Mladic, Eichmann e i mostri della storia (Emilio Carnevali)

Il 12 ottobre 2010 è in programma a Genova la partita Italia-Serbia, valida per le qualificazioni ai campionati europei di calcio. Fin dal pomeriggio i tifosi serbi si scontrano con le forze dell’ordine nel centro della città. La sera, dentro lo stadio, si scatenano. Il capitano della Serbia, il giocatore dell’Inter Dejan Stankovic, corre insieme ad altri compagni di squadra sotto gli spalti dei suoi tifosi e cerca di “calmarli” applaudendoli e esibendo tre dita da entrambe le mani (il gesto dei cetnici, simbolo del nazionalismo serbo). Il telecronista Rai Marco Mazzocchi spiega ai telespettatori italiani (cito a memoria): “Sta facendo il gesto del 3. Gli sta dicendo: se continuate così ci fanno perdere 3 a 0 a tavolino”. Ovviamente i tifosi serbi continueranno nella loro opera di devastazione e la partita verrà sospesa.

_41629000_mladicapok.jpgD’altra parte quelle erano probabilmente le stesse persone che pochi giorni prima avevano attaccato i manifestanti del Gay Pride in corso a Belgrado e probabilmente ancora le stesse che qualche giorno fa sono scese in strada a migliaia per protestare contro l’arresto dell’ex generale Ratko Mladic. L’intreccio fra il calcio e le vicende politiche e belliche della ex Jugoslavia rimanda a un capitolo di quel conflitto che non possiamo affrontare nemmeno sommariamente. Ci limitiamo a ricordare che Zeljio Raznatovic, più noto con il famigerato soprannome di Arkan, era un capo ultras della Stella Rossa, la più blasonata squadra di Belgrado, prima di dar vita al gruppo paramilitare delle Tigri, i cui componenti vennero in gran parte reclutati proprio fra gli ultras e che si rese protagonista di alcuni dei peggiori massacri perpetratati durante la guerra di Bosnia. Quando Arkan fu assassinato – nel 2000, a guerra ormai finita – fu salutato a Belgrado da una folla di 20.000 persone; anche in Italia, nella curva dei tifosi della Lazio (notoriamente infarcita di gruppi di estrema destra), fu issato uno striscione che recitava “Onore alla tigre Arkan”.

Tuttavia il collegamento fra un elemento ordinario della nostra esperienza quotidiana come il calcio ed un evento assai lontano, di difficile comprensione almeno per le generazioni più giovani, come la guerra – la guerra nella sua stra-ordinaria atrocità – può forse essere utile per riflettere sul pericolo che un certo tipo di pratica della memoria possa scivolare paradossalmente nel suo opposto, ovvero in una Grande Rimozione. E’ il pericolo che corriamo quando separiamo certi fenomeni dall’orizzonte delle nostre possibilità, dei nostri destini collettivi, appiccicandogli addosso l’etichetta della mostruosità dis-umana. Siamo di fronte a una problematica ben al di là del dilemma – anch’esso presente in casi come questi – di una giustizia che opera sempre e solo nei confronti degli sconfitti, ovvero del terribile ammonimento che ci ha lasciato Joseph Goebbels quando nel 1943 dichiarò: “Passeremo alla storia come i più grandi statisti di tutti i tempi, o come i più grandi criminali” (ai giorni nostri George W. Bush non è celebrato come un grande statista, ma c’è da esser certi che non sarà mai condotto alla sbarra per rispondere di crimini contro l’umanità).

Lo scorso 3 giugno l’ex generale Mladic, il cosiddetto “boia di Srebrenica”, è comparso – vecchio e traballante – in un aula del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Contro di lui ci sono undici capi di imputazione: genocidio, sterminio, omicidio, deportazioni, torture, crimini contro l’umanità, violazione delle leggi di guerra, presa di ostaggi (i soldati delle Nazioni Unite), attacchi contro civili inermi. Di fronte al giudice Mladic ha dichiarato: “Non sono né colpevole né innocente”.

Eichmann.GIFSignificativa l’assonanza fra questa dichiarazione e quella fornita nel 1961 dall’ex gerarca nazista Adolf Eichmann al giudice del tribunale di Gerusalemme che lo processava per crimini contro l’umanità e contro il popolo ebraico: “Non colpevole nel senso dell’atto d’accusa”. Mladic ha detto di aver aver semplicemente difeso il suo popolo, Eichmann dichiarò di aver operato in osservanza delle leggi del suo paese (e su questo punto è difficile eccepire).
E’ probabilmente vero che per esercitare il ruolo che Mladic rivestì nel corso della guerra è necessaria anche una buona dose di personale efferatezza. Come è sensata l’obiezione che Timothy Garton Ash – in un articolo pubblicato su Repubblica lo scorso 4 giugno – muove ai critici che domandano: “Perchè vi limitate a mettere sulla graticola i pesci grossi e lasciate nuotare via i pesci piccoli?”. “Questo è vero”, ha risposto Garton Ash, “ma è inevitabile. Non è immaginabile processare tutte le decine di migliaia di colpevoli, con diverse responsabilità, delle atrocità commesse da una qualsiasi dittatura. O si crede che sia forse meglio il contrario: catturare i pesciolini e lasciare liberi i pesci grossi?”. Se però questo è vero dal punto di vista del diritto, non può essere valido dal punto di vista della storia, della memoria e della costruzione di una lettura dei fatti utile a poter almeno tentare di fare in modo che certe cose non accadano più.

Il “mostro disumano” può infatti essere un modo comodo – e pericoloso – per attuare quella cancellazione della responsabilità collettiva che sola può spiegare l’odio come prodotto di complesse dinamiche culturali, sociali ed economiche e non semplicemente come risultato dell’esaltazione di un pugno di individui.

E’ forse un meccanismo simile a quello che sta anche alla base della morbosa attenzione dedicata dalle nostre televisioni e da certa stampa ai numerosi casi di cronaca di nera con i relativi “mostri” da prima pagina: che sia in fondo un modo per esorcizzare gli spettri più spaventosi e inconfessabili che si aggirano anche fra i pensieri e le fantasie delle persone più “normali”? Che tutta questa nostra passione per i vari plastici della villetta di Cogne e della casa di Garlasco sia un modo per marcare comunque la distanza fra noi e loro (i mostri), per rassicurarci sul fatto che noi non potremo mai essere come loro?

Sono tutti interrogativi le cui risposte non sono davvero alla nostra portata. Più modestamente – tornado al tema iniziale – ci vorremmo limitare a mandare un applauso simbolico al signor Andy Newman, segretario del sindacato Gmb Union. Ogni anno la sua organizzazione versava 4000 sterline alla squadra dello Swindon Town (quarta divisione inglese), ma da quando è stato chiamato a dirigerla l’ex calciatore italiano Paolo Di Canio ha deciso di interrompere la sponsorizzazione: «Siamo un sindacato di lavoratori e non possiamo avere rapporti commerciali con un club che ha un allenatore fascista. Non abbiamo scelta. E’ un peccato, ma non possiamo fare altro». Cose che possono accadere solo in Inghilterra. Da noi i saluti romani di Paolo Di Canio sono considerati inoffensiva goliardia. Sarà questa la “banalità del male”?

(6 giugno 2011)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/mladic-eichmann-e-i-mostri-della-storia/

Una scheda completa sulla strage di Sebrenica è in: http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/675945.stm

Mi chiedo…

Chi mi conosce sa che il calcio per me è un elemento chimico, al massimo ogni quattro anni, spinto da patrio afflato, mi trovo a guardare in compagnia (con la scusa dei mondiali si mangia e si beve) qualche partita, considerato come solo la compagnia e il buon cibo/vino riescano a tenermi desto di fronte a quello che considero uno degli sport più noiosi del mondo (superato solo da baseball e cricket).

Però. Leggo del nuovo ennesimo scandalo calcistico che, stavolta mi sembra aver superato per creatività ogni altro precedente. Alcuni “sportivi” somministravano calmanti, sonniferi, etc. ai compagni di squadra per falsare le partite. E tutto ovviamente per pecunia, sghei, talleri, euri. Autolesionismo sportivo farmacologico. Bello. Anche nelle mascalzonate un po’ di fantasia non guasta.

farmacista.jpgE mi chiedo. Ma qualcuno sta indagando nel PD se qualche dirigente non abbia frequentazioni troppo assidue con farmacisti, alchimisti e similia? Il che ci farebbe capire l’origine, nel tempo, della massa di boiate, fesserie, suicidi reali/tentati dalla classe dirigente del maggior partito della sinistra. L’uso di allucinogeni, antidepressivi, euforizzanti, peyote, stramonio, spiegherebbe (quasi) tutto.

E mi chiedo: non è che il nostro Aureliano Buendia di Gallipoli, di nascosto, giochi al piccolo farmacista?

Germania, 17 ergastolani nazisti vivono liberi
. Tra loro ex criminali di guerra ultraottantenni

nazi02.jpgSono stati condannati con sentenze definitive al carcere a vita, ma vivono tranquillamente nelle loro case. Per i mandati di arresto europeo, emessi dalla magistratura militare, la Germania ha sempre rifiutato la consegna

ROMA – Sono stati condannati definitivamente al carcere a vita, ma sono liberi. Diciassette ex criminali di guerra nazisti, vivono tranquillamente nelle loro case in Germania perché i mandati di arresto europeo nei loro confronti sono stati respinti al mittente (solo in due casi gli ordini di cattura non sono stati ancora emessi), così come non hanno avuto esito le successive richieste di far scontare le pene nel loro Paese. Tra questi ex criminali di guerra, tutti ultraottantenni e alcuni quasi centenari, vi sono i responsabili di alcuni dei peggiori eccidi compiuti nel corso della seconda guerra mondiale.
Il dato è stato confermato all’Ansa dal capo della procura militare di Roma, Marco De Paolis, l’ufficio giudiziario attualmente competente per la maggioranza di questi procedimenti. Processi che lo stesso magistrato ha in buona parte istruito a partire da metà degli anni ’90, dopo la scoperta del cosiddetto armadio della vergogna” (dove furono occultati centinaia di fascicoli di indagine), quando era procuratore militare della Spezia.
In particolare, sono otto i condannati all’ergastolo dalla Cassazione per la strage di Sant’Anna di Stazzema (560 vittime) che sono ancora in vita e non scontano la pena; tre quelli per Marzabotto (770); uno per gli eccidi di Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio (244); uno per Branzolino e San Tomè (10), uno per la Certosa di Farneta (oltre 60 morti) e uno per Falzano di Cortona (16 i civili trucidati). Solo un secondo condannato all’ergastolo per quest’ultima strage, Josef Scheungraber, di 93 anni, è finito in prigione, ma soltanto perché è stato condannato anche in Germania per quell’eccidio.
Per tutti i condannati definitivi la magistratura militare ha emesso nel tempo i relativi mandati di arresto europeo, ma la Germania ha sempre rifiutato la consegna. I giudici hanno quindi inoltrato al ministero della Giustizia la richiesta di esecuzione della pena in Germania, ma a tutt’oggi non hanno ricevuto alcuna risposta: non si sa nemmeno se sia il governo tedesco che deve ancora pronunciarsi, oppure se è quello italiano che non ha mai inoltrato l’istanza alla Germania.
Solo per due dei condannati dalla Cassazione al carcere a vita – ritenuti responsabili delle stragi compiute nell’agosto ’44 nel comune toscano di Fivizzano, dove furono trucidate complessivamente 346 persone, in maggioranza donne e bambini – il pubblico ministero non ha ancora spiccato il mandato di cattura europeo in attesa che diventi irrevocabile la condanna anche per altri due coimputati. Ma è difficile che la Germania adotti una decisione diversa dalle precedenti.
In Italia ancora 30 inchieste ancora aperte. Sono una trentina le inchieste su eccidi compiuti in Italia da militari tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale su cui ancora indaga la magistratura militare: in particolare, una dozzina di fascicoli sono aperti presso la procura militare di Roma e circa 15 procedimenti sono nella fase delle indagini preliminari a Verona. I processi nei confronti di criminali di guerra nazisti celebrati in Italia furono solo una decina, dal dopoguerra fino al 1994, anno in cui venne rinvenuto il famoso ”armadio della vergogna” dove erano stati occultatati 695 fascicoli di crimini nazifascisti mai perseguiti. Le inchieste su questi episodi vennero dunque avviate solo nel 1995 ma, soprattutto a causa dei molti anni trascorsi – con la morte degli indagati e dei testimoni e la conseguente difficoltà di condurre le indagini – in gran parte si sono concluse in un nulla di fatto. Tuttavia, una ventina di processi si sono celebrati e molti hanno portato a condanne all’ergastolo, anche se solo tre imputati sono finiti in prigione all’esito di questi procedimenti: Erich Priebke (l’unico ancora in vita, oggi ai domiciliari nella casa del suo avvocato) Karl Hass (deceduto nel 2004 nella casa di riposo di Castelgandolfo dove era agli arresti) e Michael ‘Misha’ Seifert (detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere e morto a novembre). I processi attualmente in corso nei vari gradi di giudizio sono invece tre.
(La Repubblica, 29 maggio 2011)

Per vedere nella sua casetta in Germania uno di questi assassini:

http://multimedia.lastampa.it/multimedia/nel-mondo/lstp/51328/

Non è tutto uguale (Massimo Gramellini)

«Ha vinto il Sistema. Quello che ti fa scendere in piazza perché hai vinto tu, ma alla fine vince sempre lui… Il Sistema ha liquidato Berlusconi e deve presentare nuove facce per non essere travolto». L’ultimo monologo di Grillo, «L’Italia di Pisapippa», non rappresenta una novità. La novità è la reazione dei seguaci, che stavolta si sono ribellati al verbo qualunquista: per i suoi toni gratuitamente volgari («e se cominciassimo a chiamarti Beppe Grullo?», gli ha scritto uno), ma soprattutto perché «Pisapippa» lo hanno votato e tifato anche loro.

Mi rifiuto di credere che Grillo parli male del nuovo sindaco di Milano per invidia da soubrette. Ma mi chiedo e gli chiedo che senso abbia mettere sempre tutti sullo stesso piano, Bush e Obama, Borghezio e Vendola, Berlusconi e i critici di Berlusconi. Come se chiunque entri nel teatrone della politica senza il suo «placet» faccia automaticamente parte dell’Impero delle Multinazionali che affamano i popoli per ingrassare gli squali della finanza. Grillo riconoscerà che i suoi argomenti sono gli stessi che portarono i terroristi rossi a sparare, e a sparare proprio contro quei riformisti che il Sistema cercavano di cambiarlo nell’unico modo possibile: un po’ alla volta, dall’interno. Gli suggerisco di andarsi a leggere il più commovente discorso politico di tutti i tempi (almeno per me). Quello in cui Cavour sostiene che le comunità umane sopravvivono se sanno autoriformarsi di continuo nella libertà, rimanendo insensibili alla seduzione esercitata da due scorciatoie ingannevoli: conservazione e rivoluzione.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1003&ID_sezione=56&sezione=

Aria nuova?

Libero_300511.jpgAria nuova? Ci stiamo svegliando?

Intanto, dopo tanta notte, un po’ di luce fa sempre piacere.

Libero (si fa per dire) ci dà la linea. Mah…

Il pensiero corre al nostro Aureliano Buendia di Gallipoli, cosa dirà adesso? Un brivido corre lungo la schiena, vabbè oggi c’è caldo, possiamo farcela…

Chi l’ha detto?

circo.jpgMladic è un patriota, lo andrò a trovare“. ? (Facile: Borghezio, l’ultimo visigoto sopravissuto (senza offesa per i visigoti).

Sono perseguitato dalle toghe rosse!” ? (Facile: un vecchio satiro cui deve aver telefonato quel medico tedesco, come si chiama? Ah, sì, dott. Alzheimer.)

Cazzo! Sono il Presidente degli USA, mica della Polisportiva, dov’era la security? Se il primo vecchietto demente che passa può attaccarmi un bottone con i suoi deliri senili, siamo messi bene!” ? (Barack Obama dopo essere stato marcato da un anziano coi tacchi e la testa di plastica.)

“Il voto a Pisapia è una croce sul vostro stipendio” ? (Draculino Tremontolo, che, com’è noto, di tagliar stipendi ai poveretti è vero esperto).

I borghesi che credono a Pisapia sono ignoranti” ? (Daniela Santadekè, quella che, come ricorda Cirino Pomicino, si faceva leggere i libri di storia mentre si faceva il pedicure..)

Comunque senza Osama e Mladic il mondo è un posto appena un po’ migliore dove vivere, se poi anche gli anziani plastificati e fusi si togliessero dai cabasisi anche noi italiani daremmo il nostro piccolo contributo all’armonia dell’universo.

Moralista?

jpg_4258660.jpgInvecchiando, si sa, da incendiari si diventa pompieri, da giovani suini (forse) moralisti. Però. Leggo su un locale quotidiano (http://gazzettadireggio.gelocal.it/cronaca/2011/05/22/news/siffredi-e-il-gigolo-due-rocco-nella-notte-e-il-mito-resiste-4258659) del successo per l’arrivo in una discoteca di Castellarano di Rocco Siffredi. Le cronache riportano dell’entusiasmo femminile al cospetto del dotato pornoattore.

..E poi tante ragazze pronte a discutere con i body-guard per salire sul palco lasciando giù fidanzati e borsette (da una di queste spunta un «giocattolo» potenzialmente in grado di far concorrenza a Rocco). E mani ovunque, autografi su cosce e seni. Una ragazza: «Se vado in albergo con lui, non è una scopata; è una notte con un mito».

Sarà. Non vi affliggerò con noiose questioni moralistiche del tipo “Ma che famiglie metteranno su quelle coppiette in cerca di emozioni a Castellarano? o simili fanfaluche. Mi chiedo: spesso quelle “signorine” erano accompagnate dai rispettivi fidanzati, morosi, mariti (?). Non ho del genere maschile un altissimo concetto ma a ogni stron..ata c’è un limite. Mi viene a chiedere al primo a caso di quei “signori: porti la tua ragazza a vedere Rocco Siffredi, perchè?

a. Perchè ti ha rotto talmente le scatole che non ne potevi più?

b. Perchè pensi/speri che torni più scatenata di prima?

c. Perchè “tanto che male c’è”?

d. Perchè tu e lei, insieme, avete 1 neurone e mezzo nella scatola cranica?

Ogni lettore si darà la risposta che preferisce (io propendo per la d.), anche se sono in qualche modo affascinato (come capita nel caso dell’horror o del kitsch) dall’immagine di una signorina che, magari, sul tram o all’Ipercoop, inciampa (cosa non difficile visto i tacchi alpini in giro) e dalla borsetta lascia cadere, fra lo stupore di mamme, zie e nonne e controllori ACT, un accessorio fallico di notevoli dimensioni. Tranquilli, il gelo passerà subito quando la fanciulla proclamerà ad alta voce: “Sapete, ho visto Rocco Siffredi…!”

Io, estremista per disperazione (Ilvo Diamanti)

 

Il problema è il dizionario. Le parole: hanno perduto il significato di un tempo. Per cui parliamo senza capire e senza capirci. Non ci è chiaro neppure quel che diciamo noi stessi. Fra noi e le nostre parole c’è un distacco profondo. L’abbiamo detto altre volte: dovremmo ri-scrivere il dizionario della discussione pubblica, ma anche quello della vita quotidiana. Catalogare le parole perdute e le parole ritrovate. A loro volta diverse perché hanno un senso diverso.

Moderato, per esempio. Un tempo non esisteva. Quand’ero giovane, fra gli anni Sessanta e Settanta, le categorie di uso comune erano altre. Il mondo si divideva fra conservatori e progressisti. Tradizionalisti, riformisti, rivoluzionari. La moderazione era un’attitudine, un orientamento sociale e personale, uno stile di vita. Definiva quelli che bevevano, mangiavano, magari tifavano. Indulgevano a qualche vizio. Con moderazione. Cioè: senza esagerare. Oggi invece i “moderati” sono divenuti una categoria politica e culturale. Una (presunta) cultura politica. Il “fronte moderato”, in particolare, è quello guidato dal Cavaliere.

Lui, Mister B, lo ripete sempre. I “moderati” sono i militanti e gli elettori del (sedicente) Centrodestra. Al di là e oltre ci sono soltanto i comunisti, i Magistrati e i loro servi. Quelli che perseguitano il Campione dei Moderati e lo vorrebbero eliminare, a dispetto della volontà popolare. Quelli vogliono far pagare le tasse. Quelli che vogliono uno Stato onnipresente e centralizzatore. Quelli che stanno per il Pubblico e odiano il Privato. Quelli che vorrebbero fare invadere l’Italia dagli stranieri e dagli islamici. Quelli brutti, o meglio: quelle brutte. Vuoi mettere il lato B delle parlamentari “moderate”? Quelli che non si lavano. Quelli che si scandalizzano per le gesta erotiche del Cavaliere – vere o presunte. Ma anche se fossero vere: che male c’è? Siamo un popolo di maschi guasconi. Chi si scandalizza (i comunisti e i Magistrati), in effetti, finge. Per invidia. È una frattura profonda e invalicabile. Da una parte i Comunisti, dall’altra – appunto – i Moderati. Quelli che i tunisini, i libici e i marocchini meglio cacciarli fora dai ball (o come si dice, non sono un esperto di lingue padane). Quelli che le BR abitano nelle procure. Quelli che nel pubblico sono fannulloni e la scuola (pubblica) non funziona per colpa dei Professori. Quelle che, nei faccia a faccia, si dichiarano moderate e di famiglia moderata. E attendono l’ultima parola, quando l’avversario non ha più possibilità di replica, per dargli del ladro di automobili (e voi comprereste un’auto da chi le ruba?). Peggio: del complice di estremisti violenti. Quelle che denunciano l’avversario (quando non ha più possibilità di replica) per essere stato condannato e amnistiato. E se il fatto non sussiste, se è palesemente falso, chissenefrega: era amico dei terroristi. Quarant’anni fa. Altro che moderato. E i moderati, si sa, sono decisivi per l’esito del voto. Soprattutto i “terzisti”. Quelli che non stanno né di qua né di là. In caso di ballottaggio: non voteranno mica per i comunisti o per gli amici dei terroristi?

Il moderato. Una parola nuova e vecchia. Perduta e ritrovata. Perché oggi è di moda, ma ha cambiato senso, rispetto a un tempo. Perché se questi sono i moderati, il fronte moderato, i segni e i significati della moderazione. Allora io che da giovane non sono mai stato comunista e neppure marxista (al massimo, aclista). Io che nel Sessantotto, quando i miei compagni di liceo erano rivoluzionari, ero un giovane democristiano (e, prima ancora, repubblicano). Io che voto a sinistra (centrosinistra?) perché mi tocca. Non ho alternativa. Anche se, effettivamente, l’alternativa non c’è. Io che non alzavo e non alzo la voce – se non alle partite di calcio e, qualche volta, con i miei figli. Io che ho sempre preferito i mezzi toni e le mezze misure. I colori tenui e il jazz da camera (avete presente Uri Caine?). Se questi sono i moderati, per disperazione, non posso non dirmi estremista. (Comunista proprio no. Mi spiace: ma è troppo).

La Repubblica, 13.5.2010

Il berlusconismo, una dittatura della minoranza (C.Maltese)

Nella vita tutto mi sarei aspettato, ma non di rimpiangere la «maggioranza silenziosa» democristiana. Quel ventre molle della Prima Repubblica, che inghiottiva e affogava ogni slancio ideale nelle acque del calcolo politichese. Eppure quanto civile rispetto alla rumorosa minoranza dei berluscones. Minoranza, sì: Perché la storia del berlusconismo maggioritario, addirittura plebiscitario, è una menzogna propagandistica. Una delle peggiori e quindi più fortunate.

Facciamo due conti veri. Secondo i sondaggi, compresi i suoi, a votare il Pdl oggi andrebbero circa dieci milioni d’italiani. Su 48 milioni di elettori: un cittadino su cinque, o quasi. Per fare un paragone, la Dc degli anni Settanta aveva 14 milioni di voti su quaranta milioni di aventi diritto. Quella degli anni Ottanta, in piena crisi, era scesa a 13 milioni di voti su 42 milioni. Sempre uno su tre. Con tutte le tv, i miliardi e il potere accumulato nei più lunghi governi della storia repubblicana, Berlusconi può contare su un seguito del venti per cento reale. Il suo governo è il più minoritario della storia repubblicana. Si regge su una coalizione quotata dai più ottimisti intorno al 41-42 per cento dei voti validi, quindi un terzo del corpo elettorale. Oltre a mantenersi al potere solo in virtù di una vergognosa e ridicola campagna acquisti di parlamentari.

Nonostante questo, il berlusconismo si comporta come se avesse l’ottanta per cento dei consensi. Occupa ogni angolo della Rai, teorizza e pratica uno spoil system da banda della Magliana, fabbrica leggi ad personam per il capo, mira a stravolgere la Carta costituzionale. Non bastasse, colpisce con sistematica violenza le categorie considerate nemiche e «di sinistra», anzitutto gli insegnanti e i magi- strati. Sarebbe un regime anche se godesse di un consenso enorme. Ma è un populismo con sempre meno popolo alle spalle. Si tratta dunque di una dittatura della minoranza. Resa possibile da una legge elettorale che è una porcheria, da un illegittimo monopolio televisivo, dall’intolleranza e dall’arroganza dei propri elettori. Più un quarto elemento, il più grottesco, ma decisivo, che è l’assoluta insipienza delle op- posizioni, al limite del masochismo.

Alle prossime elezioni, se si svolgessero domani, le opposizioni, pure concordi nel considerare il berlusconismo un’assoIuta emergenza democratica, riuscirebbero nell’impresa demenziale di presentarsi divise in quattro poli. Un centro a guida Casini, un centro sinistra con Bersani, Vendola e Di Pietro, più i grillini con Grillo e i post comunisti con Diliberto. Con il risultato di ottenere il 60 per cento dei voti e consegnare la maggioranza, il governo, il Quirinale nelle mani del 40 per cento fedele al fenomeno di Arcore.  

Venerdi Repubblica, 29.4.2011