Silenzio, parla il Corsera

Riporto integralmente il pezzo di G.Caliceti, apparso oggi su Reggio 24Ore:

Dopo il ritratto di Gelmini come un San Sebastiano trafitto dalle polemiche firmato da Galli Della Loggia, ieri dal Corriere della sera arrivano le parole di stima al ministro attraverso la penna di Aldo Cazzullo.

“Quando la settimana scorsa Mariastella Gelmini ha denunciato, in un’intervista al Corriere, la persistenza di aree di militanza politica nella scuola, si sono levate contro di lei molte critiche. Ora appare chiaro che il ministro non aveva torto.” Di cosa si sarebbero macchiati alcuni docenti italiani? Di aver gridato pace subito o ritiro delle truppe?
No, di non aver fatto osservare in modo compatto ai propri studenti il minuto di silenzio per i soldati morti. E così Cazzullo usa morti e bambini per difendere Gelmini. E ci da una lezione di pedagogia di guerra. E si rammarica perchè la scuola riesce a trasformare anche un’occasione di unità nazionale in un punto di divisione e si ostina a leggere qualsiasi vicenda attraverso le lenti della politica, peggio ancora dell’ideologia.

Forse sarebbe meglio che Cazzullo lasci stare i morti e i bambini. E ci dica piuttosto se trova naturale – o troppo politico o ideologico – che oggi, già alle elementari, un bambino italiano non sappia il nome del Papa o del presidente della Repubblica ma quello di Berlusconi. Accadeva così solo in un altro periodo storico dell’Italia.
Bello riempirsi la bocca con parole come Dio, Patria, Famiglia. Importanti, per carità. Ma solo se calate nella realtà, altrimenti restano esercizi di retorica.
Posso assicurare a Cazzullo che, scendendo nella trincea della scuola primaria italiana di oggi, ci si accorge per esempio che ci sono tante famiglie molto diverse da quelle che abbiamo in mente. E bambini che credono in religioni differenti. E gli stessi concetti di “patria” o di “unità nazionale”, o semplicemente di “nazione”, almeno per come forse lo si aveva in mente nel primo dopoguerra, oggi sono assolutamente sorpassati dalla realtà.

Bisognerebbe riflettere sulla frase di un mio ex alunno extracomunitario: forse se non ci dicevano che eravamo tutti nati in nazioni diverse sarebbe stato più facile vivere e andare d’accordo.

L’editorialista del Corsera ha scritto anche, riferendosi al dolore provato dai familiari dei soldati morti nella basilica di San Paolo, che quel dolore è stato la migliore delle lezioni. E anche i piccoli l’hanno capita benissimo. Ecco, speriamo che il futuro non ci riservi una scuola in cui la migliore delle lezioni che possiamo dare a un bambino o a un ragazzo sia la morte di un padre in missione di pace (o di guerra). Non credo sia questo il mondo che i cittadini italiani di domani, ma anche i loro genitori e docenti di oggi, si augurano per il loro futuro nè per quello dei loro figli.

http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=Silenzio%2C+parla+il+Corsera&idSezione=6005

Dialetto a scuola? (G.Caliceti)

La solita politica scolastica eversiva-diversiva del governo. Lo scorso anno il ritornello dell’estate inventato dalla Gelmini era: ritorno al grembiulino a scuola, sì o no? Si è andati avanti su tutti i giornali per settimane fino all’inizio dell’anno scolastico, con questo giochetto. Sembrava questione di vita e di morte.

Quest’anno è stata la Lega a trovare il motivetto che piace tanto ai giornali e all’opinione pubblica: il dialetto. In tutte le sue versioni: dialetto a scuola? Test di dialetto per i docenti del sud? Motivetto che Gelmini non si è fatta scappare e ha subito rilanciato in numerose variazioni. Il fine di questa politica-scolastica è sempre lo stesso: distrarre l’opinione pubblica per perpetrare i tagli economici e dei docenti già iniziati lo scorso anno.

La funzione della Lega è quella del palo: distogliere l’attenzione, mentre si compie il «furto» della scuola pubblica. Insegnare il dialetto o fare un test ai docenti arruolati a seconda delle regioni italiane in cui entrano di ruolo è una cosa assurda: se non altro perché in Italia esistono migliaia di dialetti e ognuno ha una sua variazione; di più, spesso ci sono differenze di pronuncia e di cadenza. Però è vero che attraverso la questione del dialetto ci si avvicina al disegno finale: lo smantellamento totale della scuola pubblica italiana. Dalla sua autonomia si passerà alla sua regionalizzazione sempre più feroce: una volta smantellata e indebolito mortalmente il suo centro, la scuola pubblica italiana sarà affidata alla buona e cattiva sorte dei suoi amministratori locali. Diventerà sempre più luogo di mercificazione del sapere e di scambio di favori e potere, un po’ come è già avvenuto con la regionalizzazione del sistema sanitario nazionale.

Si tende sempre a prendere con sufficienza e come boutade le idee della Lega, o come goliardiche provocazioni che prima o poi rientreranno. In realtà sono la vera matrice ideologica di questo governo, la più sincera. L’ideologia è semplice: il razzismo, la guerra dei più deboli contro i più deboli per creare movimentismo, per fare propaganda, per riscaldare gli animi. Mi stupisco che in Italia non ci sia ancora un partito o un movimento politico che dichiari esplicitamente il ripristino della pena di morte. Tutti sappiamo che, da sempre, in quasi tutti i paesi del mondo – democratici o no, occidentali o no – se si facesse un referendum sulla pena di morte vincerebbero i favorevoli.

Anche nel nostro paese sarebbe così. Ma da quando l’Italia è Repubblica, per una sorta di patto – se non antifascista, comunque civile – nessuno ha mai tirato fuori un partito o un movimento del genere, che tra l’altro sarebbe fortemente osteggiato dalla Chiesa. Stessa cosa, per anni, è accaduto sul tema del razzismo: nessun partito o movimento poteva cavalcare i bassi istinti per creare consenso. Ma adesso questo argine, questo confine, non c’è più, siamo nell’era dell’indecenza. Chi, tra i docenti, pensava che la Lega e il governo di centrodestra si accontentassero di qualche poeta dialettale inserito nelle antologie e nei libri di lettura di scuola per alunni e studenti, si deve ricredere. E il razzismo non guarda in faccia a nessuno. Ieri si scagliava contro gli extracomunitari, oggi contro i docenti e i presidi meridionali. E domani?

Cari Vescovi italiani

CARI VESCOVI ITALIANI
di Giuseppe Caliceti

Cari vescovi italiani, vi prego: rappresentateci! Oltre a difendere gli interessi della scuola privata cattolica, i lavoratori che vi operano al loro interno, difendete anche gli interessi e i lavoratori della scuola pubblica italiana! Questo è un appello. Lo so, può apparire un po’ paradossale che io, come docente della scuola pubblica italiana, mi rivolga proprio a voi. Eppure, se ve lo chiedo c’è più di un motivo.

Primo tra tutti: il modo in cui vi siete posti contro l’annunciato taglio economico che riguardava le vostre scuole e il modo in cui siete riusciti a far cambiare idea in meno di due ore al governo in carica. Mi rivolgo a voi perché mi sento male e, soprattutto, non mi sento rappresentato. Mi rivolgo a voi perché siete italiani e perché certamente tenete ai bambini e ai ragazzi italiani, anche a quelli che non frequentano le scuole cattoliche ma la scuola pubblica. Mi rivolgo a voi perché ho già provato, invano, a rivolgermi ad altri. Mi rivolgo a voi perché ho visto che la vostra parola, oggi, in Italia, conta di più da quella di tanti altri: sindacati compresi. Come si sente un docente della scuola pubblica in queste settimane? Male. Solo. Non rappresentato. Non solo perché gli effetti disastrosi della Riformaccia Gelmini, con l’arrivo degli applicativi, arriva a compimento impugnando la mannaia di migliaia e migliaia di posti di lavoro. Ma perché l’opposizione dorme. I sindacati dormono. L’informazione dorme.

L’ottobre dello scorso anno – quando migliaia di genitori e docenti e studenti scioperarono, non minacciarono solo di scioperare – appare lontanissimo. Per esempio, qualche giorno fa Cisl e Uil hanno firmato un rinnovo contrattuale umiliante per i docenti della scuola pubblica; con la scusa che, in tempi di crisi economica, è meglio accontentarsi di ogni cosa proponga il governo. Anche se poi, magari, organizzano incontri con la base e convegni di studi in cui si dichiarano fortemente preoccupati contro la Riforma Gelmini. Cgil Scuola non ha firmato, ma è ugualmente spaesata e non sa bene che fare. Invita i Collegi docenti, nel pieno esercizio della loro autonomia, a pronunciarsi attraverso delibere che chiariscano la inapplicabilità di una circolare che non ha ancora concluso il suo iter procedurale (parere della Conferenza Unificata Stato-Regioni e Consiglio di Stato). Insomma, invita a prendere tempo. A perdere tempo. A mettere qualche pallido e timido stuzzicadente nel mastodontico ingranaggio pronto a smaltellare la scuola pubblica messo in piedi dalla Gelmini. Non propone blocchi degli scrutini per paura di non avere la maggioranza dei genitori di alunni e studenti dalla propria. Altra flebile proposta targata Cgil: forti della loro autonomia, i docenti sono invitati a promuovere incontri preliminari (?) alle iscrizioni con le famiglie dei bambini interessate alle iscrizioni alla scuola primaria per illustrare il POF definito all’inizio di questo anno scolastico con particolare riguardo alle motivazioni pedagogiche che ispirano l’utilizzo della compresenza, la modularità, la didattica laboratoriale. Nel corso di questi incontri, consiglia sempre Cgil Scuola, i docenti dovrebbero invitare i genitori a sconsigliare i genitori delle classe prime a chiedere espressamente la conferma del POF in vigore, a scegliere il modello orario più lungo possibile, a specificare che si intende scegliere un modello che garantisce compresenza, moduli, laboratori (cioè?), ad esigere che tale richiesta venga registrata e protocollata.

Cari vescovi italiani, vorrei che qualcuno dicesse che il taglio al personale della scuola pubblica previsto nei prossimi tre anni dalla Gelmini è il più grande licenziamento di massa della storia della Repubblica italiana. Lo so, nessun giornale o tv dice questo: ma è la verità. Vorrei che aiutaste noi docenti della scuola pubblica a dire alle famiglie italiane che cosa accadrà dal prossimo anno. Bambini e ragazzi saranno i più colpiti da questa crisi economica. Non è giusto. Non è giusto che su di loro ricadano gli errori degli adulti. Non è giusto che i primi a pagare siano proprio i più deboli, i più indifesi. Mi chiedo perché i partiti d’opposizione o anche solo i sindacati, Cgil soprattutto, non facciano una cosa semplicissima: indicano un referendum che chieda ai docenti della scuola italiana se sono pro o contro la Riforma Gelmini. Un referendum per ogni ordine di scuola. Hanno paura forse di perdere? Non perderete, state sicuri. I docenti italiani apparterranno a diversi sindacati, ma difficilmente ne troverete oggi uno solo, in Italia, che vi dica che con i tagli attuati dalla Gelmini scuola e università miglioreranno. Perché non ce lo chiedete? Perché ci chiedete se siamo d’accordo di siglare o no un rinnovo contrattuale umiliante, ma non ci chiedete questo? Di che avete paura? Come docenti ci atterremo alle nuove norme e alle nuove indicazioni della Gelmini, essendo dipendenti pubblici. Ma vorremmo almeno avere la possibilità di esprimere il nostro dissenso. Dateci uno strumento per esprimerlo. Qualsiasi, ma datecelo. Non vogliamo essere complici di quanto sta accadendo. Ci atterremo a ogni disposizione, come dipendenti pubblici. Ma voi, sindacati, che male ci state difendendo, nonostante noi ogni mese vi abbiamo dato per anni parte del nostro stipendio, non toglieteci almeno la dignità: dateci, ripeto, uno strumento per esprimere il nostro dissenso. Fateci vedere che siete vicino a chi dite di rappresentare. Fate, almeno, ciò che fanno i vescovi italiani. Provateci, almeno. E se non ci riuscite, se non vi viene una sola idea in testa sul da fare, chiedete aiuto anche voi, come il sottoscritto, ai cari vescovi italiani. Per il bene non solo dei docenti della scuola pubblica italiana, ma dei loro alunni, dei loro studenti, dei figli e delle figlie di tante famiglie che frequentano la scuola pubblica, vescovi italiani, aiutate i docenti della scuola, aiutate i loro sindacati.

(questo articolo è stato pubblicato su Il Manifesto di mercoledì 4 febbraio e su Reggio 24 Ore)