su quelle, ma i tempi per condividerle non conciliavano con quelli di consegna per Aliberti: abbiamo dovuto correre, ma avevamo i polmoni per farlo. Comunque adesso abbiamo tutto il tempo per imprecare con comodo: chi comincia?” Nel progetto di Gianluca Foglia, il disegno di copertina doveva avere lo stesso stile delle illustrazioni interne, ma l’editore ha deciso diversamente. Quindi: ecco una leggera prospettiva con Garibaldi (immancabile e doveroso), poi un balilla e la Repubblica Italiana. Da notare quello che sembra un errore di profondità, ma assolutamente voluto: il balilla è “dietro” la Repubblica Italiana, ma il suo moschetto si trova “avanzato” rispetto alla Repubblica. È  la nostalgia che fa capolino, è la minaccia che torna, è un passato che non è mai passato del tutto; sono le responsabilità italiane con le quali non abbiamo mai fatto i conti.