L’impossibile Tigre Boschi (M.Gramellini)

«Sono profondamente dispiaciuto per avervi deluso. La fama e la ricchezza mi hanno fatto credere di essere esente dalle regole che tutti rispettano. Ma sono stato uno stupido, non si gioca con i valori. Ora spetta solo a me cercare di ricominciare». Osservata dall’Italia, la penitenza in mondovisione del golfista fedifrago Tiger Woods (Tigre Boschi) appartiene ad altre galassie. Da noi si dice: fra moglie e marito non mettere il dito. Quelli invece ci mettono le telecamere della diretta. Impensabile che Marrazzo o Delbono, per citare gli ultimi uomini pubblici coinvolti in vicende di sesso, si prestino a simili riti di purificazione.

Nei Paesi protestanti come gli Usa il reprobo non si limita a pentirsi. Prende l’impegno solenne di diventare un’altra persona. Il prezzo da pagare per il perdono non è tanto l’umiliazione pubblica, ma l’impossibilità di una recidiva. Il giorno che Woods venisse di nuovo pescato dietro qualche gonnella, per gli americani (e per gli sponsor che lo hanno reso ricco) sarà un uomo finito. Nell’Italia cattolica, invece, non esiste il concetto di «unica chance». Qui si pecca e si viene perdonati di continuo per reati veri, altro che un tradimento coniugale. E l’obiettivo del pentimento è farla franca per poterla rifare ancora. Anche se si è ricchi e famosi. Anzi, soprattutto. Provo a immaginarmi un noto leader che si scusa in tv con la moglie e giura ai fan che non la tradirà mai più. Sicuro che prima della fine gli scapperebbe una barzelletta sulle albanesi e dovrebbe ricominciare il suo discorso daccapo. All’infinito.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41

I berluschini e la sinistra in cerca di modernità

da: Repubblica-Il Venerdì, 15.2.2010:

Caro Serra, sono uno di quelli ai quali non è mai piaciuto niente del berlusconismo. Mi consolavo pensando alla fortuna di vivere in una piccola città, dove soltanto una su tre delle persone che si incontrano è colpita dal sortilegio. Ma negli ultimi anni sono entrato in crisi, perchè vedo in molti, politici e amministratori locali, comportamenti che replicano quanto di negativo è entrato nel nostro sfortunato Paese: cura dell’immagine, mancanza di ideali, stili di vita più portati alla leggerezza che all’impegno civile, scarsa attenzione al sociale. Si rendono conto, questi signori, che stanno segando l’albero su cui sono seduti e che era stato fatto crescere con dedizione e serietà dagli amministratori di sinistra del dopoguerra? C’è più incoscienza o consapevole cura degli egoismi personali? Personalmente sto cercando di fare quello che una donna che stimo ha affermato in una intervista: restare di sinistra nei comportamenti, visto che i partiti ci hanno privato dell’orgoglio dell’appartenenza. (…)

Risposta di Michele Serra 

Caro M., mi sembra che solo in questi ultimi anni ci stiamo rendendo conto dello sconquasso storico e umano del quale siamo stati testimoni e (molti di noi) anche protagonisti. Un intero mondo, la sinistra otto-novecentesca, quella socialcomunista e solidaristica, quella degli operai e dei contadini, degli intellettuali organici, del primato del Pubblico e dello Stato, è stato inghiottito dalla storia. Ora che si sta diradando la polvere del Grande Crollo, tra le macerie vediamo aggirarsi sopravissuti e reduci di ogni genere. I comportamenti che lei descrive dipendono dalla fretta di allontanarsi da quelle macerie e fanno parte dell’istinto di sopravvivenza: si cerca di dimenticare in fretta, si ha voglia di guardare al futuro e non al passato. Solo che il risultato spesso è non solo imbarazzante, ma anche controproducente. Quando si vedono quarantenni e cinquantenni di sinistra che cercano di emulare la destrezza e il narcisismo dell’esercito di berluschini in marcia, si avverte la goffaggine dell’imitazione. C’è già chi ricopre assai meglio quel ruolo. Il berluschino di sinistra risulta patetico perchè di seconda mano, contraffatto. E ce ne sono tanti, ce ne sono troppi. Il problema è che esiste una modernità di destra ma ancora non esiste una modernità di sinistra, se non come maldestro tentativo di emulazione.

Sappiamo che questa modernità non può che fondarsi su una nuova autonomia culturale, di giudizio, di pensiero, di comportamenti, ma di diventarlo. Ci sono pezzi di sinistra da conservare (la probità e lo spirito di servizio dei padri, per esempio, e la loro assenza di narcisismo). Ma ci sono atteggiamenti, idee e perfino mode che ancora non sono stati individuati. Credo che i tempi siano maturi, lo credo perchè mi pare satura, triste e paurosamente invecchiata l’immagine dell’italianuzzo rampante. Aguzziamo la vista. Prima o poi, potremmo vedere qualcosa di differente che avanza.

Falce, martello, e si sono bevuti il cervello

di Alessandro Robecchi, da alessandrorobecchi.it

Del suicidio assistito (da Veltroni) della sinistra che sta a sinistra si è detto in lungo e in largo. Una cosa assai triste, soprattutto perchè in questo regimetto un po’ affarista e un po’ mignottesco, Dio sa quanto bisogno ci sarebbe di una sinistra che funziona e che propone. Alla fine, ci si accontentava di poco. Non si riesce a mandare nessuno in Parlamento, e va bene. Non si vince quando si va uniti, e va bene. Non si vince quando si va divisi, e va bene pure quello. Ciò che rimaneva – si sperava, almeno – era un minimo di elaborazione culturale, una capacità di leggere la realtà, il mondo, la società con occhi diversi.

Rifo.gifE invece, eccoci al manifesto per il tesseramento di Rifondazione, un bel tacco a spillo di quelli da velina a Palazzo Grazioli, un trampolo Santanché-style, un feticcio dell’erotismo usa-e-getta che va tanto di moda oggi, da villa Certosa al Centro Benessere sulla Salaria, dai tronisti della De Filippi all’immaginario puttaniere che va per la maggiore.

Per dieci minuti d’orologio ha fissato quel manifesto cercando di coglierci dentro un’ironia, una critica, un doppiosenso spiazzante che ne svelasse il senso. Inutile. Stavo per darmi del cretino (scemo che sono, non ho capito il messaggio che i compagni di Rifondazione volevano dare!) quando ho letto le argute motivazioni. Che sono le più sceme possibili e immaginabili.

Riassumo. Non siamo tristi. Non siamo bacchettoni. Siamo comunisti (comuniste, nel caso). Sentite qui Rosa Rinaldi, responsabile della Comunicazione di Rifondazione: “Volevamo fare delle inversioni di senso, spiegare con ironia che la classe non è un luogo separato. Le nostre donne sono normali, non sono trinariciute, ingolfate dentro giubbotti punitivi. Quando finiscono di lavorare indossano scarpe eleganti escono e vanno a ballare”.


Capito? Peggio ancora Angela Scarparo: “Si può mettere un pantalone blu serissimo e sotto scarpe rosse e calze a rete”. Perfetto per la rubrica “chissenefrega”. Ora, naturalmente ognuno si veste come vuole e questo non c’entra né con il comunismo né con la falce né con il martello. Ma un po’ col cervello sì. Perché la sensazione è di vedere ancora una volta (l’ennesima) la rincorsa a un modello dominante che è poi quello seduttivo-berlusconico-televisivo. Non vogliono essere tristi, giusto. Ma cosa c’è di più triste di quei trampoli zoccola-style? Un po’ in ritardo compagni!

Qualcuno avverta i cervelloni della comunicazione di Rifondazione che quella roba lì è già morta e sepolta, che è crollata sotto le macerie di Palazzo Grazioli, che fa ridere dai tempi di Noemi in qua, che la filosofia mignottesca di Videocracy ha scandalizzato persino gli americani e stupisce vedere che affascina ancora la direzione di Rifondazione qui da noi. Non solo si insegue un modello estraneo, lontano, un po’ mortificante, ma si sceglie pure un modello in declino, vecchio, sputtanato.

Veramente il problema di Rifondazione è che le sue militanti sono percepite come tristi? Sarà, è una cosa che sa tanto di propaganda della destra (la solita solfa, siete tristi, siete noiosi, siete antipatici… ). Veramente vogliono convincerci di non esserlo mettendo la falce e il martello su un tacco a stiletto? C’era una volta l’egemonia culturale comunista. Ora ci sono questi qui. “E’ un’idea ironica per dire che le nostre donne non sono trinariciute”. Perbacco. Ora, con quei tacchi sì che sono allegre! Manca solo il tubino nero, e poi tutte alle feste di papi! In italiano si chiama sudditanza culturale.

Ma questi qui non dovevano far piangere i ricchi? E allora, perché piangiamo noi?

(17 febbraio 2010)

Come dicevano i classici: “Quos vult perdere Deus dementat” (Dio fa impazzire quelli che vuol mandare in rovina)

Armonia dell’universo…

In questo Regno dei Birboni ogni tanto un lampo di luce ci illumina, dà un senso logico al caos che ci circonda:

Lo yogurt

Per non sprecare il cibo Renato Brunetta mangia «gli yogurt scaduti da poco quando sono in frigorifero. Me lo ha insegnato la mia mamma….». http://www.corriere.it/politica/10_febbraio_19/brunetta-yogurt-scaduti_002268c2-1d4b-11df-b33e-00144f02aabe.shtml

Ecco spiegato l’umore iracondo del Gridolo-brunetta! Mangia yogurt scaduti! Magari anche quelli che ci fai all’amore col sapore, con quel bel retrogusto da vomito d’infante che tutti noi, genitori, abbiamo conosciuto, primo o poi…

Parole

New economy? New language! Nuovo lessico! Era ora! Noi pensavamo fossero ladri? Nooo, sono “birbantelli”! Noi pensavamo fossero mignotte? Nooo, sono “escort”! Noi pensavamo fossero poveri? Noo, sono “diversamente ricchi”! Noi pensavamo fosse Bettino-Bottino? Noo, era “l’esule di Hammamet”! Noi pensavamo fossero manigoldi? Siii, sono proprio manigoldi! Del resto qualche genio della “sinistra” non ha chiamato i mascalzoni della RSI “ragazzi di Salò”?

 

quisquilie economiche

La vicenda del (quasi) fallimento del Gruppo Burani suscita in questo ragazzaccio di mezza età sensazioni contrastanti. Da un lato constato che, come al solito, sono i poveracci a finirci in mezzo, perdendo il posto di lavoro. Dall’altro mi sento tranquillizzato. Sì, tranquillizzato perchè ben conoscendo l’atavica inimicizia che regna fra il sottoscrittto e il denaro e quanto attiene al saperlo fare, conservarlo, moltiplicarlo, etc. vedere come finiscono certe fortune…mi tranquillizza. Certo non sarei (e non sono) capace di produrre 1000 euro che siano mille, ma far debiti per 70 milioni, sì! Ergo sono al livello di questi capitani di industria, geni della finanza, amministratori telegatti, ceo, ucs, pips, wow et similia. Gente capace di far sparire milioni in un oplà, di lasciar debiti per 70, 80 milioni di euro (ovvero 140, 160 miliardi di vecchie lirette). Belli come sole.

Con una differenza, ahimè, che questi geni della finanza e dell’industria lasciano buchi neri come galassie ma non li ritroveremo mai a girare in bici o in Panda e neppure mai a lavorare a fianco di qualcuno di quei poveretti che hanno finanziariamente sodomizzato. Signora mia, così va il mondo! Del resto la mia mamma me lo ricordava sempre: “A questo mondo O si lavora O si fanno i soldi…!”

FerrariBurani.web.jpgp.s. trovo nel mio archivio fotografico un’immagine del 2007. Passaggio della Mille Miglia a Reggio. Al volante di una fantastica Ferrari 750 Monza del 1954, valore 1,2 milioni di euro, il capitano disarcionato. Fra gli sponsor della gara la banca storica di Reggio…dissolta pure quella, e con essa i risparmi di tanti reggiani… Eh, signora mia, com’è effimera la vita!

E noi dove stiamo? (Enzo Bianchi)

VI Domenica del tempo ordinario. 14 febbraio. (Lc 6,17.20-26)

Nelle Sante Scritture leggiamo sovente delle affermazioni che proclamano la felicità, la beatitudine riservata al credente che vive determinate situazioni e assume comportamenti precisi. È detto beato «chi trova gioia nell’insegnamento del Signore e lo medita giorno e notte» (Sal 1,5); è «beato chi discerne il povero» (Sal 41,2; cf. Pr 14,21); è «beato il popolo che ha come Dio il Signore» (Sal 33,12)… Vi sono però anche dei «guai», cioè degli avvertimenti, delle messe in guardia, dei forti richiami, soprattutto nei libri profetici: «Guai a chi costruisce la casa senza giustizia» (Ger 22,13); «Guai al popolo peccatore» (Is 1,4)…

Anche Gesù, in continuità con i profeti, ha proclamato alcune beatitudini e ha annunciato dei guai severi. Nella sua predicazione che è sempre invito alla conversione, al cambiamento di mentalità e di vita, in vista del regno di Dio che in lui si è fatto vicinissimo (cf. Mc 1,15), Gesù ha pronunciato più volte parole riguardanti la povertà e la ricchezza, la fame e la sazietà, il pianto e il riso, l’ostilità e l’applauso corale. Se è vero che non conosciamo con esattezza quale sia stata la forma delle beatitudini sulla bocca di Gesù, ne abbiamo però due testimonianze fedeli nei vangeli secondo Matteo e secondo Luca. Avviene così che uno stesso messaggio ci è pervenuto in due forme: le parole di apertura del «discorso della montagna» in Matteo (cf. Mt 5,1-12) e quelle con cui inizia il discorso in un luogo pianeggiante, ossia il brano lucano su cui oggi meditiamo.

Perché due forme diverse delle parole di Gesù? Perché gli evangelisti nel trascrivere queste parole pensavano alle loro comunità cristiane, in cui esse sarebbero state predicate. Ecco perché Matteo, che conosce la sua chiesa come chiesa di poveri, attualizza le parole di Gesù proclamando beati quelli che sono «poveri in spirito» (Mt 5,3), cioè poveri anche nel cuore; Luca invece, nella cui comunità vi sono molti che continuano ad essere ricchi, guarda ai discepoli poveri e a loro indirizza le beatitudini: «Beati voi discepoli che siete poveri; beati voi che siete affamati; beati voi che piangete; beati voi che siete osteggiati dal mondo. Al contrario, guai a voi che siete ricchi e sazi, a voi che ridete e che tutti applaudono: state attenti!».

Sono parole taglienti come una spada (cf. Eb 4,12; Ap 1,16), rivolte al «voi» dell’assemblea cristiana riunita e in ascolto, e, come tali, capaci di provocare un salutare discernimento in ciascuno di noi. Chi si trova in una condizione di povertà e di pianto sente rivolta a sé la promessa di un capovolgimento della sua situazione; chi si riconosce ricco o sazio deve sapere con chiarezza che pende su di lui un guai, un avvertimento accorato oggi, che domani potrebbe essere maledizione! Certamente questo messaggio è scandaloso, è agli antipodi del sentire mondano, del pensiero della maggioranza; anzi, è letteralmente incredibile, non-credibile… Se però poniamo a capo di quella folla di credenti, di quel «voi», lo stesso Gesù, il Povero, il Piangente, il Perseguitato, allora comprenderemo anche la possibilità della beatitudine: colui che ha vissuto in pienezza le beatitudini è Gesù Cristo, e a noi è chiesto semplicemente di seguire la via da lui tracciata.

Ripensando alla vita di Gesù, possiamo dunque domandarci con franchezza: chi è beato, felice? Il ricco che giorno dopo giorno vede aumentare la sua solitudine e il suo amore di se stesso, o il povero che nella sua indigenza forse deve aprire la mano per implorare un’elemosina, ma in quel gesto esprime il suo bisogno dell’altro, e così apre vie di condivisione e di comunione? È beato chi è sazio e non cerca né attende più nulla, o chi è sempre alla ricerca di giustizia umana e in attesa di un intervento di Dio? È felice chi nella sua follia ride, o chi piange sapendo di avere una ragione per cui spendere la vita a caro prezzo, fino a donarla per gli altri, fino a morire?

Sì, le beatitudini devono risuonare così come sono, senza essere attutite o smorzate. Esponendoci al loro annuncio nell’assemblea domenicale, noi dobbiamo percepire in queste parole la spada che divide ricchi, sazi e gaudenti da coloro che sono poveri, affamati, piangenti. Fino a chiederci: e noi dove stiamo?

“I valori collettivi…”

“…I valori collettivi così sono al collasso, stiamo andando davvero alla rovina in una landa desolata del diritto e dei diritti, dove non esiste più il codice del bene e del male. Impera, appunto, il moralismo funzionale ai propri interessi. Obiettivamente incoerente…”

Giusto! Finalmente, signora mia, era ora di cantarle chiare! Dove andremo a finire di questo passo? Ci voleva coraggio, ma ci sono ancora giornalisti con la schiena dritta. Come? Dove sta scritta questa verità? Dove? “Quei Savonarola di sinistra nutriti solo d’odio”  di Annamaria Bernardini De Pace su “Il Giornale” di oggi. In una articolessa in difesa di Bertolaser.

(http://www.ilgiornale.it/interni/quei_savonarola_sinistra_nutriti_solo_dodio/15-02-2010/articolo-id=421963-page=1-comments=1)

Già, giornalisti con la schiena dritta. Tutto sta a vedere in che posizione: verticale o orizzontale?

C’è poco da stare allegri…

Coraggio! Ci sarà qualcosa che ci sollevi da questa gelatina maleodorante che ormai è la normalità!?

Dunque: la Binetti ha lasciato il PD. Buona notizia, tanto tuonò che piovve. Però. Bersani se ne va a Sanremo e alle prossime elezioni regionali mi viene voglia di restare chiuso a Fortezza Bastiani, visti i candidati e come sono stati scelti…

Bertolaso risponde alle 10 domande di Scalfari. In due o tre giorni e non in 6 mesi come il satiro plastificato. Però. Bertolaso da risposte che un buon psichiatria interpreterebbe come un serio delirio di onnipotenza. Tipo “lo Stato non funziona, allora noi…”. E noi avevamo affidato il povero ex belpaese a un “faso tuto mi”. Mah…

Ogni 15 giorni in media scoppia uno scandalo economico-scopereccio. Il sistema scricchiola. Però. Si continua a rubare, fornicare, all’insegna dell’antica massimo del conte Onofrio Del Grillo: “Me dispiace, ma io so io e voi non siete un cazzo! ».

Gianfranco Fini se ne esce con una massima kantiana: “Oggi chi ruba è un ladro”. Perchè una volta si rubava per il partito, oggi in proprio. Ahh! E noi ingenui che abbiamo sempre pensato che “chi ruba è un ladro”. Punto. Ingenui garzoncelli!

Viviamo nella cloaca quotidiana ma siamo ancora capaci di sdegnarci. Eccome! Però. Peccato che sia perchè un aspirapolvere pettinato come un chihuahua ha ammesso la sua attività inspiratoria (e quindi forse non sarà a Sanscemo) o perchè un tizio di un programma culturale di alto profilo come “La prova del cuoco” ci ha ricordato che i gatti si mangiavano. Capperi! Poffarre! Grande popolo! Chapeau!


Gelatina

Incredulità, nausea, indignazione, saturazione. Ognuno può scegliere l’atteggiamento più adatto alla propria sensibilità di fronte alle quotidiane vicende di orrore che ci vengono offerte nel Regno dei Birboni. Qualcuno richiama la vigilia di Tangentopoli quando bastò un pacco di banconote gettate in un water per far esplodere il caso e sgretolare il potere di quella che hanno chiamato I Repubblica. Un potere fradicio e fragile pronto alla dissoluzione. Ma oggi? Certamente la situazione è peggiore. Se allora si mangiucchiava oggi si divora. Allora quel potere aveva contrappesi ed opposizione con cui confrontarsi. Oggi, nella generale dissoluzione, il potere tende a farsi assoluto e, come tutti i poteri assoluti, assolutamente corrotto. Eppure tiene, con la elasticità di un blocco di gelatina che, attraversato da un proiettile (come CSI insegna) oscilla, vibra, trema ma ferma il proiettile e rimane lì, opaco e translucido, pronto ad ingoiare il prossimo proiettile.

Incredulità, nausea, indignazione, saturazione. Si può scegliere, tanto tutto rimane immobile su un eterno precipizio che sembra attenderci con pazienza infinita. Del resto se la risposta dell’opposizione è quella di andare a Sanremo significa che all’incredulità, nausea, indignazione, saturazione possiamo aggiungere solo una sana risata, per stare allegri (si fa per dire)

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