“Io non sono padano..”

LETTERA APERTA A UMBERTO BOSSI da Mario Badino cittadino italiano

Gentile signor Bossi,

 Le scrivo per dirle questo: benché settentrionale (al nord sono nato e cresciuto, ho studiato, lavoro) io non sono padano. Vivo ad Aosta, che fra l’altro è più “su” di casa sua, e mi trovo bene con i miei concittadini, tanto i valdostani autoctoni, quelli col cognome francese, quanto i veneti, i calabresi e oggi anche gli stranieri, figli e i nipoti – tutti quanti – di diverse migrazioni.

 

 Come settentrionale, sono stato abituato a credere in alcuni valori che sono di tutti, ma che i nordici hanno ascritto a se stessi (quasi ne avessimo l’esclusiva): l’efficienza, l’industriosità, l’educazione, l’onestà… Mio nonno, in proposito, era solito definire Milano la «capitale morale» del Paese (poi, però, c’è stata Tangentopoli).

Spesso, devo dire, i valori cui ho fatto riferimento qui sopra sono smentiti proprio dai settentrionali, perché non è vero che quassù le cose funzionano bene: abbiamo, anche noi, una rete ferroviaria disastrosa; anche nelle nostre regioni si stanno sistemando le mafie, con la complicità di chi dovrebbe vedere e invece chiude gli occhi; abbiamo una valanga di precari senza prospettive e tanta, troppa gente maleducata e pronta ad arraffare.

Sono i guasti, io credo, di una gestione del Paese nel suo insieme, che – dopo anni di presenza in Parlamento e al governo – vede la Lega seduta sul banco degli imputati accanto alle altre forze politiche, molte delle quali – del resto – guidate da uomini del nord.

 

Signor Bossi, il vento che soffia da nord è freddo. Nel senso di calcolatore, meschino. Un vento di padano egoismo, nato per affermare il diritto del ricco, del benestante, all’isolamento, all’arrocco sul proprio cucuzzolo montano, sul proprio crinale o campanile cinto di mura.

Quando ancora si chiamava lombarda, la Lega fece questo bel ragionamento: «Se noi siamo ricchi, perché non ci liberiamo degli altri?»; e così fu sacrificata la metà (e più) del Paese.

Ma pensa davvero che non avrà alcuna conseguenza l’odio per i meridionali e per gli stranieri che i suoi uomini alimentano in tutte le occasioni, dall’alto di un palco o attraverso un video pubblicato su YouTube? Oppure lodio, simmetrico e inverso al precedente, che i cittadini del sud o dei migranti potrebbero riversare sulle donne e gli uomini del nord?

 

Io sono stufo di vedere pagliacci in camicia verde pronti a proclamarsi artefici della «rivoluzione» (termine utilizzato dall’ineffabile Gentilini); naturalmente una rivoluzione “contro”, fatta per innalzare recinti e mettere di qua i “buoni”, di là i “cattivi”.

Non sopporto la repressione continua dei diritti e delle libertà, sia che si tratti dell’asilo negato ai migranti degli altri Paesi, sia che si tratti del mancato rispetto di un sistema di graduatorie nazionale che regola la libera circolazione dei funzionari delle pubbliche amministrazioni, della scuola.

Non ne posso più di sentire slogan come «prima i veneti», «prima i lombardi», oppure «esame di dialetto» (lo sa quanti “padani” doc sarebbero bocciati a questo accidenti di esame?).

Non ne posso più di gente che propone di sostituire Dante e Boccaccio con qualche scrittorucolo locale, soltanto in base al “diritto di residenza”.

Non ne posso più di padani razzisti e maleducati che pretendono scompartimenti separati in metropolitana, in base al criterio della residenza, o dicono che i napoletani «puzzano», salvo poi vantarsi di aver risolto l’emergenza rifiuti mettendo la monnezza sotto il tappeto (dei napoletani).

Ha detto Gentilini (ancora lui!) che il nord non deve accollarsi i rifiuti del sud. Ma se avviene esattamente il contrario, con le campagne meridionali che ricevono – nella noncuranza dell’esecutivo che lei rappresenta – i nostri rifiuti, per di più quelli tossici, che poi finiranno sulle nostre tavole sotto forma di verdura o mozzarella di bufala.

 

 Se essere padani significa costruire questo mondo, signor Bossi, io metto le mani avanti: io non voglio essere padano. Se non c’è altra soluzione, se i miei concittadini settentrionali continueranno a votare in massa per il suo partito ignorante e razzista, mi troverò costretto a rinnegare le mie origini e chiederò cittadinanza meridionale. Prenda questa lettera come un atto di abiura, come il rifiuto della divisa che gli obiettori di coscienza facevano in caserma, quando non esisteva il servizio civile. Prenda questa lettera per un attestato di disprezzo da parte mia per lei, per il suo movimento e tutto ciò che rappresenta.

“Non so come..so soltanto che…”

Ringrazio l’amica Normanna che mi ha fatto arrivare questo intervento di don Emanuele Benatti (Centro Missionario Diocesano):

“Non so come… so soltanto che…
Sì, onestamente, non so come si chiamassero né quanti fossero, né quante donne avessero al seguito, tutti i signori convenuti a L’Aquila… So soltanto che hanno fatto di tutto per farsi vedere belli, giovanili, sorridenti, simpatici, eleganti, buoni, perfino responsabili e coscienziosi, meritevoli di attenzione…
Non so di quanti militari armati e di quali e quante armi strategiche hanno avuto bisogno per sentirsi tranquilli e sicuri, per sembrare appunto rilassati e rassicuranti… So soltanto, e per certo, che per settimane in Abruzzo la gente ha vissuto in stato di assedio, controllata giorno e notte, da soldati armati, inflessibili, esasperanti. E più di uno si è sentito soffocare e impazzire, nelle tende…
Non so, onestamente, quali impegni concreti si siano presi e quali accordi reali abbiamo fatto per andare via (come sempre!) tutti così contenti, con grande ostentazione di baci e abbracci, chissà forse anche con qualche lacrima… So soltanto che 2-3 miliardi di persone, nel mondo, senza televisione e senza forza per sorridere non si sono accorte di nulla, altri due miliardi avranno visto quello che sarà stato fatto loro vedere (e non ci avranno capito granchè), e tutti loro, 5 miliardi di persone non s’aspettavano nulla e nella loro vita non trarranno alcun beneficio da quelle firme, da quelle strette di mano e da quella prosopopea mediatica…
Non so, onestamente, se fra 20-30 anni (quando un decimo di quelle intese diventeranno, forse, operative), ci sarà ancora qualcuno di quei signori… So soltanto, e per certo, che un’ecatombe di quei 5 miliardi di persone, più deboli, saranno state lasciate o fatte sprofondare, scaricate da un sistema che cura nei dettagli le operazioni d’immagine dei vip, molto meno quelle di sostanza, riguardanti le moltitudini umane…
Non so neppure quanto l’Italia abbia speso per questa kermesse (pare dai 400 ai 500 milioni di euro), né quanto le promesse di aiuto serviranno all’Abruzzo o all’Africa, ripetutamente chiamata in causa… So soltanto che il terremoto non è ancora finito, e tanto meno sono finite le guerre in Congo, in Eritrea, in Somalia, in Sudan, nello Sri Lanka, in Afghanistan, in Medio Oriente, né sono finite le repressioni in Tibet, in Birmania, in Iran, nel Sahara occidentale…
Non so quanti africani in fuga dai loro Paesi in guerra e diretti in Europa siano già morti nelle acque del Mediterraneo e dell’Atlantico in questi 10 anni (dalle statistiche non meno di 50mila)… So soltanto, e chi ha visto il film documentario “Come un uomo sulla terra” ne ha avuto una ulteriore tragica conferma diretta, che sono decine di migliaia gli africani sballottati in Libia su containers d’origine italiana, uomini e donne venduti e rivenduti anche 5-6 volte per 30 denari libici (equivalenti a 50 euro) da poliziotti e da mercenari libici violenti, stupratori, analfabeti, pedine di una rete perfettamente organizzata che collabora col Governo italiano per bloccare sul nascere a tutti i costi il flusso migratorio verso l’Italia…
Non so neppure, francamente, quanto sia vero, come ha detto Obama in Ghana, subito dopo L’Aquila, che l’Africa può farcela, purchè sappia prendersi la responsabilità di combattere la corruzione e l’autoritarismo… So soltanto che chi da tempo insanguina e dissangua l’Africa sono le leggi del mercato e della finanza mondiale imposte per conto dei paesi forti dal FMI e della Banca mondiale, oltre alla perfidia di funzionari locali e internazionali senza scrupoli, promotori di traffici innumerevoli di organi, di persone, di armi, di rifiuti tossici, di droga, di pseudo-medicinali…
Non so quanto, dopo le promesse, il Governo italiano destinerà ai paesi poveri quest’anno (finora 321,8 milioni, vista la crisi!)… So soltanto che l’approvazione del bilancio per la fabbricazione di nuovi caccia-bombardieri F35, avvenuta nel maggio 2009, prevede una spesa di ben 15 miliardi di euro…
Non so che cosa abbia spinto Frattini ad affermare che a L’Aquila “c’è stata una svolta sul clima, perché tutti hanno ammesso l’allarme”… So soltanto che tutti gli ambientalisti, scienziati, sociologi, politici, giornalisti, teologi, pastori, persone normali che da decenni denunciano la gravità della situazione, sono stati regolarmente accusati di catastrofismo, di terrorismo ecologico, di falsità e di colpevole ignoranza…
Non so, sinceramente, se, come ha detto lo stesso Frattini, oltre ai 20 miliardi di dollari stanziati per lo sviluppo, sarà istituito un meccanismo di rendicontazione precisa circa la fedeltà dei Paesi donatori alle promesse fatte, per una effettiva erogazione dei fondi… So soltanto che l’Italia è uno dei paesi più inadempienti (Frattini ha promesso: “in tre anni recupereremo il ritardo”), che nessun G8 ha finora mantenuto le promesse, e che il fallimento degli obiettivi del millennio ne è una dimostrazione lampante…
Ancora, non so fino a quando resisterà la formula del G8 ormai palesemente obsoleta (tant’è vero che dal G8 si sta passando rapidamente al G20)… So soltanto che nel 1948 è stato istituito l’ONU come assemblea permanente consultiva e decisiva per il cammino dei popoli. Ora non so effettivamente quanto credito abbia l’ONU presso i signori del G8 o del G20… So soltanto che il G8 non gode di un credito maggiore presso la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, anzi…
Papa Benedetto, giustamente, ha invitato a pregare per il G8 e per quelli che governano il mondo. Non so, onestamente, quanti l’abbiano fatto, né con che spirito… So soltanto che io l’ho fatto, a fatica, perché ero fortemente tentato di seguire Beppe Grillo… Chissà che non sia stata una preghiera doppiamente efficace, o piuttosto doppiamente meritoria! Coi tempi che corrono, bisogna spigolare e raccogliere briciole per continuare a sperare e a lottare…
Comunque se i signori de L’Aquila vorranno veramente cambiare rotta, sappiano che molti lo stanno facendo da tempo: sono forse invisibili ai loro occhi, ma ci sono, un po’ più avanti di loro… e continueranno a farlo, anche senza di loro o contro le loro alleanze.

don Emanuele Benatti

Le parole ammalate

Lo stato di salute della democrazia e l’incapacità di provare vergogna (G.Carofiglio)

Un sintomo del grado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare. Dal senso che riescono a generare. Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante. Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio a un’ideologia dominante attraverso l’occupazione della lingua.
E l’espropriazione di alcune parole chiave del lessico civile. È un fenomeno riscontrabile nei media e soprattutto nella vita politica, sempre più segnata da tensioni linguistiche orwelliane. L’impossessamento, la manipolazione di parole come verità e libertà (e dei relativi concetti) costituisce il caso più visibile, e probabilmente più grave, di questa tendenza.
Gli usi abusivi, o anche solo superficiali e sciatti, svuotano di significato le nostre parole e le rendono inidonee alla loro funzione: dare senso al reale attraverso la ricostruzione del passato, l’interpretazione del presente e soprattutto l’immaginazione del futuro.
Se le nostre parole non funzionano – per cattivo uso o per sabotaggi più o meno deliberati – è compito di una autentica cultura civile ripararle, come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, capendo quello che non va e poi rimontandole con cura. Pronte per essere usate di nuovo. In modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo.
Proviamo allora a esercitarci in questo compito di manutenzione con una parola importante e più di altre soggetta allo svuotamento (e alla distorsione) di significato di cui dicevamo. Proviamo a restituire senso alla parola vergogna. Nell’accezione che qui ci interessa la vergogna corrisponde al sentimento di colpa o di mortificazione che si prova per un atto o un comportamento sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti, riprovevoli.
E’ una parola da ultimo molto utilizzata al negativo: per escludere, sempre e comunque, di avere alcuna ragione di vergogna o per intimare agli avversari – di regola con linguaggio e toni violenti – di vergognarsi. La forma verbale “vergognatevi” è oggi spesso utilizzata nei confronti di giornalisti che fanno il loro lavoro raccogliendo notizie, formulando domande e informando il pubblico.
Sembra dunque che vergognoso sia vergognarsi. La vergogna e la capacità di provarla appaiono qualcosa da allontanare da sé, una sorta di ripugnante patologia dalla quale tenersi il più possibile lontani.
Sulla questione Blaise Pascal la pensava diversamente, attribuendo alla capacità di provare vergogna una funzione importante nell’equilibrio umano. Nei Pensieri leggiamo infatti che “non c’è vergogna se non nel non averne”.
In tale prospettiva è interessante soffermarsi sull’elencazione, che possiamo trovare in qualsiasi dizionario, dei contrari della parola. Troviamo parole come cinismo, impudenza, protervia, sfacciataggine, sfrontatezza, sguaiataggine, spudoratezza, svergognatezza.
Volendo trarre una prima conclusione, si potrebbe dunque dire che il non provare mai vergogna, cioè il non esserne capaci, è patologia caratteriale tipica di soggetti cinici, protervi, sfacciati, spudorati. Al contrario, la capacità di provare vergogna costituisce un fondamentale meccanismo di sicurezza morale, allo stesso modo in cui il dolore fisiologico è un meccanismo che mira a garantire la salute fisica. Il dolore fisiologico è un sintomo che serve a segnalare l’esistenza di una patologia in modo che sia possibile contrastarla con le opportune terapie. La ritardata o mancata percezione del dolore fisiologico è molto pericolosa e implica l’elevato rischio di accorgersi troppo tardi di gravi malattie del corpo.
Così come il dolore, la vergogna è un sintomo, e chi non è capace di provarla – siano singoli o collettività – rischia di scoprire troppo tardi di avere contratto una grave malattia della civilizzazione.
Qualsiasi professionista della salute mentale potrebbe dirci che le esperienze vergognose, quando vengono accettate, accrescono la consapevolezza e la capacità di miglioramento, e in definitiva costituiscono fattori di crescita. Quando invece esse vengono negate o rimosse, provocano lo sviluppo di meccanismi difensivi che isolano progressivamente dall’esterno, inducono a respingere ogni elemento dissonante rispetto alla propria patologica visione del mondo, e così attenuano il principio di realtà fino ad abolirlo del tutto.
Come ha osservato una studiosa di questi temi – Francesca Rigotti – l’azione del vergognarsi è solo intransitiva e non può mai essere applicata a un altro. Io posso umiliare qualcuno ma non posso vergognare nessuno. Sono io che mi vergogno, in conseguenza di una mia azione che avverto come riprovevole. Pertanto la capacità di provare vergogna ha fondamentalmente a che fare con il principio di responsabilità e dunque con la questione cruciale della dignità.
Diversi autori si sono occupati alla vergogna. La parola è presente in alcuni bellissimi passi di Dante e ricorre circa trecentocinquanta volte in Shakespeare. Ma è davvero interessante registrare cosa dice della vergogna Aristotele nell’Etica Nicomachea. “La vergogna non si confà a ogni età, ma alla giovinezza. Noi infatti pensiamo che i giovani devono essere pudichi per il fatto che, vivendo sotto l’influsso della passione, sbagliano, e lodiamo quelli tra i giovani che sono pudichi, ma nessuno loderebbe un vecchio perché è incline al pudore, giacché pensiamo che egli non deve compiere nessuna delle cose per le quali si ha da vergognarsi”.

Leader, giullari e impostori

Di Umberto Galimberti (sabato 18 luglio, Repubblica):

…perché, anche in presenza di comportamenti poco esemplari, il nostro Presidente del Consiglio non perde, se non marginalmente, seguito e consenso. La risposta è molto semplice, perché è un leader carismatico. “Carisma” è una parola che usiamo di frequente, senza mai indagarne l’essenza che, come scrive il neurolinguista americano Robert Dilts, consiste nella “Capacità di creare, attraverso gesti e parole, un mondo al quale le persone desiderino appartenere”. Di solito quel mondo non è reale, gli obiettivi del leader carismatico restano sempre: la sua affermazione, il suo successo, il suo profitto, ma colorati dell’illusione che questi obiettivi possono essere realizzati da tutti coloro che accettano di seguirlo. Lo psicanalista Manfred Kets de Vries autore del libro Leader, giullari e impostori (Raffaello Cortina) così descrive i tratti che connotano la componente carismatica di un leader. A suo dire: quando il sorriso diventa una maschera e l’ottimismo una condotta, quando la comunicazione ha i toni della sicurezza propria di chi non ha paura, di chi non vede ombre, tanto meno dentro di sé, quando la complessità è semplificata fino all’indicazione di una sola via perché altre non se ne danno, quando si è persuasi che ogni branco ha bisogno di un capo e le metafore tratte dal mondo animale diventano abituali, quando lo sguardo è sempre dall’alto, proiettato nel futuro perché il presente è sotto controllo, quando la dipendenza è ciò che soprattutto so esige dagli altri, e quando negli altri si vede solo il proprio riflesso, che è poi il riflesso di una luce senza ombra, allora siamo in presenza di un leader carismatico, il cui tratto peculiare è ben individuato da Gian Piero Quaglino nella sua prefazione al libro di Manfred Kets de Vries. Tutti i leader hanno un sogno, scrive Quaglino , capace di coinvolgere chi lo segue nel suo sogno, “a sognare si è in due: il capo e i suoi gregari, tutti ugualmente coinvolti e partecipi a credere, ad alimentare, ad inseguire il sogno, tutti che si rispecchiano in esso: un sogno a due, un bi-sogno”. Siccome è una costante della natura umana quella per cui metà del mondo si aspetta che qualcuno dica cosa deve fare e l’altra metà non vede l’ora di dirlo, il leader, che appartiene a questa seconda metà, per fare del sogno un bisogno coinvolgente in cui tutti si ritrovano, è costretto a spingere i confini del sogno fino a quel punto in cui i fatti danno l’impressione, non importa se illusoria, di andare incontro ai desideri, mentre la realtà si lascia contaminare dalla sua allucinazione. Un passo ancora e il sogno può spezzarsi, e allora tutti aprono gli occhi e, come annota Quaglino, alla delusione collettiva che sempre accompagna la fine di un sogno, quasi sempre si aggiunge la violenza distruttiva del leader carismatico, che così esprime la vendetta per un sogno tradito. Senza sogni la storia non cammina, ma anche nei sogni occorre una misura se si vuole evitare un risveglio da incubo.

Emiliano (Scipione?)

Non c’è solo l’Emiliano (Scipione) che ci tediava alle elementari, noi zucconi sempre a scambiarlo con Scipione l’Africano. C’ è anche Emiliano sindaco di Bari, che ha rivinto le elezioni. Bravo.

Oggi lo leggiamo su L’Espresso (http://www.partitodemocratico.it/allegatidef/esp_emiliano83841.pdf) dire cose sensate e altre un po’ meno. Più che altro silenzi. PD partito degli amministratori, bene. Legato al territorio, bene (anche se questo è diventato un mantra un po’ frusto). Ma PD obamiano, anticomunista e moderato. Io non so bene cosa voglia dire moderato. Anticomunista neppure. Che si ritiene il comunismo realizzato un disastro? Che Cossutta deve andare a passeggiare ai giardinetti con a fianco come badanti Diliberto e Rizzo? No problem. Lasciare Bertinotti ai suoi cashmere? Yes, we can. Ma poi?

Confesso che mi hanno rotto i cabasisi tutti quei signori che vengono dal PCI e che fanno la morale a me e a tanti altri-che comunisti non siamo mai stati-sulle nefandezze del comunismo. Puzzano di opportunismo, di voltagabbana, di furbetti che al mattino nasano l’aria e poi scelgono il colore della camicia per la giornata. Hanno costruito, spesso miracolosamente visto il loro spessore, carriere e percorsi di successo e ora che fanno? Vengono a spiegarci, col ditino alzato, che bisogna essere anticomunisti, democratici, moderati. Loro. Direbbe il principe De Curtis: “Ma mi faccia il piacere!”. I fratelli Rosselli non hanno aspettato loro per criticare il comunismo realizzato.

Andiamo avanti, in questi giochetti di sponda, rimbalzo e filotto, nella gioconda ipotesi-come dice il nostro Emiliano-di catturare i voti di elettori di destra. A me questo non frega una cippa. Un elettore di destra voti a destra. Si chiama democrazia. Ma non è come me. Non lo voglio, non mi interessa. Se vota “questa” destra cosa posso dirgli? Li conosco, li vedo in faccia i lettori di “Libero”, “Padania” e simili “cacata carta” (per dirla con Catullo). E io dovrei catturare il loro voto presentandomi come loro vorrebbero? Solo un po’ meno orrendo e schifoso. Un poco più “moderato”? Penoso e ridicolo. O facciamo i conti con questa Italia volgare, ignorante e arrogante che si riconosce nel Cavaliere-satiro oppure diamoci al tombolo, all’origami o all’onanismo. Si fa meno fatica e ci si diverte di più (si fa per dire).

Ultima cosa: tutti a dichiararci anti-comunisti perchè fa fine e conviene. Yes, we can. Ma gridare forte che siamo antifascisti, no? Lo so, sarà volgare, poco alla pàge, ma per dirla con Heidegger: Chi se ne frega!

Ahimè, fra le patrie mura…

Eccomi tornato a Fortezza Bastiani, le luci dell’imbrunire, una buona bottiglia di Malvasia, rumori di auto in lontananza. Non ho ancora letto i giornali di oggi, compito riservato alle ore pre-notturne, magari per alimentare-masochisticamente-sogni eo incubi ricorrenti.

Torno su un titoletto che ho colto in un autogrill oggi, zona Lago di Garda, si diceva che Grillo voleva iscriversi al PD ma che era stato respinto. Respinto. Indegno. Non congruo. E qui, mentre le famigliole danesi si lanciavano su tranci di pizza e un SUV bianco, targato MI, occludeva l’ingresso al parcheggio, mi è saltato l’uzzolo di farmi qualche domanda. Nessuna risposta. Respingere Grillo. Bene. Dio sa se mi piacciono i telepredicatori a 500 euro al minuto, però.

Però quale consesso di nobili menti, di elevati filosofi e sapienti ha deciso di escludere il guitto? L’Accademia dei Lincei, i Cavalieri della Tavola rotonda, il Club di Topolino? No. Un partito che tiene, e si coccola, vette dell’umano ingegno e decenza come Nicola La Torre (quello che passò i bigliettini a Bocchino sotto attacco dell’IdV-do you remember?), o la Binetti che fa una conferenza stampa per comunicarci che porta il cilicio (roba che 12 gironi dell’inferno hanno fatto la ola, in attesa del suo arrivo), o Minimo D’Alema che, fosse per lui, andrebbe a cena con Mugabe, Himmler eo Marylyn Manson, perchè “bisogna riaffermare il primato della politica”, o con il solare Francesco Rutelli, convertitosi 7 volte a 7 diversi credo, tanto per stare sul sicuro?

E con questi cavalieri noi (pardon, loro) respingiamo il guitto da 500 euro al minuto? Ha ragione l’amico Gianni quando ci racconta del conflitto di interessi reale fra vertici e base. In fondo Berlusconi, come il demonio (di terza o quarta categoria) fanno il loro (sporco) lavoro, basta non rispondere, non sedersi alla bicamerale con loro, non andarci a cena o a letto. Ma quelli che si spacciano per nostri (pardon, loro) dirigenti? Di questi che ne facciamo?

Intanto, qui a quota 625, Fortezza Bastiani, comune di Carpineti, capisco che la situazione è seria. La campagna stasera odora di stallatico fresco, aria di congresso (PD?) in vista.

Orizzonti lontani

Cielo blu, Parco Nazionale dello Stelvio. Sentieri in salita, verso le cime dove (quest’anno) c’è ancora la neve. Nello zaino la vecchia abitudine del giornale da leggere insieme al panino. Davanti uno spettacolo unico, cielo blu, il bianco dei nevai. L’occhio scorre i titoli e la domanda è immediata: come si può rimanere qui, in una malga, tranquilli e lasciare l’impazzimento lontano? Beppe Grillo vuole candidarsi nel Pd (del resto se c’è la Binetti e Rutelli, perchè lui no, almeno lui fa ridere..), a Reggio sono tornati i socialisti (simpatici eh, ma chi rappresentano? I congiunti, gli amici, gli inquilini del condominio?), il paese sta andando a meretrici (seguendo l’illustre esempio del premier-satiro) e ogni giorno ne salta fuori una.

Qui invece aria fresca, salite da fare dove i casi sono sempre due: o ce la fai o torni indietro. Non amassi tanto la montagna lancerei un piano di rieducazione forzata per politici, parlamentari, satiri e Calderoli (a proposito di castrazione: perchè non suo padre diede l’esempio? Ci risparmiavamo in pirla a piede libero, lui e Castelli). Prenderli e portarli a calci nel deretano su per i sentieri a sudare, sputar sangue e lavorare (manutenzione dei sentieri, etc..). Ma no! Perchè rovinare queste meraviglie che il Padre eterno ci ha dato con simile gentaglia?

E poi io già lo so, metti Minimo D’Alema sulle Dolomiti e perderemmo anche quelle. Quindi la soluzione è banale: io mi godo lo spettacolo e loro continuano a romperci i cabasisi.

Per dirla con il poeta “Non c’è più niente da fare…”. Arvèders!

Il nemico della stampa (U.Eco)

Riporto integralmente il pezzo di Umberto Eco, uscito oggi su L’Espresso:

 
Sarà il pessimismo della tarda età, sarà la lucidità che l’età porta con sé, ma provo una certa esitazione, frammista a scetticismo, a intervenire, su invito della redazione, in difesa della libertà di stampa. Voglio dire: quando qualcuno deve intervenire a difesa della libertà di stampa vuole dire che la società, e con essa gran parte della stampa, è già malata. Nelle democrazie che definiremo ‘robuste’ non c’è bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a nessuno viene in mente di limitarla.

Questa la prima ragione del mio scetticismo, da cui discende un corollario. Il problema italiano non è Silvio Berlusconi. La storia (vorrei dire da Catilina in avanti) è stata ricca di uomini avventurosi, non privi di carisma, con scarso senso dello Stato ma senso altissimo dei propri interessi, che hanno desiderato instaurare un potere personale, scavalcando parlamenti, magistrature e costituzioni, distribuendo favori ai propri cortigiani e (talora) alle proprie cortigiane, identificando il proprio piacere con l’interesse della comunità. È che non sempre questi uomini hanno conquistato il potere a cui aspiravano, perché la società non glielo ha permesso. Quando la società glielo ha permesso, perché prendersela con questi uomini e non con la società che li ha lasciati fare?

Ricorderò sempre una storia che raccontava mia mamma che, ventenne, aveva trovato un bell’impiego come segretaria e dattilografa di un onorevole liberale – e dico liberale. Il giorno dopo la salita di Mussolini al potere quest’uomo aveva detto: “Ma in fondo, con la situazione in cui si trovava l’Italia, forse quest’Uomo troverà il modo di rimettere un po’ d’ordine”. Ecco, a instaurare il fascismo non è stata l’energia di Mussolini (occasione e pretesto) ma l’indulgenza e la rilassatezza di quell’onorevole liberale (rappresentante esemplare di un Paese in crisi).

E quindi è inutile prendersela con Berlusconi che fa, per così dire, il proprio mestiere. È la maggioranza degli italiani che ha accettato il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente – se il presidente della Repubblica non avesse alzato un sopracciglio – la mordacchia messa (per ora sperimentalmente) alla stampa. La stessa nazione accetterebbe senza esitazione, e anzi con una certa maliziosa complicità, che Berlusconi andasse a veline, se ora non intervenisse a turbare la pubblica coscienza una cauta censura della Chiesa – che sarà però ben presto superata perché è da quel dì che gli italiani, e i buoni cristiani in genere, vanno a mignotte anche se il parroco dice che non si dovrebbe.

Allora perché dedicare a questi allarmi un numero de ‘L’espresso’ se sappiamo che esso arriverà a chi di questi rischi della democrazia è già convinto, ma non sarà letto da chi è disposto ad accettarli purché non gli manchi la sua quota di Grande Fratello – e di molte vicende politico-sessuali sa in fondo pochissimo, perché una informazione in gran parte sotto controllo non gliene parla neppure?

Già, perché farlo? Il perché è molto semplice. Nel 1931 il fascismo aveva imposto ai professori universitari, che erano allora 1.200, un giuramento di fedeltà al regime. Solo 12 (1 per cento) rifiutarono e persero il posto. Alcuni dicono 14, ma questo ci conferma quanto il fenomeno sia all’epoca passato inosservato lasciando memorie vaghe. Tanti altri, che poi sarebbero stati personaggi eminenti dell’antifascismo postbellico, consigliati persino da Palmiro Togliatti o da Benedetto Croce, giurarono, per poter continuare a diffondere il loro insegnamento. Forse i 1.188 che sono rimasti avevano ragione loro, per ragioni diverse e tutte onorevoli. Però quei 12 che hanno detto di no hanno salvato l’onore dell’Università e in definitiva l’onore del Paese.

Ecco perché bisogna talora dire di no anche se, pessimisticamente, si sa che non servirà a niente.

Almeno che un giorno si possa dire che lo si è detto

Briciole quotidane (dal “Corriere”)

Giovani e precari in cerca di lavoro? La scelta dell’Università è un problema? Pochi sbocchi occupazionali? No problem: oggi alla Multisala Adriano, nell’ambito del RomaFictionFest, provini per trovare nuovi protagonisti per “I Cesaroni”! E per le candidate sfortunate (ma dotate) c’è un altro appuntamento: per la serie “Le Messaline”, presentarsi Palazzo Grazioli (ore nanna).

http://roma.corriere.it/roma/notizie/serate_romane/09_luglio_7/fiction_fest_cesaroni-1601544940375.shtml

Il ministro (protempore) “Gridolo” Brunetta ci sconvolge. Non con statistiche sul calo del 150% dei lavativi ma con sue tranches de vie. “Le donne, da quando sono ministro, mi corteggiano molto”. Capperi! E noi che pensavamo che le donne (pardon, certe donne) fossero attirate dalla indigenza e da umili incarichi! Ma possiamo star tranquilli. “Gridolo” ci informa che anche a letto…. Che sia il potere a infondere vigore ed esperienza? Auguri! Ricordiamo però al caro “Gridolo” quel che diceva il poeta, riguardo un certo giudice di bassa statura che il gentil sesso avvicinava per “scoprire se è vero quel che si dice intorno ai nani, che siano forniti….” (F.De Andrè, Un giudice). In questo caso, comunque, leviamo alto il nostro “chissenefrega..”

http://www.corriere.it/politica/09_luglio_07/brunetta_tv_giovanna_cavalli_42d88418-6b34-11de-a24c-00144f02aabc.shtml

Se Atene piange…Anche in Polonia mica scherzano con le boiate a piede libero! Il 15 agosto (festa dell’Ascensione) Madonna terrà il primo concerto nel bel paese. Apriti cielo! Walesa, già eroe di Solidarnosc e Premio Nobel, lo definisce “satanico”, il partito dei simpatici gemelli Kaczynski (un incrocio fra Gobbels e Bombolo) è già mobilitato per impedire “Questo concer­to — ha dichiarato padre Sta­nislaw Malkowski, uno dei leader della protesta — è un attacco del diavolo alla no­stra intatta nazione cattolica e alla tradizione dei polac­chi ». Domanda: non c’è posto in Polonia per Calderolsky, Salvinznskzy e Borghezycs? Tanto pirla più, pirla meno….

http://www.corriere.it/spettacoli/09_luglio_08/walesa_contro_madonna_027eaa68-6b8f-11de-af15-00144f02aabc.shtml