Il buon esempio (C.De Gregorio)

Scatta l’ora legale, speriamo che sia vero. Giochiamo con le parole, fa bene alla testa, occupiamoci della loro manutenzione, oliamole come si fa con le biciclette e sentiamole suonare distinguendole una per una come i vecchi sapevano fare col canto degli uccelli quando ancora l’unico suono che tutti ci ipnotizza non era quello della tv. L’ora legale scatta stanotte, bisogna rimettere a posto l’orologio e il destino che ci aspetta: dipende da noi, da noi che andiamo a votare. Ostinatamente, con rabbia e con pazienza, con la certezza che sono le piccole azioni quotidiane quelle che cambiano il mondo, le azioni e le parole insieme, il loro senso. Legalità, onestà, democrazia, libertà. Le sentite suonare? Riuscite a ricordarne il senso? C’è bisogno di questo. Di restituire un senso a quel che abbiamo ereditato dalla fatica dei padri per consegnarlo intatto ai figli: quando ci diranno, fra molti anni, «dov’eravate mentre accadeva tutto questo» noi dovremo poter dire eravamo lì, è stato difficile e faticosissimo, sembrava una fatica inutile a volte, ci dicevano che stavamo perdendo ma non ci siamo lasciati incantare, non li abbiamo ascoltati ed è stato così, come in certe favole, è stato non ascoltando e andando diritti lungo quella strada lastricata di nomi che hanno fatto la storia che abbiamo, invece, alla fine, vinto quel maleficio che stava per portarci in rovina. Sarà un bel racconto. Non importa quanto tempo ci vorrà. Si vince poco per volta, certe volte. E comunque sempre si vince quando non ci si arrende.

Servono i simboli, anche. Certo. Serve un dito che indichi lontano e la capacità di chi guarda di non fissare il dito. Pazienza se c’è un po’ di nebbia, se non è proprio tutto chiaro all’orizzonte. Importante è tenere il passo e conoscere la meta. Uscire di qui. Andarsene via da questo posto dove Kim Il Sung in versione catodica compare come in un videogioco impazzito da tutti gli schermi ogni minuto, guarda in favore di telecamera e ti dice come devi votare, basta una croce, mi raccomando, fate i bravi e con le candidate ricordatevi che ho lo jus primae noctis. Ha paura, i suoi sondaggi questa volta gli dicono che ha commesso molti errori, persino chiudere gli odiati programmi di giornalismo in tv si è rivelato un boomerang. Così si trasformano i nemici in eroi, possibile che non abbia nessuno tra i suoi vassalli che glielo spieghi? Sì, glielo spiegano. Ma non resiste. Non sopporta altre voci che non siano la sua. Altri specchi che i suoi.

Fini se ne andrà. La Lega potrebbe facilmente superarlo. La sua stagione è finita. Bisogna fare molta attenzione: è nella coda il veleno, certe code di dinosauro sono lunghissime. Bisogna anche pensare presto il dopo, che non è detto che sia migliore di questo: non basterà che Berlusconi tramonti perché il paese abbia indietro quello che in vent’anni ha perduto. Ce ne vorranno altrettanti, ci vorrà molto lavoro da fare insieme, con le teste con il cuore e con le mani. Bisogna cominciare subito. Dai cancelli delle fabbriche al primo turno: quello è un bel simbolo. Dal lavoro. Dalla scuola. Dalla cultura. Dall’esempio. Da una cosa semplice come dare il buon esempio: è rivoluzionario.

http://concita.blog.unita.it//Il_buon_esempio_1125.shtml

Sconnessi e somari (Giovanni Sartori)

Analfabeta è chi non sa l’alfabeto, e che perciò non sa leggere né scrivere. Beninteso, anche l’analfabeta parla e capisce frasi elementari. Per esempio capisce la frase «il gatto miagola», ma è già in difficoltà se la frase diventa «il gatto miagola perché vorrebbe bere il latte». L’esempio è di Tullio De Mauro, principe dei nostri linguisti, che torna alla carica con una nuova edizione del suo libro La cultura degli italiani. Cultura o incultura?

I suoi dati dicono che il 70% degli italiani è pressoché analfabeta o analfabeta di ritorno: fatica a comprendere testi, non legge niente, nemmeno i giornali. Per il sapere un 70% di somari è una maggioranza deprimente; e per la politica costituisce un’asinocrazia travolgente e facile da travolgere. Perché siamo arrivati, o scesi, a tanto? Quasi tutti puntano il dito sullo sfascio della scuola, a tutti i livelli. Perché è la scuola che dovrebbe «alfabetizzare ». Sì, ma chi ha sfasciato la scuola? Alla fonte, e più di ogni altro, sono stati i pedagogisti, il «novitismo pedagogico», i diseducatori degli educatori. E poi, s’intende, tanti altri: il sessantottismo demagogico dei politici, e anche la marea dilagante delle famiglie Spockiane (illuminate dal permissivismo a gogo del celebre dottore Benjamin Spock).

Ma quando si discute di trasformazioni della natura umana (io nel 1997 nel libro Homo Videns e di recente altri con la formula dell’Homo Zappiens) allora il fattore decisivo è la tecnologia. Così alla fine del 1400 nasce l’uomo di Gutenberg con l’invenzione della riproduzione a stampa della preesistente scrittura a mano; così, sostengo, l’invenzione della televisione crea un uomo forgiato dal «vedere» il cui sapere e capire si riduce all’ambito delle cose visibili a danno delle idee, delle immagini mentali create dal pensiero. Al limite, l’homo videns sa soltanto se vede e soltanto di quel che vede. Il che equivale a una perdita colossale delle nostre capacità mentali. Invece la teoria dell’homo zappiens trasforma questa perdita in una glorificazione, in un annunzio di nuovi e gloriosi destini.

La dizione è ricavata dal telecomando che consente e produce il cambiamento incessante dei canali televisivi; il che abituerebbe il nostro cervello al cosiddetto multitasking, al saper fare molte cose contemporaneamente. Davvero? Io direi, invece, che così veniamo abituati alla «sconnessione », a un saltare di palo in frasca che equivale alla distruzione della logica, della capacità logica di pensare una cosa alla volta, di mettere questa scomposizione analitica in sequenza, e nell’accertare se un rapporto prima-dopo sia anche un rapporto causa- effetto. Il progresso della tecnica è inevitabile.Ma deve essere contrastato quando produce l’homo stupidus stupidus. Sempre più i ragazzi di oggi vivono per 12 ore al giorno in «iperconnessione » e così, anche, in «sconnessione». Sono giustamente disgustati dalla politica. Ma dovrebbero anche essere disgustati di se stessi. Cosa sapranno combinare da grandi?

http://www.corriere.it/editoriali/10_marzo_22/giovanni_sartori_sconnessi_e_somari_1cbe80ba-3579-11df-bb49-00144f02aabe.shtml

Il silenzio dei cattolici (don Filippo Di Giacomo)

Cosa stanno perdendo i cattolici di questo Paese intenti a giocare a risiko sui giornali con le solite noie chiesastiche? Non hanno discusso i temi proposti dal documento della Cei su il Mezzogiorno: «Cultura del bene, della cittadinanza, del diritto, della buona amministrazione e della sana impresa nel rifiuto dell’illegalità». Si sono lasciati passare, abbandonandolo nelle mani dei manganellatori di comunione e fatturazione, gli avvertimenti del responsabile episcopale per gli affari giuridici, monsignor Mogavero: «Cambiare le regole del gioco democratico mentre il gioco è in corso è un atto altamente scorretto». Anche perché, come riassume in un comunicato del 14 marzo il consiglio nazionale di Pax Christi, «il pasticcio delle liste elettorali con relativo decreto interpretativo, l’introduzione del legittimo impedimento, il disprezzo delle regole, l’accusa reiterata da parte governativa dell’esistenza di complotti organizzati da chi dissente o dalla magistratura stanno esasperando una situazione già grave di pericolosa confusione che il presidente Napolitano chiama “una bolgia”, che nell’inferno dantesco è il luogo dei “fraudolenti”». Sempre pronti ad insegnare la grammatica dei “sani” diritti individuali e collettivi, i cattolici hanno gravemente peccato di omissione facendo finta di non sentire la voce del Pontificio Consiglio dei Migranti che denunciava la gravità della valutazione che fa ritenere la tutela delle frontiere più importante della famiglia e dell’educazione dei minori.

E che hanno detto i cattolici italiani a chi ha tentato di denunciare gli abusi e le speculazioni legate al terremoto in Abruzzo? E come interpretare il silenzio che sta circondando sempre in ambito cattolico, le privatizzazioni di beni essenziali come l’acqua, i gravi problemi del mondo del lavoro, il rischio che venga cancellata la legge 185 sul controllo del commercio di armi? Pier Paolo Pasolini, nel settembre del 1974, scriveva: «In una prospettiva radicale, forse utopistica o, è il caso di dirlo, millenaristica è chiaro ciò che la Chiesa dovrebbe fare per evitare una fine ingloriosa. Essa dovrebbe passare all’opposizione riprendendo una lotta che peraltro è nelle sue tradizioni, ma non per la conquista del potere.

La Chiesa potrebbe essere la guida, grandiosa ma non autoritaria, di tutti coloro che rifiutano il nuovo potere consumistico che è completamente irreligioso. È questo rifiuto che potrebbe dunque simboleggiare la Chiesa: ritornando alle origini, cioè all’opposizione, alla rivolta». Invece, la tristezza di questi giorni – sempre parlando in un’ottica ecclesiale – è nella reiterazione quasi magica con la quale i cattolici continuano a perdere tempo ed energie nell’inutile tentativo di stringere l’attuale Papa nella conservatoria internazionale dello status quo socio-politico. Come ha osservato Sandro Magister, è dal 2005 che l’antiratzingerismo è stato incorporato nella panoplia della protesta cattolica di tipo progressista. E questo, con un furore tale da riuscire egregiamente a distrarre i media da quanto Benedetto XVI sta facendo per aprire gli occhi e le menti sull’attuale fase di formazione della nuova società mondiale, destinata a distinguersi da quella attuale in modo netto, proprio come dopo la rivoluzione industriale il mondo si differenziò dal lungo evo agrario precedente. Si tratta, come insegna questo Papa nella sua ultima enciclica di eventi spartiacque, l’inversione del corso di una corrente, che ci obbligheranno a chiamare “pace” solo le politiche che aiuteranno «l’aumento della qualità degli aiuti per lo sviluppo internazionale; la promozione di un sistema di commercio internazionale concentrato sullo sviluppo umano; l’adozione di modelli di sviluppo fondati sulla solidarietà e sostenibilità; la soluzione definitiva al problema del debito estero; la creazione di istituzioni internazionali che favoriscano la crescita dei popoli».

In una fase storica in cui anche per la Chiesa ancora non c’è un oggi ma solo un non-più ieri e un non-ancora domani, questa dovrebbe essere proprio una stagione bella per ricominciare a sentirsi cattolici ad ogni livello ed in ogni campo, compreso quello della politica. E già che siamo alla vigilia di una tornata elettorale: c’è forse in giro qualche politico cattolico senza complessi capace di mettersi all’opera rispettando i paletti tra sacro e profano e capace di promettere che ciò che predicherà nella vita pubblica lo rispetterà poi con coerenza nella vita privata? Con buona pace del celibato dei preti e di altre quisquilie sacrestane, this is the question, diceva Amleto…

http://www.unita.it/news/don_filippo_di_giacomo/96297/il_silenzio_dei_cattolici

Eluana e biotestamento, Noi Siamo Chiesa: Ora i vescovi facciano marcia indietro

Eluana e biotestamento, Noi Siamo Chiesa: Ora i vescovi facciano marcia indietro (di Noi Siamo Chiesa)

Un anno fa moriva Eluana. La sua morte, avvenuta diciassette anni prima, veniva finalmente riconosciuta dalle istituzioni dopo un iter contrastato in modo inaccettabile; anche per questo ci siamo sentiti molto partecipi alle sofferenze dei suoi genitori per la vera e propria criminalizzazione che fu organizzata nei loro confronti.
I problemi posti dal caso Englaro sono ancora tutti aperti. Da credenti nel vangelo della vita e della misericordia siamo convinti che la Conferenza Episcopale italiana, organizzando una irragionevole campagna sul caso Eluana, abbia compiuto errori gravi di merito e di metodo che, col tempo, sarà costretta a riconoscere. Nell’immediato c’è da sperare che ci sia almeno un qualche inizio di ripensamento, evitando una nuova guerra di religione a difesa, nel prossimo dibattito alla Camera, del criticatissimo testo sul testamento biologico approvato dal Senato. A ora dobbiamo però constatare che non si sta andando nel senso auspicato di un nuovo pacato dialogo con l’opposizione, con la cultura laica e con i rappresentanti della scienza medica.
“Noi Siamo Chiesa” nell’autunno-inverno 2008-2009 ha ripetutamente resa esplicita una posizione presente nel mondo cattolico che, su questo caso, era favorevole ad accettare lealmente le sentenze della magistratura coerenti con la Costituzione, a rifiutare l’accanimento praticato per troppo tempo nei confronti di Eluana e al riconoscimento per legge del diritto di ognuno di dare indicazioni preventive sul proprio fine-vita.
“Noi Siamo Chiesa” condivide le iniziative di tante amministrazioni locali di organizzare la raccolta di testamenti biologici che, anche senza efficacia giuridica diretta, sono comunque, per la famiglia e gli operatori sanitari, una indicazione fondamentale della volontà del malato.
In particolare ci sembra giusto segnalare il testamento biologico proposto dalla Tavola valdese di Milano (http://www.milanovaldese.it/attivita/direttiveanticipate.php).

http://temi.repubblica.it/micromega-online/eluana-e-biotestamento-noi-siamo-chiesa-ora-i-vescovi-facciano-marcia-indietro/

Bologna e sindaci “rossi”, una crisi che viene da lontano

di Valerio Evangelisti, da il manifesto, 27 gennaio 2010

Un poeta bolognese dei primi del Novecento, Olindo Guerrini in arte Lorenzo Stecchetti, scrisse dei versi intitolati Primo Maggio. Vi si descriveva la marcia lenta, solenne e silenziosa di un corteo di operai. «Toccandosi le mani ognun di loro / cerca il vicin chi sia. / Se i calli suoi non vi segnò il lavoro, / quella è una man di spia».

Senza rimpiangere (ma un poco sì) l’intransigenza dei socialisti di epoca prefascista, fama meritata di onestà a tutta prova ebbero anche i sindaci comunisti del dopoguerra. Io nacqui al tempo di Giuseppe Dozza, magari stalinista, però uomo tutto d’un pezzo, che ancora appariva in pubblico con un fazzoletto rosso al collo.

Un mito d’uomo, tanto che mio padre, pur lontano dal Pci (era socialdemocratico), lo ammirava senza riserve. Ugualmente limpidi sotto il profilo morale furono i successori di Dozza: Guido Fanti, Renato Zangheri, Renzo Imbeni – uno dei sindaci migliori che abbia avuto la mia città. Persino Zangheri, che combattei nelle strade nel ’77, era dal punto di vista personale di un’onestà ineccepibile. Nessuno avrebbe seriamente immaginato che lo slogan settantasettino «Bologna è rossa/è rossa di vergogna» potesse essere riferito, di lì a trent’anni, ai comportamenti del suo sindaco.

Il fatto è che il Pci, con gli anni Ottanta e ben prima dell’ ’89, iniziò a rompere silenziosamente con la propria tradizione. Gran parte della sua base era transitata dalle classi subalterne al ceto medio, con vocazione prevalentemente commerciale, e in parallelo era cambiata l’ideologia di cui era stata portatrice. Avanguardia della trasformazione fu forse la Lega delle Cooperative, passata a un modello compiutamente capitalistico che poco conservava di “alternativo”; seguirono a ruota tutte le altre istituzioni informali o formali cui il movimento operaio aveva dato vita.

L’elogio smodato della piccola impresa diventò, sic et simpliciter, elogio dell’esistente. Ciò condusse all’amministrazione del sindaco Walter Vitali, pronta a tutte le privatizzazioni in campo ospedaliero e scolastico, e alla mano dura contro gli immigrati che avevano osato occupare (nel senso di entrare e restarvi) la basilica di San Petronio. Fu scandaloso vedere il Gabibbo accorrere in soccorso di poveracci ricoverati dal Comune, dopo lo sgombero, in un edificio scolastico abbandonato: una spelonca sporca, fredda e fatiscente.

Dopo la pausa politica di Guazzaloca, vincitore grazie all’avversione che il suo predecessore era riuscito a suscitare, Cofferati si incaricò di portare a termine il lavoro avviato da Vitali. Politiche tutte incentrate sull’ordine pubblico, misure proibizionistiche, guerra ai nomadi e ai poveracci, chiusura di centri sociali, semi-militarizzazione dei vigili urbani, ecc. Fino al divieto di costruire una moschea in un quartiere periferico. Ciò rispondeva al profilo di un partito che ormai si era sfaldato. Nei suoi ranghi rimaneva un pugno di militanti «usi a obbedir tacendo», ammiratori di D’Alema perché ha i baffi come Stalin, e segretamente convinti che i programmi neoliberisti del Pd siano una raffinata mossa tattica in direzione del comunismo.

Accanto a costoro, però, stavano prendendo posto nuovi rampanti usi più ai salotti che alle riunioni di sezione, al richiamo dei vip che ai volantinaggi. Esattamente come il Psi negli anni di Craxi (ritenuto da Fassino e altri una specie di modello). Poco interessati, di conseguenza, alla cosiddetta «questione morale». Ideologia comune? Nessuna ideologia, salvo l’avversione nei confronti della volgarità berlusconiana, troppo plebea e sguaiata per i loro gusti raffinati.

Nemmeno Vitali e Cofferati, specchio delle diverse fasi di una trasformazione di base, furono attaccabili sul piano della condotta personale. Perché si arrivasse a questo era necessario che il partito (intendo il Pci-Pds-Ds-Pd) perdesse gli ultimi brandelli di coerenza, scoprisse i benefici dell’atlantismo e delle guerre umanitarie, i valori di mercato, l’utilità delle privatizzazioni a oltranza, la consonanza – a fini elettorali – con forze politiche popolate da personaggi collusi con la mafia, oppure fautrici di un ultraliberismo di stampo reaganiano e capaci di proporre lo scioglimento dei sindacati. A quel punto, con un partito ormai privo di organizzazione e di tenuta ideologica, quale fu il Psi di Craxi al tempo «dei nani e delle ballerine» (forma organizzativa attualmente chiamata «primarie», come surrogato della democrazia interna), c’era spazio per ogni avventura.

L’ultima di esse: candidare a sindaco Delbono. Non so se colpevole o innocente (spero nella seconda ipotesi), ma comunque, a differenza dei suoi predecessori, sospettabile di corruzione. Meno incattivito – nel suo breve mandato – nella persecuzione delle minoranze, etniche o politiche, di quanto lo fosse Cofferati, ma subito impegnato nel licenziamento di centinaia di precari e nel finanziamento pubblico delle scuole private. Cosa che lascia indifferente il suo partito (ammesso che esista ancora), proteso verso ben altri, superiori fini. Cioè trovare, attraverso le consuete «primarie», un nuovo candidato sindaco decente. Compito quanto mai difficile.

Temo che Stecchetti, se potesse vivere nella Bologna attuale, di mani callose ne noterebbe poche o nessuna. Di «man di spia» invece tantissime. Fortuna che gli ultimi sindaci di centrosinistra hanno vietato i cortei, nei fine settimana.
Persino questo bisognava vedere.

Craxi, il primo berlusconiano (Raniero La Valle)

Con le grandi celebrazioni per Craxi, dieci anni dopo la sua morte in contumacia ad Hammamet, la destra berlusconiana ha rivendicato la sua vera ascendenza, dissipando gli equivoci che potevano essere stati ingenerati da precedenti annunci, o meglio da precedenti vanterie. I veri precursori di Berlusconi non sono né Sturzo – anche lui andato in esilio ma non come latitante – né De Gasperi – anche lui processato e condannato ma da un tribunale fascista – e tanto meno Aldo Moro che vittima sacrificale e martire della politica lo è stato davvero; il vero iniziatore dell’era berlusconiana è stato Bettino Craxi.

Lo è stato in un senso materiale, perché senza il decreto con cui il presidente socialista dette il potere televisivo alla Fininvest, Berlusconi non avrebbe potuto avere la fama ed i soldi per intraprendere la sua avventura politica; e lo è stato in senso politico, perché senza la demolizione dei grandi partiti di massa, la DC e il PCI, tenacemente perseguita da Craxi (che amava invece Proudhon), senza la decisiva sconfitta inflitta ai lavoratori con l’abolizione della scala mobile, senza la riforma in senso decisionista dei regolamenti parlamentari, e senza il precedente di un partito-spettacolo, con la sua corte, come ironizzava Formica, in cui c’erano meno politici che ballerine, un fenomeno come Forza Italia e un governo come quello che abbiamo non sarebbero stati possibili.

È chiaro che il movente della glorificazione postuma di Craxi (i discorsi, le strade, le celebrazioni TV) è stato tutto e immediatamente politico: si trattava di fare dell’esule di Hammamet la prima vittima ingiustificata caduta sotto i colpi di una magistratura uscita dalla soggezione al potere politico; si trattava di reclamare l’immunità del potere, esattamente come Craxi aveva fatto con due discorsi alla Camera, in cui non aveva negato i reati, ma li aveva trasformati in problemi politici; si trattava di rivendicare il diritto per i politici in carriera di sottrarsi in ogni modo – con la latitanza, con il legittimo impedimento, con i processi brevi o addirittura non celebrati – al giudizio di magistrati interpreti della legge ma non eletti dal popolo.

Per fare questa operazione era necessario montare la novità mediatica di un Craxi ingiustamente perseguitato, sorvolare sulle condanne da lui subite in regolari processi, e ignorare che i fatti a lui imputati non erano stati solo quelli del finanziamento illecito dei partiti, ma anche la corruzione e il lucro privato. Non c’era dunque da fare alcuna apologia; sicché anche la consolazione offerta da Napolitano nella sua lettera alla vedova di Craxi, secondo cui il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi del sistema politico era caduto su di lui “con durezza senza eguali”, è sembrata eccessiva.

Si è sostenuto però che, a parte la questione giudiziaria e il triste epilogo, Craxi deve essere ricordato per la sua opera di statista. Certo che in questa ci sono state, come pure è stato detto, luci ed ombre. Luce fu la difesa della sovranità nazionale che egli fece contro gli americani a Sigonella, ma notte fonda fu la sua caparbia decisione di fare installare i missili nucleari a Comiso. Con quell’atto l’Italia si sposava al demone nucleare, e diventava potenzialmente genocida (l’obiettivo assegnatole, se ci fosse stata la guerra, era l’Ungheria).

Si è lodata quella sua scelta; senza di lui i missili in Sicilia non ci sarebbero stati, e senza i missili a Comiso non ci sarebbero stati neanche i Pershing 2 in Germania perché, come poi si è saputo, la Germania, se fosse stata sola, non li avrebbe accolti. Può darsi, come molti dicono, che se quei missili non fossero stati messi, l’economia sovietica non sarebbe stata travolta dal dissesto per le spese della corsa agli armamenti, l’URSS non sarebbe crollata, e la guerra fredda non sarebbe finita.

Ma era davvero questo l’unico modo in cui la guerra fredda doveva finire? Non si erano avviati, proprio in quegli anni, diversi e più civili modi per uscire dalla contrapposizione dei blocchi?
Non si era avvistata, come possibile, la pace “in un mondo senza armi nucleari e non violento”, come diceva Gorbaciov?
E il mondo che è succeduto a quello che allora finì, questo mondo attuale senza guerra fredda ma con vere guerre perpetue e infinite, un mondo senza Marx ma anche senza Proudhon, è davvero un mondo migliore?

http://temi.repubblica.it/micromega-online/craxi-il-primo-berlusconiano/

Buone notizie, cattive notizie..

Buone notizie in queste giornate di inizio anno:

1. Renzo Lusetti (1958) ha lasciato il PD. Ex-DC, ex-Margherita, ex-PD. Approda all’UDC. Segretario dei giovani DC nel 1987. Deputato per 5 legislature, eletto nella X legislatura (1987) nel collegio di Avellino-Benevento-Salerno. Autore nella scorsa legislatura di memorabili proposte di legge, fra esse:

  • Disposizioni in favore delle università non statali
  • Norme in favore del Rossini Opera Festival
  • Delega al Governo per il riordino delle funzioni di polizia locale
  • Nuova regolamentazione delle attività di informazione scientifica farmaceutica e istituzione dell’albo degli informatori scientifici del farmaco
  • Disposizioni in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo.
  • Disciplina della professione di ottico-optometrista
  • Disposizioni per contrastare la pratica dell’invio di messaggi elettronici commerciali indesiderati
  • Disposizioni per la prevenzione e il controllo delle infezioni da legionella
  • Concessione di benefìci previdenziali al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco esposto all’amianto
  • Modifica all’articolo 4 della legge 23 giugno 1927, n. 1188, in materia di toponomastica stradale
  • Disposizioni in materia di tutela dei diritti della famiglia e istituzione dell’Autorità garante della famiglia
  • Norme per il sostegno, la promozione e la valorizzazione delle attività musicali
  • Modifiche all’articolo 51 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di limite per i mandati del sindaco e del presidente della provincia
  • Istituzione della Giornata nazionale dei servizi pubblici locali

Il 28 gennaio 2009 la Procura di Napoli gli ha notificato un’informazione di garanzia nell’ambito dell’inchiesta “Global service”, relativa alla manutenzione delle strade del Comune che ha coinvolto magistrati, deputati ed assessori napoletani, nella quale si ipotizza per il deputato il reato di partecipazione in associazione a delinquere.

http://it.wikipedia.org/wiki/Renzo_Lusetti

2. Enzo Carra (1943) ha lasciato il PD per passare all’UDC. È stato portavoce di Arnaldo Forlani. Giornalista professionista, lavorò dal 1970 al 1987 come redattore politico ed editorialista per Il Tempo. Dal 1989 al 1992 è stato capoufficio stampa della Democrazia Cristiana. Dal 1994 al 2001 è stato autore di numerosi reportage televisivi, tra cui l’ultima intervista a Madre Teresa di Calcutta.

Nel 2001 viene eletto alla Camera dei Deputati nella lista della Margherita, nel collegio di Napoli e provincia. Nel 2006 è rieletto alla Camera nella lista dell’Ulivo, nel collegio di Roma 1. Nel 2008 viene eletto per il Partito Democratico nel collegio Sicilia 1 (Palermo, Agrigento, Caltanissetta, Trapani). Alle primarie di ottobre 2009 è eletto, nella lista “Democratici per Franceschini”, all’assemblea nazionale del PD nel collegio romano Trastevere-Gianicolense. Faceva parte del gruppo dei teodem.

Arrestato e detenuto per due mesi (1993) è condannato in via definitiva a 1 anno e 4 mesi per la maxitangente Enimont (1995).

http://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Carra

Cattive notizie in questo inizio anno:

1. Paola Binetti (1943) è ancora nel PD.

2. (ANSA) – PIACENZA, 14 GEN – Il sindaco Pdl di Pecorara, nel Piacentino, ha deciso di cambiare nome alla centralissima piazza XXV Aprile intitolandola al card.Jacopo Da Pecorara. La novita’ ha scatenato molte reazioni. Per l’Associazione partigiani cristiani di Piacenza e’ ”un’offesa ai martiri della Resistenza”, per l’opposizione in Consiglio comunale e’ una ”decisione provocatoria”. Il sindaco Franco Albertini si difende: ”L’unico intento e’ intitolare la piazza principale a un personaggio che ha dato lustro al paese”.

http://www.ansa.it/web/notizie/regioni/emiliaromagna/2010/01/14/visualizza_new.html_1673852748.html

Parlano di Craxi. Noi parliamo di Jobs

di Nicola Fangareggi

A volte mi chiedo se il problema sia esclusivamente anagrafico, ma mi rispondo di no. Conosco ottuagenari e perfino ultranovantenni in eccellente forma fisica e mentale abituati a usare internet ogni giorno, informati e attenti alle cose del mondo. Dunque la ragione deve essere un’altra. Forse l’abitudine a guardare solo ciò che è alle proprie spalle? L’incapacità di avere una visione del futuro? Un senso di attaccamento a ciò che è stato e alla dolente consapevolezza che è passato e non tornerà più? O, più semplicemente, pigrizia?
Prendiamo questa storia di Craxi. Vi sembra serio che nel 2010 le forze politiche di un intero paese – non parlo solo di Reggio – occupino da settimane le colonne dei giornali per litigare su Craxi? A me sembra pura follia. Oggi il Corriere della Sera, che fino a prova contraria sarebbe il più autorevole quotidiano italiano, dedica una pagina di intervista su Craxi nientemeno che a Ciriaco De Mita. De Mita! Nel 2010! Ora, dovete sapere che De Mita, a 82 anni, è stato eletto all’Europarlamento con l’Udc. Fa parte dello stesso gruppo di Tiziano Motti, per dire.
De Mita e Craxi furono fieri avversari nel pentapartito durante gli anni Ottanta, ossia un quarto di secolo fa. Nel frattempo, qualcosina nel mondo è successo. Che so: la caduta del Muro di Berlino, la dissoluzione dell’impero sovietico, la moneta unica e l’allargamento a Est dell’Europa, in Italia il crollo dei partiti tradizionali. Ma molto, molto di più. La globalizzazione ha squassato le economie di mezzo mondo, la Rete ha rivoluzionato le forme di comunicazione, il riscaldamento del pianeta è diventato un allarme ahimé ancora insufficiente per risvegliare i potenti, i beni fondamentali come l’acqua sono sottoposti a un furioso scontro per l’accaparramento delle concessioni private da parte delle multinazionali.
E ancora si sono scatenate guerre per il petrolio e guerre in nome di Dio, e molti dittatori sono ancora al potere, e in Italia un signore straricco monopolista della tv fa il bello e cattivo tempo pretendendo di sfuggire alla giustizia del suo Paese perché – dice – è stato eletto dal popolo, quasi che la Costituzione non fissasse nelle funzioni del Capo dello Stato e del Parlamento le regole per il funzionamento corretto della democrazia. Quello stesso signore che ha annunciato di volere riempire la penisola di centrali nucleari, dimenticando di un voto contrario espresso molto tempo fa dai cittadini italiani, nonché di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina: opera di cui si avverte un bisogno spasmodico, in una Sicilia dove manco funzionano le ferrovie.
Eppure no, anche il Corriere ci casca. Almeno fino al 19 gennaio, ricorrenza del decennale della morte, il dibattito politico italiano si giocherà sull’infinita discussione se Craxi fosse uno statista o un bandito, un latitante o un esiliato, un criminale comune o un leader internazionale. Discussione che non può certo esaurirsi in uno strepitìo di voci dissonanti anche perché viziata dall’interesse contingente. Si usa Craxi come oggetto di scontro sulla politica di oggi, un po’ come fanno certi berluscones emiliani quando attaccano il Pd per i morti del dopoguerra. Possibile che il ceto politico non sappia fare altro che strumentalizzare i fatti della storia a proprio uso e consumo? Possibile che non accettino di fare un passo indietro?
Non volevo dedicare questo editoriale a Craxi. Volevo dedicarlo a Steve Jobs.

Mi consola sapere che ci sono senz’altro più lettori che conoscono Jobs di quanti conoscano le vicende di Craxi. Parlo di Jobs non tanto come genio della tecnologia, ma per focalizzare una riflessione sul futuro dell’informazione – e in fondo della vita di quasi tutti noi. Il tablet di cui si vocifera da giorni si annuncia come un prodotto epocale, in grado di salvare l’editoria libraria e la carta stampata. Se l’iPod ha cambiato le nostre abitudini nell’ascolto della musica, e l’iPhone ha segnato un balzo nell’utilizzo della telefonia cellulare, la creatura in arrivo dai guru di Cupertino consentirà di leggere libri e giornali direttamente sulla “tavola” portatile, risolvendo definitivamente lo squilibrio di prestazioni che separa un notebook da un palmare.
Non stiamo parlando di futurologia. Il nuovo prodotto Apple sarà presentato a fine gennaio e dovrebbe arrivare sul mercato a marzo. Pare che Jobs, inguaribile perfezionista, ne sia entusiasta. Prendano nota lettori e colleghi. L’editoria non è morta, anzi. Mentre qui si baloccano sulla storia del secolo scorso, negli Usa c’è chi disegna il mondo di domani. Dai politici, da questi politici non abbiamo niente di buono da attenderci. Si veda il caso Schifani: quando Grillo gli ha proposto la webcam, questi deve avere pensato a un pericoloso oggetto contundente e se l’è data a gambe. Questo ceto politico sa solo andare a rimorchio, quando va bene. Quando va male, ruba. Continuano a finanziare giornali di carta di partito che nessuno legge: solo spreco di carta.
Ma tutti i quotidiani vanno male: la carta stampata costa troppo e la sfida tecnologica – come dimostra il successo di questo sito – o la si affronta con coraggio o si è destinati a sparire. Con tutto il rispetto per il dibattito su Craxi, credo che da oggi parleremo soprattutto di Jobs. E del futuro della comunicazione. Cioè di economia, di politica, di cultura, di storia, del mondo in cui viviamo e in cui vivremo.

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