“La Shoah? Una fandonia, un complotto”

“La Shoah? Una fandonia, un complotto”
viaggio nel negazionismo via internet
Siti, blog, forum spesso registrati all’estero per bypassare le eventuali restrizioni. Si va da quelli dei movimenti neonazisti a quelli più o meno ufficiali di Forza Nuova, a profili privati sui social network. Interventi non sempre anonimi

di MARCO PASQUA

102209563-fadc4272-a454-442a-ba01-e27fa35ed4ec.jpgDai forum dei movimenti neonazisti a quelli, più o meno ufficiali, di Forza Nuova, passando per privati profili di Facebook e blog a tema. I negazionisti italiani e, soprattutto, i loro simpatizzanti, sfruttano il web per far circolare le loro assurde tesi che mirano a diffondere la convinzione che il piano di sterminio degli ebrei, disposto dal regime nazista, non sia mai esistito. Non sempre si nascondono dietro all’anonimato e, talvolta, firmano i loro interventi con nome e cognome. Alcuni di loro sono disposti ad ammettere che i nazisti hanno fatto delle vittime, ma certamente non nelle “camere a gas”, di cui negano l’esistenza. I loro siti sono spesso registrati all’estero, con l’intento di bypassare le eventuali restrizioni sui contenuti imposte da alcune piattaforme di blogging. Contenuti che sono costantemente monitorati dalla polizia postale che, alcune volte, riesce a contestare loro la violazione della legge Mancino. Una lista di queste pagine web era già finita al centro di un’indagine promossa dal Comitato di indagine conoscitiva sull’Antisemitismo, presieduto dalla deputata Fiamma Nirenstein, e oggetto di minacce sugli stessi siti.

Il forum neonazista Stormfront, nella sua versione italiana, ospita spesso interventi in difesa dei negazionisti, con attacchi agli esponenti delle comunità ebraiche italiane e a quei politici che si battono per la difesa della verità storica. Sito registrato in America, espone in homepage una croce celtica e la scritta, in inglese, “orgoglio bianco mondiale”. Il suo fondatore, Don Black, è un ex leader del Ku Klux Klan. Alcuni thread sono dedicati al tema della Shoah, definita “una fandonia” oppure “un complotto ebreo”, ma anche “la colonna portante di un castello di menzogne, una colonna di cartapesta, che può e deve essere abbattuta”. I commentatori abituali, che arrivano anche a negare la veridicità dei fatti narrati da Anna Frank nel suo diario (“i fatti da lei narrati non sono una prova del piano di sterminio”), sono protagonisti di insulti contro “i truffatori ebrei” ma anche contro i media controllati, a loro dire, dalla lobby ebraica. Su questo forum circolavano, nel 2008, le canzoni dei 99 Fosse, il gruppo che irrideva la Shoah, ridicolizzando il tema dei morti nei campi di concentramento con parodie di canzoni famose.

Anche i simpatizzanti e i militanti del movimento di estrema destra Forza Nuova hanno una loro tribuna virtuale, dalla quale vengono lanciati insulti antisemiti. La strategia è la stessa dei revisionisti: negare le cifre dello sterminio e minare la credibilità delle certezze acquisite dalla ricerca storica ufficiale. “Tutti i tabù sono caduti tranne questo, ma è solo questione di tempo, perché l’opprimente Diga Liberticida è infiltrata da mille rivoli di verità”, scrive un utente a proposito dell’Olocausto, riguardo al quale, viene sostenuto più volte, non esistono documenti che testimonino l’ordine di sterminio fisico degli ebrei. E’ questo, uno dei punti cardine della lezione tenuta da Claudio Moffa 1 all’università di Teramo, alla fine di settembre (il docente viene citato ad esempio dai militanti forzanovisti). E poco importano i racconti dei testimoni, sopravvissuti alla Shoah, e le verità ricostruite dagli storici: i negazionisti non sono disposti ad ammettere che le loro tesi non possono trovare alcuna credibile conferma storiografica. Sempre dal forum riconducibile a Forza Nuova, partono attacchi antisemiti agli esponenti delle comunità ebraiche, mentre si accusa Roma di non “saper tenere a bada la manesca, fanatica tribù di Giuda. Ora questa Roma alla vaccinara antifascista ne teme la vendetta”. Stesso tenore nei commenti sul forum dedicato a Benito Mussolini, i cui utenti inneggiano al presidente iraniano Ahmadinejad, per aver negato l’Olocausto.

Tra i siti registrati all’estero, c’è “Vho”, che fa capo alla Castle Hill Publishers, casa editrice di Germar Rudolf, colonna portante della storiografia revisionistica. Negli anni Novanta è stato condannato a 14 mesi di carcere, mentre successivamente la magistratura fece confiscare un suo testo negazionista. Fuggito in Inghilterra, dove ha fondato la sua casa editrice, nel 1999, in seguito alle pressioni esercitate dalla Germania, si è rifugiato in America. Nel 2006, dopo che gli Stati Uniti hanno respinto la sua richiesta di asilo politico, è stato rispedito in Germania, dove ha scontato una condanna a due anni e sei mesi di carcere. Il sito, registrato negli Usa, raccoglie una serie di link a testi di negazionisti, tra i quali figura l’italiano Carlo Mattogno. E’ tradotto in cinque lingue e, come è immaginabile, si batte per una pseudo-libertà di ricerca “scientifica non conformista”, e per contrastare le leggi che, in alcuni Paesi europei, prevedono l’arresto dei negazionisti. Tra le sue finalità, c’è “l’assistenza finanziaria ai revisionisti che, a causa del proprio operato, vengano sottoposti a processi giudiziari, ad aggressioni fisiche o a calunnie, o che vengano vittimizzati o perseguitati in altra maniera”. “Il momento, per i revisionisti, non è allegro – si legge nella pagina principale –  non solo la ricerca storica e scientifica non conformista – quando si tratta di ‘Shoah’ – è  penalmente perseguita nella maggior parte dei Paesi europei, ma addirittura Ernst Zündel e Germar Rudolf, dopo essere stati subdolamente deportati dagli Stati Uniti, sono stati recentemente condannati in Germania. Tutto questo solo per aver scritto e pubblicato libri e articoli critici della versione ufficiale dell”Olocausto’. Dunque anche l’Unione Europea (come la vecchia Unione Sovietica) ha i propri prigionieri politici”.

Le vignette antisemite di Holywar, articolazione web di un “Movimento di Resistenza Popolare L’Alternativa Cristiana”, sono spesso fatte circolare tramite Facebook, e vengono continuamente aggiornate, anche seguendo le evoluzioni dell’attualità politica italiana (il che lascia presupporre che sia curato da mani italiane). Quasi sempre si tratta di attacchi a singoli esponenti politici: oltre al sindaco di Roma, Gianni Alemanno (ritratto spesso con Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana), si insultano “l’ebreo Mario Draghi”, ma anche Gianfranco Fini, la compagna Elisabetta Tulliani e il fratello di lei, Giancarlo, (definiti “i soliti arroganti ebrei”). Vengono riportati testi che dimostrerebbero le “falsificazioni fotografiche” relative alla Shoah. Anche qui si sostiene che “il diario di Anna Frank sia stato un falso clamoroso”. Il sito è intestato a nome del norvegese Alfred Olsen, cattolico tradizionalista. Nel 2000 fece discutere, perché mise in rete i cognomi di 9.800 famiglie ebree italiane. Quella lista c’è ancora oggi, su una pagina dominata dalla stella di David e della locandina di un Dvd antisemita (acquistabile online).

La nascita della fondazione dell’associazione AAArgh (acronimo che sta per Associazione degli Anziani Amatori di Racconti di Guerra e di HOlocausto) risale al 1996, e la sua pagina web è tradotta in 22 lingue, tra le quali figura anche l’ebraico. Oltre a testi revisionistici europei, ci sono molti interventi contro chi propone, in Italia, di introdurre leggi che puniscano le teorie dei negazionisti.

Variopinto il panorama dei blog personali, anche se pochi pubblicano materiale con costanza. Da quelli che ripropongono i testi dell’italiano Carlo Mattogno (che, viene scritto, è a capo della “ditta di olo-demolizioni”) a siti dedicati ai negazionisti arrestati. Come “Olotruffa”, aperto per celebrare, si legge nella sua homepage,  quei negazionisti “discriminati, perseguitati, condannati, deportati ed internati per anni nei lager olo-sterminazionisti per lo psicoreato di ‘leso olocausto'”. Anche Andrea Carancini, su un blog che porta il suo nome, si occupa di negazionismo sul web dal 2008, dando notizia degli storici arrestati, in Europa, e traducendo testi di revisionisti stranieri.

Tutti siti, questi, che vengono monitorati dalla polizia postale che, in alcuni casi, riesce ad applicare la legge Mancino, che permette di perseguire l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali. Così, nell’aprile del 2009, la magistratura ha individuato e denunciato per propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale, un pensionato 61enne, curatore di “Thule-Toscana”, in cui si sosteneva, tra le altre cose, che nei lager nazisti si svolgessero attività ricreative (una delle teorie che accomuna quasi tutti i negazionisti). La sua pagina web è stata sequestrata dalla Procura di Arezzo, città nella quale aveva sede il provider della pagina. Lo scorso mese di marzo, invece, è stato individuato il referente italiano del Ku Klux Klan, che, oltre a predicare la superiorità della razza bianca, insultava ebrei ed omosessuali.

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/10/15/news/la_shoah_una_fandonia_un_complotto_viaggio_nel_negazionismo_via_internet-8071892/

Buone notizie dalla Germania

Una buona notizia dalla Germania: è arrivato a Monaco, estradato dagli USA, “John Demjanjuk, ritenuto dal Centro Simon Wiesenthal e dai superstiti dei Lager hitleriani uno dei più importanti criminali nazisti ancora in vita e ancora non giudicato dalla giustizia internazionale. John Demjanjuk, 89 anni, è stato estradato dagli Stati Uniti per decisione della Corte Suprema, e stamane alle 9,15, trasportato da vicino Cleveland dove viveva, a bordo di un aereo-ambulanza noleggiato dalle autorità Usa, è arrivato all’aeroporto internazionale della capitale …Secondo i capi d’accusa che i giudici tedeschi gli leggeranno, Demjanjuk, che in gioventù, ucraino, si chiamava Ivan Demjanjuk, sarebbe stato un sorvegliante dei corpi militari ucraini collaborazionisti attivi a fianco delle SS. E’accusato di diretta responsabilità nella morte di almeno 29mila ebrei, in maggior parte deportati dal Lager di transito olandese di Westerbork al famigerato Lager di Sobibor, costruito dalla Germania nazista nella Polonia occupata. Sobibor era uno dei più temuti campi di sterminio, e Demjanjuk si sarebbe guadagnato là il soprannome di “Boia di Sobibor”. Sarebbe poi stato attivo anche in due altri atroci Lager, Treblinka e Majdanek….”

E’ in carcere, bene. Una buona notizia.

(http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/esteri/demjanjuk-estradato/demjanjuk-estradato/demjanjuk-estradato.html)

Ancora sulla Shoah

Trovo questo brano (a firma Riccardo) oggi sul mio blog a commento del post del 23/01/2009 “Il vescovo: “L’olocausto non è mai esistito” (la copia è conforme all’originale)

Non c’entrailfatto dell’intolleranzaverso gli ebrei tanto meno l’accusadi deicidio,bastacon queste storie,ladomandaé le camerea gas sono mai esistite?
e’ una domandaper ilricercatore storico.
Chi crede in una veritá ripetuta 1000volte da ragione a Himmler,talepotrebbe benissimo essere ilcasodell’olocausto contro gli ebrei,non dico che non siano morti molte persone in Germaniai campi diconcentramento c’erano,ma sono morti milioni di ebrei?
Tutte lericerche smentiscono questo il New york timesdichiaró che in auswits sono morti 73000 ebrei nel2003, mentrenel 1991 si dichiaró che ne erano morti 100 000, per 40 anni prima del 1991 si dichiarava che ne erano morti 4 000 000, enegli anni cinquanta e quarantadsi scriveva nei giornali che ne erano morti 9 000 000.Si intravvedela farsa?
Le statistiche ricercateledicono che nel 1939 c’erano 15 600 000 ebrei in europa,e nel 1948 15 700 000.
e’chiaro che quello checi dicono i filmtipo spielberg e molti altri é una menzogna storica, un busines per lo stato di Israele che all’epoca non esisteva neppure.
E nessuno parla che negli Stati Uniti sono stati uccisi in campi di concentramento ben 150 000 giapponesi.
Nessuno dice ne commentamai dei 2 000 000 di soldati tedeschi morti e fatti morire in campi di concentramento inglesi dopo la seconda guerra mondiale.
E sopratutto nessuno parla delledecine di milioni di torturati e uccisi in campi di concentramento sovietici.
Lapolitica e lareligione cosa c’entrano se si tratta dellaricerca della veritá oggettiva?
Mala cosa pone domande scomode… il potere imbavaglia contro ogni democrazia occidentale in occidentetorturano chi fa ricerche sull’argomento oggi, e possono incarcerarti nellamaggior parte dei paesi liberi,se é tanto vero l’olocausto perché non smentiscono le tesi revisioniste dai alla mano?
Perché non ci sono prove, non ci sono prove documentali ne di camere a gasne di testimoni sopravvissuti alle camerea gas,ne dello sterminio degli ebrei nellaseconda guerra mondiale.
Eh si éla veritá,e chi potrá negarla quando esca alla luce bene bene cosa che é inevitabile prima o poi? Meglio primache poi.

Chi si offende per chi la pensa diversamente per chi propone un altra versione della storia é un intollerante,
invece il vescovo ha espresso una sua opinione personale da storico,non a nome della chiesa, ma a nome suo come storico édi tutto rispetto.
Bisogna rispettareleopinioni gente, in democrazia e anche se non fossimo in democrazia.

Comeépossibileche su 30 campi di concentramento nazisti solo su 7 c’erano le camerea gas,proprio quei sette campi di concentramento caduti nel lato sovietico, doveper 40 anni nessunoccidentale ha fatto indagini?

e poi : tutti sanno che le camere a gas che ci sono ad Auswits sono ricostruzioni, dove sono quelle vere?
Nessuno le ha mai viste.

Questa la mia risposta che voglio condividere:

Leggere le cose che scrive Riccardo subito fa arrabbiare, poi muove un senso di profonda pietà, pensando al livello di decadimento morale e intellettuale che sta dietro a simili posizioni. Basterebbe una parola: “balle” e tutto si chiuderebbe lì, ma risolveremmo il problema di chi vive in questo stato di profonda e, temo, definitiva ignoranza? E’ talmente enorme la distanza fra la realtà e quello che Riccardo pensa di sapere che ogni considerazione rimane in sospeso. Decenni di ricerche, di dati, numeri, milioni di biografie cosa contano davanti alla protervia di chi dice cose di questo livello? Un solo esempio: “tutti sanno che le camere a gas che ci sono ad Auswits  [Auschwitz] sono ricostruzioni”. Chi sono i “tutti” che sanno? Hai mai toccato quelle macerie, caro Riccardo, hai mai letto anche 1 solo documento originale sulla Shoah? Sei mai stato in un campo? Nulla di nulla, magari qualche serata sul web su qualche sito negazionista e via. Leggere queste cose prima fa arrabbiare poi fa pensare che sia giusto quello che accade all’estero: carcere per i negazionisti. E’ una misura di profilassi morale, per tutti.

Berlino-Reggio

Per una settimana a Berlino non ho letto giornali italiani, senza sentirne la mancanza. Unica tv la CNN per le notizie e i canali tedeschi per riuscire ad imparare magari 3 parole di tedesco in più. Comunque nessuna notizia sull’Italia, neppure le previsioni del tempo internazionali prevedono “Roma”. Marginali, un paese qualunque come l’Austria, la Finlandia, peggio che la Grecia (che almeno “Atene” nelle previsioni meteo c’è). Dopo un attimo di frustrazione vetero-nazionalista, mi sono detto “meglio così”. Meglio farci dimenticare, stare nell’ombra. L’Europa è altrove, era lì a Berlino, a Parigi, e non è il solito provincialismo che vede l’erba del vicino tenera e fresca. No, è che da noi l’erba è stata calpestata, arato il terreno e sparso sale, come si faceva nell’antichità. Giri la Germania e vedi pale eoliche ovunque, fotovoltaico su case e uffici (e l’industria tedesca esporta a palla), trasporti pubblici efficienti e noi ritiriamo fuori l’atomo. Come se nel 1920 si fossero finanziati i maniscalchi e i sellai, alla faccia di Henry Ford. Dopo la cerimonia conclusiva in Rosenstrasse dei “Viaggi della Memoria”, un poliziotto è arivato per vedere che sul monumento non fossero state lasciate scritte o simboli nazi. In caso positivo sarebbe arrivata subito una squadra di pulizia. Da noi i muri delle città sono pieni di fasci, svastiche, il sindaco pro-tempore di Roma (non Castelbufalo) porta al collo una croce celtica e già sappiamo che se si denunciasse qualcuno per apologia di fascismo nessun magistrato darebbe corso alla cosa. A Berlino hanno costruito il Memoriale degli ebrei sterminati in Europa a 100 metri dalla Porta di Brandeburgo, hanno messo davanti al mondo la loro storia, la loro colpa. Unico modo per uscirne. E uscirne più forti. Ve l’immaginate trasformare Palazzo Venezia nel Memoriale delle vittime del fascismo? Più realistico immaginare un discorso cristiano da un leghista o un comportamento non osceno (basterebbe) dal nostro premier provvisorio.

27 gennaio 2019_Giornata della memoria

27 gennaio 2019_Giornata della memoria

da “La Repubblica Padana”
Grande emozione oggi per la celebrazione della giornata della Memoria: Il Presidente della Repubblica card.Silvius Berluscony, accompagnato dal Ministro della Ferrea Difesa Abbiati e dalla Ministra della Suprema Inconoscenza Maria Stella Gelminy hanno conferito l’Ordine del Tricolore all’ultima SS italiana vivente: il cap.Bruno von Vespen.
In delegazione sono poi saliti al soglio pontificio dove sono stati ricevuti da SS Papa Benedetto XVII (al secolo Richard Williamson) che ha ricordato, nel suo breve messaggio di saluto, il prezzo pagato dai valorosi camerati nazionalsocialisti per la difesa della cristianità contro le trame giudo-demo-pluto-massoniche. Un sacrificio che deve rimanere nella memoria di tutti cittadini del Regno dell’Italia Padana.
Dopo un minuto di silenzio in memoria del Beato Benito Mussolini (di cui ricorreva ieri la ricorrenza del primo miracolo), terminato con un simpatico “A noi!”, si è proceduto alla benedizione delle croci (uncinate) augurali che verranno diffuse in milioni di copie in tutte le case italiane, giusto in coincidenza con la 15 edizione del Grande fratello dove, novità annunciata dal card.Berluscony, si confronteranno ausiliarie delle rinate Brigate Nere, simpatici membri della Neonata Banda Koch, insieme a un nano bergamasco, un faccendiere socialista, Paola Binetti, un ultrà sadomaso, Massimo D’Alema e altre personalità di rilievo.
Al termine dell’incontro con SS (Schutzstaffeln) Benedetto XVII, il card. Berluscony ha poi benedetto un treno di studenti in partenza per il Campo scuola di formazione politica nazionale e Padana, recentemente intitolato all’eroico difensore della cristinianità “SS.H.Priebke”, di cui è stata avviata la pratica di beatificazione.
Terminata la benedizione il card.Berluscony ha poi insignito, nel corso di una breve ma significativa cerimonia, del prestigioso Ordine della Panzana cerchiobottista di I classe, alcuni orfani di famosi giornalisti caduti nella cruenta lotta contro gli ultimi focolai dell’antifascismo, prima della definitiva messa fuori legge con la ben nota Legge del 2011, voluta dall’allora Ministro della Sublime Giustizia Platinette. Fra essi GianPierLuigi Battista, Pierpaolo Mieli e GianErnesto Galli della Loggia.
La gioiosa ricorrenza si è conclusa con la parata sui Fori Imperiali dei Battaglioni corazzati delle ètere lombarde, degli stangatori della Val Brembana e delle veline di Pronto intervento della Brigata Arcore.

“Marco, vieni c’è Primo Levi al telefono” (2)


Data la mortalità elevatissima, pensa che la sua sopravvivenza sia dovuta a fortuna o ad altri fattori?
“Io penso che, in primo luogo, molto abbia giocato la fortuna. Inoltre non sono stato mai ammalato: mi sono ammalato più tardi, in modo provvidenziale. Ed ecco come avvenne. Io, lavorando in fabbrica, rubavo al laboratorio ciò che mi poteva servire per la sussistenza e puntualmente dividevo il bottino con Alberto; c’era infatti un patto tra di noi, per cui dividevamo fraternamente ogni colpo buono (ecco qui l’arte di arrangiarsi!). Un giorno che avevo rubato del tè in laboratorio, andai con Alberto a venderlo all’ospedale, dove ne avevano bisogno per gli ammalati. Ci pagarono con una gamella di zuppa, quasi gelata e già un po’ intaccata. Probabilmente era stata toccata da un malato di scarlattina: io presi la scarlattina, fui mandato in ospedale e sopravvissi; Alberto che aveva avuto la malattia da bambino, non ne fu contagiato e morì in campo. Altro fattore fondamentale per me è stato quell’operaio, Lorenzo, di Fossano, che mi ha portato per molti mesi quanto bastava per integrare le calorie mancanti. Egli, che pure non era un prigioniero, è tornato molto più disperato di me: era un uomo molto mite e molto pio, rozzo e insieme religioso, e era terrificato di quanto aveva visto, spaventato, ferito. È tornato in Italia da solo, a piedi, e non ha voluto più vivere. Ha incominciato a bere e, a me che lo andavo a trovare spesso, diceva molto freddamente che non desiderava più vivere, che ne aveva viste abbastanza. Morì tubercoloso; e infelice”.

Qualche episodio insolito che ricorda e che non è stato detto nei suoi libri.
“C’era con noi un medico ebreo osservante. Lei sa che la religione ebraica prevede dei digiuni molto rigorosi: in quei giorni non si mangia niente e neppure si lavora. Questo medico alla sera – dopo il lavoro – disse al capo-baracca che la zuppa non la voleva, perché era giorno di digiuno e lui non la poteva mangiare. Il capo-baracca era un comunista tedesco, abbastanza indurito dal suo mestiere (aveva dieci anni di lager alle spalle), però, colpito dalla forza morale del prigioniero, gli conservò la zuppa fino a quando quest’ultimo non terminò il suo digiuno. Questo atto di umanità mi aveva molto impressionato”.

Può stabilire un rapporto tra lei e gli altri scrittori di religione ebraica (Ginzburg, Bassani)?
“Un rapporto complesso c’è, evidentemente. L’ambiente di Natalia Ginzburg è il mio stesso ambiente; abbiamo parenti in comune; lei è nata Levi e suo fratello era il nostro medico. L’ambiente della borghesia ebraica torinese è quello in cui sono nato e cresciuto. Quello di Bassani è diverso; sia Bassani che i suoi personaggi appartengono ad un’altra borghesia ebraica, quella di Ferrara, che io conosco abbastanza poco. E che non mi piace tanto, perché erano una classe abbastanza consapevole dei propri privilegi, abbastanza esclusiva (vedi il famoso muro di cinta) e riservata e chiusa”.

Per quale motivo la Ginzburg le ha rifiutato il manoscritto?
“Premetto che non le serbo rancore (ma forse sì, per un certo periodo gliene ho serbato). Ho pensato a tante cose: forse era satura di manoscritti – fare il lettore in una casa editrice è un brutto mestiere; si è costretti a falciare… poi… è un fatto che, pur conoscendola bene, non abbiamo mai chiarito”.
Ha ancora dei contatti con i compagni del lager?
“Enick l’ho perso di vista completamente. Ho ritrovato invece quel Pikolo, quello del canto di Ulisse; con lui ci vediamo sovente; viene a fare le vacanze in Italia e fa il farmacista in un piccolo paese vicino a Strasburgo. È uno di quelli che hanno rimosso tutto: si è imborghesito completamente e non ama parlare di queste cose. Sono stato a trovarlo, l’ultima volta, con la Televisione italiana; gli ho chiesto di riceverci e mi ha risposto: te sì, ma le telecamere no. Poi però ha accettato anche loro, ma non volentieri”.

Che pensa dei giovani d’oggi?
“La differenza fondamentale tra la nostra giovinezza e la giovinezza attuale è nella speranza di un futuro migliore, che noi avevamo in modo clamoroso e che ci sosteneva anche negli anni peggiori, anche nel lager: la meta c’era e era costruire un mondo nuovo di uguali diritti, dove la violenza era abolita o relegata in un angolo, costruire il Paese per riportarlo a livello europeo. Invece, i giovani d’oggi, mi pare abbiamo molte meno speranze. In generale vedo che tendono a scopi immediati, e questo forse è anche abbastanza giusto, in quanto non distinguono un altro futuro. Mi pare, paradossalmente, che sia stata più facile la nostra giovinezza, perché oggi sono troppi i mostri all’orizzonte: c’è il problema della violenza, il problema energetico, dell’inquinamento; il mondo è diviso in blocchi, c’è una totale incapacità di prevedere l’avvenire e nessuno osa fare previsioni sensate di qui a due anni. C’è sempre il problema atomico. Trovo che sono pochi i giovani che pensano di fare o studiare in qualche modo per un loro preciso futuro. È il senso del tramonto dei valori, per cui bisogna godere e bruciare tutto subito”.

Come mai ha lasciato passare tanto tempo, quindici anni, da Se questo è un uomo alla seconda opera?
“Se questo è un uomo, edito nel ’47 presso De Silva, uscì in duemilacinquecento copie: avevo delle buone recensioni, ma ho avuto cinquemila lettori (un libro lo leggono due persone in media). Dopodiché… non ho avuto più incentivo a scrivere; mi pareva di avere fatto il mio dovere di testimone, di essermi scaricato delle mie tensioni e non sentivo il bisogno di scrivere altro. Solo dopo molti anni mi ha ripreso questo desiderio, perché si è ricominciato a parlare della Seconda guerra mondiale, e dei lager in specie, in modo diverso, in senso storico appunto. Verso il ’60, o forse prima, si tenne un ciclo di conferenze sul tema e io mi sono ritrovato protagonista: molti allora mi hanno incoraggiato a raccontare anche la seconda parte della mia esperienza, cioè il ritorno dalla Russia. Ripresi la penna anche per un altro motivo: era cessata la Guerra fredda e ora potevo raccontare la verità completa, umana. Prima era impossibile parlare della Russia: o se ne parlava come dell’inferno o come del paradiso. E io non me la sentivo, in un ambiente così, di scrivere un libro-verità come La tregua. Solo dopo la distensione è diventato possibile scrivere di queste cose in un linguaggio non retorico”.

Perché è nato Malabaila?
“Perché sarebbe stato scandaloso a quel tempo: non avrei potuto, io, lo scrittore di Se questo è un uomo venire fuori a quei tempi con aneddoti, storie fantastiche. Proposi allora questo pseudonimo all’editore, il quale accettò con entusiasmo, pensando forse di farne un “caso letterario”: poi il caso non ci fu, ed io ripresi il mio nome”.

(18 gennaio 2009)

“Marco, vieni, c’è Primo Levi al telefono”

“Marco, vieni, c’è Primo Levi al telefono…”. Marco Viglino aveva diciannove anni e si stava preparando alla maturità in un liceo cattolico privato quando una sera dell’aprile 1978 arrivò, a sorpresa, la telefonata dello scrittore dalla quale è nata l’intervista inedita che Repubblica ha proposto il 18 gennaio. Trent’anni dopo, l’autore di quella intervista è diventato magistrato, mentre a Torino è nato il centro di studi che dovrà raccogliere e catalogare il grande lascito di appunti e lettere dello scrittore

PRIMO LEVI
“Io, scampato al lager
per poterlo raccontare”
di MARCO VIGLINO

Mi ha colpito il suo desiderio di rendere testimonianza sulla tragica esperienza nel lager: quando è nato questo desiderio?
“Questo desiderio, del resto comune a molti, mi è nato nel lager. Volevamo sopravvivere anche e soprattutto per raccontare ciò che avevamo visto: questo era un discorso comune, nei pochi momenti di tregua che ci erano concessi. Del resto è un desiderio umano: lei non troverà mai un reduce che non racconti. (No, mi correggo, ve ne sono alcuni che non raccontano; ve ne sono alcuni che sono stati feriti talmente a fondo che hanno censurato il loro passato, l’hanno sepolto per non sentirselo più addosso). In primo luogo c’è il bisogno di scaricarsi, di buttare fuori quello che si ha dentro. Poi ci sono anche altri motivi… c’è forse anche il desiderio di farsi valere, di far sapere che siamo sopravvissuti a certe prove, che siamo stati più fortunati, o più abili, o più forti”.

Il punto di contatto tra i primi libri e quelli di fantascienza, mi pare possa essere la sua “indignazione”, che prima è rivolta al lager e poi verso certe storture della civiltà. È giusto?
“Sì, è giusto: è una domanda che mi fanno in molti e a cui veramente non sono il più autorizzato a rispondere, perché non è detto che chi scriva sappia sempre bene “perché” scrive. Io ho due radici: una è il senso del lager e l’altra è il senso della chimica con le sue dimensioni. Avevo in mente di scrivere qualcosa sulla storia naturale ancora prima di entrare nel lager: già da studente sentivo un desiderio del genere (non come progetto chiaro e distinto, ma come vaga aspirazione) e trovavo un terreno fertile nel mio mestiere di chimico. Perciò – dopo aver terminato Se questo è un uomo e La tregua – non è che io abbia “scritto” gli altri due libri: ho raccolto alcune idee e anche alcuni racconti che avevo già scritto prima. Per esempio, il primo racconto delle Storie naturali, quello del vecchio medico che raccoglie essenze, l’ho scritto prima di Se questo è un uomo. E… probabilmente sì, benché il tema sia diverso, anche gli altri scritti risentono dell’esperienza del lager, in una forma molto indiretta, in una forma di delusione profonda, di un ritirarsi dalla vita”.

Tra i personaggi che si incontrano nei suoi libri, Lei mostra particolare simpatia e indulgenza verso alcuni che incarnano una certa “furbizia” o arte di arrangiarsi, come Cesare o il Greco.
“Anzitutto questi personaggi agiscono in un contesto tutto particolare, che è quello della fine della guerra: ora, su questo fondale, direi che si può essere abbastanza indulgenti. Non ammetterei, oggi, un Greco; lo eviterei, mi terrei lontano da lui, ma in quel momento lo sentivo quasi un maestro. Egli soleva dire: la guerra è sempre. E poi ancora mi diceva: “Vedi le scarpe belle che io ho: è perché sono andato a rubarle nei magazzini dei russi. Tu sei uno sciocco, non sei andato a cercarle”. Io rispondevo che pensavo che la guerra fosse finita e che i russi avrebbero provveduto. “La guerra è sempre”, mi ripeteva, e, allora, io ero d’accordo con lui. Oggi sarei più severo nei suoi riguardi, così anche nei riguardi di Cesare: ma la furbizia di Cesare era così solare, così aperta, così ingenua in fondo e così innocua che mi sta bene ancora adesso. Non sarei un censore tanto severo da escluderla, in quella forma: furbizia così “italiana”, sempre mescolata con bonomia. Cesare ingrassava i pesci con l’acqua, poi però, davanti ai bambini affamati della donna russa, glieli regala. Questo fa parte di un’arte di vivere che è vecchia come il mondo e davanti alla quale non si può essere troppo severi”.

Quella carica di ribellione che sta alla radice dei primi due libri si è attenuata con gli anni oppure no?
“Io contesto “quella carica di ribellione”: di indignazione sì; di ribellione purtroppo no perché non c’era modo, almeno per chi era al mio livello. Ribellioni in senso tecnico ve ne sono state, in alcuni lager: l’episodio che ho raccontato di quell’impiccato che muore gridando “io sono l’ultimo!” si ricollega a una ribellione che c’era stata in un altro campo: i prigionieri avevano fatto saltare i forni crematori pochi giorni prima e costui, di cui non conosco neppure il nome, era implicato nella faccenda, probabilmente aveva procurato dell’esplosivo. Riprendendo, l’indignazione sì persiste, ma diciamo che si è ramificata. Sarebbe stupido oggi continuare a vedere il nemico solo lì, solo il nazista, anche se a mio parere è ancora il principale. Però il mondo di oggi è molto più articolato che non quello di una volta. Non erano bei tempi quelli in cui io ero giovane, però avevano il grande vantaggio che erano netti; l’alternativa amico/nemico era molto netta e la scelta non era difficile. Oggi lo è molto di più. Perciò anche l’indignazione persiste, ma è… erga omnes. Verso molti, non più verso “quelli””.

Nella famosa lettera al suo editore tedesco, lei dice che non può capire i tedeschi e quindi non si sente di giudicarli.
“No, ho detto che non li capisco, ma li giudico sì”.

E come, allora?
“Li giudico male: sì, anche i tedeschi di oggi. Non tutti, naturalmente; io ho molti amici tedeschi, anche per il fatto che parlo la loro lingua, e mi interessano, e mi rifiuto di giudicarli in blocco. Però devo dire che, statisticamente, sono un paese pericoloso. Sono un pericolo intanto perché sono divisi in due e questo essi non lo accettano: pochi fra i tedeschi accettano questa divisione. E poi hanno delle virtù che diventano pericolose: questa loro straordinaria passione per la disciplina (che a noi manca – ed è male – ma loro ne hanno troppa!) per cui sono pronti ad accodarsi a chiunque comandi, mi fa paura”.

Com’è che allora, sempre in quella lettera, lei dice che i tedeschi, oltre ad essere pericolo, sono speranza per l’Europa?
“Ecco… la lettera io l’ho scritta molti anni fa, nel ’60, sulla corda dell’entusiasmo che avevo provato io per il fatto che un editore tedesco aveva accettato di pubblicare la mia testimonianza, e anche a seguito di vari contatti che avevo avuto allora con i giovani tedeschi degli anni Sessanta. E mi era sembrato che la Germania fosse veramente un’altra. Sembrava una roccaforte della democrazia, allora: oggi un po’ meno, anzi molto meno”.

Come reagiva vedendo i compagni di sventura andare ogni giorno alla morte a causa della selezione: lo prendeva, alla fine, come un dato di fatto, o questo le procurava ogni volta lo stesso dolore e lo stesso disgusto?
“Ci si incontrava, al mattino, all’appello e quando ne mancava uno, era considerato di cattivo gusto andare a fondo, un po’ come capita oggi quando uno muore di cancro: non se ne parla volentieri. Era una forma di accettazione, in sostanza, per cui l’atteggiamento verso il compagno morto in selezione non era molto diverso da quello verso uno morto di morte naturale. Quel mio amico Alberto, di cui ho parlato a lungo, era in campo con il padre: era un ragazzo molto intelligente e insieme parlavamo sovente di queste cose, senza inibizioni e senza cedere a questa tendenza di negare la verità. Pure, quando il padre fu scelto per la selezione, Alberto disse di essere sicuro che suo padre non era mandato nelle “camere” bensì veniva trasferito con altri prigionieri in un altro campo di convalescenza. E io ero stupito e impressionato nel constatare come il mio amico si fosse prontamente costruito un riparo, per celarsi una realtà altrimenti intollerabile”.
(1-continua)

Il vescovo: “L’olocausto non è mai esistito”

Tale Richard Williamson, nominato vescovo da tale Marcel Lefebvre, ha dichiarato: “..Sì,..secondo me le camere a gas non sono mai esistite..L’antisemitismo può essere cattivo solo quando è contro la verità, ma se c’è qualcosa di vero non può essere cattivo.” Un suo sodale, tale Franz Schmidburger, responsabile della Fraternità [lefebvriana] in Germania afferma che gli ebrei di oggi portano la colpa del deicidio, finchè non prenderanno le distanze dai loro avi e non riconosceranno la natura divina di Gesù Cristo.

(La Repubblica, 23.1.2009)

Al signor Williamson, al suo sodale Schmidburger e ai loro amici non chiedo di vergognarsi, perchè per poterlo fare ci vuole coscienza e onestà, doti di cui sono notoriamente sprovvisti, chiedo invece di vergognarsi alle gerarchie vaticane se si realizzasse quanto ventilato negli ultimi giorni, ovvero il ritiro della scomunica ai lefebvriani che sarebbe stata nelle intenzioni del pontefice germanico. Ricordo che non è stata mai ritirata la scomunica irrogata ai comunisti nel 1949.

La Shoah sul web: www.zwangsarbeit-archiv.de

L’ORRORE DELLA SHOAH SUL WEB
on line 600 testimonianze
Racconti di sopravvissuti a disposizione di studiosi, scuole, giornalisti
dal corrispondente ANDREA TARQUINI

BERLINO – La tragedia e le inenarrabili sofferenze dei forzati di Hitler rivive su internet con 600 interviste-testimonianza e racconti in diretta, grazie a un team di storici tedeschi. Da oggi è aperto, operativo, e funziona gratis per ricercatori, storici, professori e scuole, giornalisti, il sito www.zwangsarbeit-archiv.de. E’ un’iniziativa eccezionale che un team di decine di storici e ricercatori delle università berlinesi, appoggiati attivamente prima dal governo di Gerard Schroeder prima e da quello di Angela Merkel poi, hanno realizzato e mettono ora a disposizione della Memoria del mondo.

Circa 600 sono le testimonianze raccolte nel link. L’utente le può chiamare: alcune sono audio e video insieme, altre solo audio. I sopravvissuti raccontano quegli anni terribili in cui furono strappati alla loro terra e ai loro cari, deportati nei territori occupati dal ‘Reich millenario’, e costretti a lavorare in condizioni bestiali, malnutriti, maltrattati, e spesso percossi e torturati ogni giorno dagli aguzzini hitleriani. 341 uomini e 249 donne sono i sopravvissuti che i team dei ricercatori tedeschi sono riusciti a trovare sparsi per il mondo: la maggior parte attualmente vive in Russia, Ucraina o Polonia, o negli Usa, o in Israele, altri in Europa occidentale. Un terzo almeno degli intervistati sono ebrei, altri gitani, altri erano solo cittadini dei paesi occupati sospettati di simpatie per la resistenza o giudicati abbastanza giovani e forti da essere abili al lavoro.

I tempi erano già pessimi per il Terzo Reich, la scommessa hitleriana di vincere la guerra era già perduta. Prima la Royal Air Force aveva battuto l’aviazione nazista, cioè la Luftwaffe, nella battaglia aerea sull’Inghilterra. Poi l’America di F. D. Roosevelt aggredita dal Giappone era entrata in guerra con tutto il suo imbattibile potenziale industriale, e grazie a ingenti forniture militari del massimo livello americane e britanniche, alla sua stessa industria militare e al sacrificio spaventoso della sua gente (27 milioni di morti) l’Unione sovietica aveva respinto l’attacco della Wehrmacht alle porte di Mosca e a Stalingrado e l’Armata rossa avanzava verso ovest. Dalla Polonia alla Francia, dall’Olanda alla Norvegia, gruppi partigiani sfidavano l’occupante. La macchina da guerra nazista aveva bisogno di produrre sempre più armi, e si affidò ai forzati trattando milioni di persone come schiavi, come bestie.

“Io sono l’unico sopravvissuto della mia famiglia, tutta scomparsa nella deportazione”, racconta in una delle testimonianze online Henry F., ebreo ungherese, oggi abitante ad Atlanta, Georgia, Usa. “Ci picchiavano ogni giorno, era bestiale”. Altri sopravvissuti hanno ricordi diversi. Come il francese René: “A volte i capi tedeschi erano umani o quasi umani con noi, semplicemente perché tenerci in vita serviva loro per continuare a farci produrre le armi per la loro guerra”.

L’iniziativa del sito è partita dalla Fondazione tedesca per il ricordo e il futuro, creata nel 2001. E’ l’istituzione che dopo l’accordo tra Berlino e le organizzazioni ebraiche e dei sopravvissuti alla Shoah ha gestito il pagamento di risarcimenti alle vittime per oltre 4 miliardi di euro presi dal bilancio tedesco. Ma non contano solo i soldi, fa capire Felix Kolmer del Comitato internazionale di Auschwitz. Per i sopravvissuti, dice all’agenzia France Presse, conta anche che pure con Internet ci sia in futuro per loro una garanzia di non sparire dalla Memoria.

(http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/shoah-2009/shoah-2009/shoah-2009.html)