Dialogo significativo (I)

Riporto, perchè stimolante, il dialogo, apparso oggi sulle pagine del Corriere fra uno studente leghista e Galli della Loggia

SCAMBIO DI LETTERE SUL PAESE TRA PASSATO E PRESENTE
Io, studente leghista
Perché mi vergogno dell’Unità d’Italia

Caro professor Galli della Loggia,
sono uno studente universitario di 24 anni con una certa pas­sione per la storia. Sono un leghista, abbastanza convinto. E lo confesso: se faccio un bilancio, certamente sommario, dall’Unità nazionale ad oggi, le cose per cui vergognarmi mi sembrano maggiori rispetto a quelle di cui essere fiero.

Penso al Risorgimento, alla massoneria e al disegno di conquista dei Savoia, rifletto sul fatto che nel Mezzogiorno furono inviate truppe per decenni per sedare le rivolte e credo che queste cose abbiano più il sapore della conquista che della liberazione. E penso, ancora, al referendum falsato per l’annessione del Veneto e al trasformismo delle elite politiche post-risorgimentali. E poi il fascismo, con la sua artificiosa ricostruzione di una romanità perduta e imposta a un popolo eterogeneo e diviso per 1500 anni che della «romanità classica » conservava ben poco: la costruzione di una «religione politica» forzata al po sto di una «religione civile» come invece avvenne in Francia con la Rivoluzione, che fu davvero l’evento fondante di un popolo. In Italia l’unica cosa «fondante» potrebbe essere stata la Resistenza: ma anche lì, a guardare bene, c’era una Linea gotica a dividere chi la guerra civile l’aveva in casa da chi era già in qualche maniera libero.

E poi la Prima Repubblica, che si salva in dignità solo per pochi decenni, i primi, e poi sprofonda nei buio degli anni di piombo con terrorismo di sinistra e stragi di destra (o di Stato?), nel clientelismo politico più sfrenato, nelle ruberie, nelle grandi abbuffate che ci hanno regalato uno dei debiti pubblici più grandi del mondo.

Quanto alla Seconda Repubblica, l’ab biamo sotto agli occhi: la tendenza dei partiti a trasformarsi in «pigliatutto» multiformi e dai programmi elettorali quasi identici, con le uniche eccezioni di Di Pietro e della Lega. Il primo però è destinato a sparire con Berlusconi, che è la ragione del suo successo: quando svanirà la causa, svanirà anche l’effetto. Anche la Lega dopo Bossi potrebbe sparire, ma almeno a sorreggerla ci sono un disegno, un’idea, per quanto contestabili.

Guardo allo Stato poi e alla mia vita di tutti i giorni e mi viene la depressione. Penso a mia mamma che lavora da quando aveva 14 anni ed è riuscita da sola a crearsi un’attività commerciale rispettabi le e la vedo impazzire per arrivare a fine mese perché i governi se ne fregano della piccola-media impresa e preferiscono continuare a buttar via soldi nella grande industria. E poi magari arriva anche qual che genio dell’ultima ora a dire che i commercianti son tutti evasori. Vedo i miei dissanguarsi per pagare tutto correttamente e poi mi ritrovo infrastrutture e servizi pubblici pietosi. Vedo che viene negata la pensione di invalidità a mia zia di 70 anni che ha avuto 25 operazioni e non cammina quasi più solo perché ha una casetta intestata. E poi leggo che nel Mezzogiorno le pensioni di invalidità so no il 50% in più che al Nord. Come faccio a sentire vicino, ad amare, a far mio uno Stato che mi tratta come una mucca da mungere e in cambio mi dice di tacere?

Non ho paura degli immigrati, né sono ostile a chi ha la pelle differente dalla mia. Mi preoccupo però di certe culture. Per esempio mi spaventano i disegni di organizzazioni come i Fratelli musulmani, ostili verso l’Occidente, e mi fan paura le loro emanazioni europee. Non vo glio barricarmi nel mio «piccolo mondo antico», ma ho realismo a sufficienza per pensare di non poter accogliere il mondo intero in Europa. La gente che entra va integrata, ma io credo che la possibilità di integrazione sia inversamente proporzionale al numero delle persone che entrano. Eppure, se dico queste cose, mi danno del «razzista». Non mi creano problemi le altre etnie, mi crea problemi e fastidio invece chi le deve a tutti i costi mitizzare, mi irrita oltremodo un multiculturalismo forzato e falsato. Mi spaven tano l’esterofilia e la xenomania, secondo le quali tutto ciò che viene da fuori deve essere considerato acriticamente come positivo, «senza se e senza ma». In pratica ho paura che l’Italia di domani di italia non avrà più nulla e che il timore quasi ossessivo di non offendere nessuno e di considerare ogni cultura sullo stesso piano, cancelli quel poco di memoria storica che ancora abbiamo. Mi crea profondo terrore la prospettiva che la nostra civiltà possa essere spazzata via come accadde ai Romani: mi sembra quasi di essere alle porte di un nuovo Medioevo con tutte le incognite che questo può celare. E ho paura, paura vera. Sono razzista davvero oppure ho qualche ragione?

Matteo Lazzaro
19 agosto 2009
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Sospetti…

Come ben sa chi mi conosce di persona, sono cattivo d’animo avendo avuto un’infanzia difficile. Quindi tendo al sospetto malevolo per non cadere nella ingenua delusione di speranze infondate. C’ è una forza politica, la lega (vero testimone del degrado che la politica ha avuto in Italia) che, più o meno apertamente, ormai rivendica una secessione nei fatti. Solo uno stato sovrano ha diritto infatti ad un inno, bandiera, lingua etc…Non entro nel merito della bufala, ma come Hobsbawm ci ha insegnato, la invenzione della tradizione può avere successo indipendentemente dalla fondatezza degli elementi costitutivi il mito stesso.

Bene. Di fronte a questa situazione, oggettivamente seria, anche se mascherata da toni grotteschi grazie a ministroni (ministri buffoni) come calderoli, bossi e marroni, il PD che fa? Coglie al volo l’occasione culturale e storica della scadenza dei 150° dell’Unità d’Italia? Si fa paladino di una mobilitazione in difesa della povera Patria. Naaahh, lancia il suo grido di battaglia, alto e forte: “ci vedremo a settembre!”, lasciando il povero eroico Ciampi come vedetta lombarda a gridare nel deserto estivo.

E qui scatta il retropensiero cattivo. Premetto che, in linea di massima, fra un cretino e un mascalzone preferisco il secondo, anche perchè ogni tanto anche i peggiori vanno in ferie, i cretini mai. E allora il silenzio è sospetto. O per stupidità o per mascalzonaggine. Temo che il caso ricada nella prima tipologia. C’è qualche cretino che, magari, pensa, di far accordi con la lega contro il pdl? Questo spiegherebbe l’appeasement verso la deriva verde che ci minaccia. Del resto quella bella testa (si fa per dire) di minimodalema se ne uscì con la definizione della lega come”costola della sinistra”, facendoci chiedere perchè lo stesso minimo non salisse sul suo yacht e salpasse l’ancora verso le Bermude (e relativo benefico triangolo) al canto bocelliano di “Con te partiroooò…”.

Staremo a vedere, anche se i silenzi incrociati di pigi e dario su questo e altri temi centrali  (conflitto d’interessi, etica degli eletti, legge elettorale) non è che ci lascino proprio tranquilli. Incomincio a credere anch’io, come l’amico Giannifotografo, che il vero problema della sinistra sia la sua classe dirigente. Ma, come detto, sono cattivo d’animo…..

Cervelli in fuga

Difficile per ferragosto affrontare argomenti seri: ero incerto fra le opere giovanili di Heidegger, le geometrie non euclidee e qualche accenno alla fenomenologia di Husserl, poi mi è caduto l’occhio su due cosette e mi è scattato il R.B.S. (rigurgito di buon senso).

La prima: avremo una legge che rende obbligatorio lo studio del dialetto, seguirà una norma che ci costringerà a mangiare gnocchi il giovedì o a copulare solo il sabato sera (con apposito Lodo Carfagna che esenta le cariche istituzionali e liberalizza il rapporto sessuale-solo per loro-24 ore al giorno, 7 giorni la settimana).

Studiare il dialetto già mi sembra estroso in un paese dove l’inglese è così poco diffuso, basta ascoltare i nostri studenti all’estero farfugliare “Ai uont a gièlat of ciocoleit”, ma poi quale dialetto, di cosa stiamo parlando? Uno di Busana non capisce uno di Luzzara, solo a Reggio si possono individuare almeno 3/4 ceppi di dialetto. E poi avrete mai provato a scrivere in dialetto? Io l’ho fatto e vi garantisco di aver avuto bisogno di dotte consulenze su come usare vari accenti, dieresi et similia. Lo stesso “lumbard” come la Padania è una invenzione ridicola e penosa, provate a far parlare in dialetto uno di Bergamo con uno di Mantova e vedrete che dialogo ioneschiano ne salta fuori.

Balle, le solite balle, cervelli in fuga, prese per i fondelli. La lega mostra i muscoli per far dimenticare quello che succede, per far vedere di essere dura e pura, distruggendo, prima che il senso del ridicolo, il senso di appartenenza a una nazione. Perchè si può distruggere non solo prospettando secessioni o spaccature ridicole, ma anche facendo vergognare i cittadini di appartenere ad uno Stato che lascia ancora in libertà figuri simili, anzichè internarli al primo Diagnosi e cura disponibile.

Ma anche su queste ultime sparate sarebbe sbagliato riderci su, dobbiamo rialzare la nostra sensibilità. La lega individua i problemi ma da risposte sbagliate, violente e stupide. Noi abbiamo soluzioni serie ai problemi? L’opposizione ne ha o sta discutendo sulle “soggettività” bertinottiane? Su questo avrei qualche dubbio.

La seconda “cosetta”:  Il 20 apre Festa Reggio, ho scorso il programma (anch’io ci sarò alcune volte a presentare libri o video), alla fine mi è caduto l’occhio sul tema della festa. In questa Italia devastata, senza lavoro, in crisi etica e morale, sbeffeggiata in tutto il mondo, mi aspettavo un tema bello tosto, massiccio, un’idea, un progetto.

Il tema della festa è: “La felicità”. Sì, avete capito bene, la felicità! Perchè non l’amore? L’estasi? L’infinito? L’ipoteposi? L’ultra e l’intra? L’ex e il post? No. La felicità!

E’ meglio essere felici che infelici. Capperi! Tutti abbiamo diritto alla nostra felicità…ed altre banalità che i pensierini dei Baci Perugina sembrano massime di Pascal. E io che volevo parlare di Heidegger! A Reggio nel PD si annidano menti capaci di partorire idee così sublimi: nell’Italia del 2009, in questa melma, di cosa parliamo? Della felicità! “La felicità, con un panino, un bicchiere di vino, la felicità! Felicità è un cuscino di piume, l’acqua del fiume che passa e che va…”. Da Gramsci ad Albano Carrisi il passo è stato lungo, ma ce l’abbiamo fatta! Era facile, bastava mandare il cervello in vacanza e sparare la prima pirlata che ti passava per la mente.  Era facile, bastava pensarci…(si fa per dire)

Dialetto a scuola? (G.Caliceti)

La solita politica scolastica eversiva-diversiva del governo. Lo scorso anno il ritornello dell’estate inventato dalla Gelmini era: ritorno al grembiulino a scuola, sì o no? Si è andati avanti su tutti i giornali per settimane fino all’inizio dell’anno scolastico, con questo giochetto. Sembrava questione di vita e di morte.

Quest’anno è stata la Lega a trovare il motivetto che piace tanto ai giornali e all’opinione pubblica: il dialetto. In tutte le sue versioni: dialetto a scuola? Test di dialetto per i docenti del sud? Motivetto che Gelmini non si è fatta scappare e ha subito rilanciato in numerose variazioni. Il fine di questa politica-scolastica è sempre lo stesso: distrarre l’opinione pubblica per perpetrare i tagli economici e dei docenti già iniziati lo scorso anno.

La funzione della Lega è quella del palo: distogliere l’attenzione, mentre si compie il «furto» della scuola pubblica. Insegnare il dialetto o fare un test ai docenti arruolati a seconda delle regioni italiane in cui entrano di ruolo è una cosa assurda: se non altro perché in Italia esistono migliaia di dialetti e ognuno ha una sua variazione; di più, spesso ci sono differenze di pronuncia e di cadenza. Però è vero che attraverso la questione del dialetto ci si avvicina al disegno finale: lo smantellamento totale della scuola pubblica italiana. Dalla sua autonomia si passerà alla sua regionalizzazione sempre più feroce: una volta smantellata e indebolito mortalmente il suo centro, la scuola pubblica italiana sarà affidata alla buona e cattiva sorte dei suoi amministratori locali. Diventerà sempre più luogo di mercificazione del sapere e di scambio di favori e potere, un po’ come è già avvenuto con la regionalizzazione del sistema sanitario nazionale.

Si tende sempre a prendere con sufficienza e come boutade le idee della Lega, o come goliardiche provocazioni che prima o poi rientreranno. In realtà sono la vera matrice ideologica di questo governo, la più sincera. L’ideologia è semplice: il razzismo, la guerra dei più deboli contro i più deboli per creare movimentismo, per fare propaganda, per riscaldare gli animi. Mi stupisco che in Italia non ci sia ancora un partito o un movimento politico che dichiari esplicitamente il ripristino della pena di morte. Tutti sappiamo che, da sempre, in quasi tutti i paesi del mondo – democratici o no, occidentali o no – se si facesse un referendum sulla pena di morte vincerebbero i favorevoli.

Anche nel nostro paese sarebbe così. Ma da quando l’Italia è Repubblica, per una sorta di patto – se non antifascista, comunque civile – nessuno ha mai tirato fuori un partito o un movimento del genere, che tra l’altro sarebbe fortemente osteggiato dalla Chiesa. Stessa cosa, per anni, è accaduto sul tema del razzismo: nessun partito o movimento poteva cavalcare i bassi istinti per creare consenso. Ma adesso questo argine, questo confine, non c’è più, siamo nell’era dell’indecenza. Chi, tra i docenti, pensava che la Lega e il governo di centrodestra si accontentassero di qualche poeta dialettale inserito nelle antologie e nei libri di lettura di scuola per alunni e studenti, si deve ricredere. E il razzismo non guarda in faccia a nessuno. Ieri si scagliava contro gli extracomunitari, oggi contro i docenti e i presidi meridionali. E domani?

Parole, inni e bandiere

Torniamo un attimo sull’ultima bufala dei legonzi (inni e bandiere regionali). Abbiamo riso perchè la prima reazione è quella, inevitabile, che si ha di fronte allo scemo del paese che dice le sue corbellerie. Si ride. Poi, però, ci si pensa, magari si prova pena per il poveretto così svantaggiato dalla natura e forse ci si vergogna un po’ della risata appena risuonata.

Lo stesso con i legonzi, sparano le loro corbellerie, li compiangiamo, facciamo battute sull’arioso vuoto nella loro scatola cranica. Però. Come altre volte in questi anni, hanno ottenuto il risultato che volevano e noi non siamo stati in grado di far nulla. Hanno spostato un poco più avanti il confine della decenza, hanno pronunciato l’indicibile, hanno pervertito il dizionario condiviso. Hanno piantato la loro bandierina verde un poco più avanti verso la dissoluzione della nostra Nazione, delle nostre comunità. Cos’è in fondo questo se non una sorta di terrorismo linguistico?

Le ronde: togliere allo Stato il monopolio della violenza, uno dei pilastri dello Stato di diritto. Farsi giustizia da sè. La tribù si organizza e colpisce lo straniero. Fatto.

Il dialetto: rompere il collante naturale della lingua nazionale per riportarci all’epoca preunitaria. Poco importa se non si sa neppure cosa siano i dialetti e il loro rapporto con la lingua nazionale. Insegnare il dialetto locale. No all’italiano, no all’Italia. Fatto.

La fallocrazia: certo ora l’Europa ride/piange sull’Italia governata da un vecchio satiro, ma l’esaltazione del “celodurismo”, del braccio alzato a mimare padane erezioni, dove l’abbiamo vista? Il leader verde (fra l’altro-si dice- rimasto offeso proprio nel corso di una dimostrazione delle suddette doti con italica soubrette) fu il precursore: in fondo il vecchio satiro è stato solo il ripetuto “utilizzatore finale” dell’oggetto così vantato. Donne come oggetti usa e getta. Fatto (anzi fallo).

Il razzismo: dai bar della valtrompio agli autobus e metro milanesi, le sparate di Borghezio e i cori di Salvini. Dalli al nero, al marocchino, all'”altro”. Basta leggere le cronache della nostra “informazione”(si fa per dire) e sentire le bordate dei nostri legonzi contro rom/sinti e immigrati. Fatto.

La violenza: abbiamo riso quando quattro pirla serenissimi arrivarono con un trattore truccato da tank in piazza S.Marco. Io ho avuto i brividi. I simboli sono più forti dei fatti, spesso, anche se non ce ne accorgiamo. E i proiettili vantati sempre dal leader padano? Non bastano le parole? Abbiamo le armi. Fatto.

E ora gli inni e le bandiere. Bufala, boiata, demenzialità. Certo. Però. Chi ha un inno e una propria bandiera? Uno stato indipendente. Anche la Transnistria ce l’ha. Uno stato indipendente. Secessione. Fatto.

E noi ridiamo, abbozziamo, facciamo battute sul cervello (presunto) di calderoli. Intanto, senza accorgersene, ci troviamo ogni giorno ad inseguire una nuova realtà su terreni ignoti, inseguire gli altri. In difesa. Discutiamo sulle bandiere mentre il paese si sta decomponendo, senza riuscire a trovare un punto comune da cui ripartire. Viviamo un momento drammatico in cui ogni parte del paese sembra riscoprire il proprio peggio: il nord l’egoismo becero e ignorante degli arricchiti, il sud l’assistenzialismo piagnone e corrotto del vecchio familismo amorale.

Magari si riuscisse a proporre qualcosa, noi, l’opposizione, quelli che sono convinti che ci sia spazio per raggiungere l’Europa, che non sia tutto perduto.

Comunque nel chiuso delle sue mura Fortezza Bastiani sta già allestendo il proprio inno (indeciso fra Einaudi, Wagner e Paolo Conte) e la propria bandiera (un drappo verde: tranquilli, il verde non è nè padano nè islamico, è semplicemente…economico, del resto cosa posso chiedere? Mica sono un dirigente comunale…)

E la bandiera dei tre colori….

Qui a Fortezza Bastiani la sera è fresca, la luna è piena. In lontananza le note di una qualche festa estiva, un valzer forse o una mazurca. Musiche di altri tempi quando per divertirsi bastava poco. Adesso invece siamo complicati, in bilico fra la farsa e la tragedia. In questo la lega (che, come dice mio figlio, non merita neppure la maiuscola) tiene alto il livello comico. Pagliacci a piede libero i leghisti, squallide maschere del disfacimento morale e politico di un paese che non è mai stato un esempio di rigore.

L’ultima è contro il Tricolore. Ora, per quanti mi conoscono sanno bene la mia scarsa simpatia verso le operazioni trasformistiche condotte proprio a Reggio da bolsi ex comunisti, pronti a riciclarsi come strenui difensori del vessillo nazionale. Buffoni e opportunisti. Però. Però non posso scordare Giorgio Morelli, il “Solitario” che entra a Reggio il 24 aprile su una vecchia bicicletta e porta il Tricolore in Comune. Non posso dimenticare la commozione dei tanti emigranti (avi incolpevoli della massa di cefalopenici leghisti) in tante parti del mondo di fronte alla loro bandiera.

Adesso questi tragici buffoni se ne escono con la necessità di modificare l’articolo 12 della Costituzione per dare spazio ai “vessilli regionali”. Crisi economica devastante, cassa integrati, un premier-satiro ormai scaricato anche dai congiunti, zone intere del paese in mano alla criminalità organizzata e questi legonzi cosa vanno a pensare? Alle bandiere regionali?

Superata la spiacevole senzazione di essere presi per i classici fondelli, con l’ennesima trovata per gonzi della Valtrompio, raccolgo la sfida e propongo alcuni dei nuovi vessilli che garriranno sulle torri delle capitali regionali.

Lombardia: una casseula fosforescente verde su fondo grigio topo color aria di Milano.

Piemonte: Il profilo del seno plastico di Simona Ventura su fondo color gianduiotto.

Veneto: fondo color polenta, con osei azzurri in volo.

Liguria: verde pesto

Emilia: a strisce orizzontali bianche verdi rosse arancio (besciamella, pasta, ragù e formaggio gratinato).

Toscana: una fiorentina fumante su un fondo rosso Chianti.

Lazio: nera con un bel fascio che sorge dal Colosseo

Campania: un Kalashnikov adagiato su una pizza alla Napoli

Sicilia: una coppola e il motto “Il sordo, il cieco, il muto campano cent’anni in pace”

Sardegna: una villa con 64 tette al vento.

Finalmente! Così procede la putrefazione del belpaese, fra legonzi in preda a fumi alcoolici, un premier in perenne (o attesa) erezione e code di gitanti sulle autostrada. Che meraviglia!

Per fortuna qui a Fortezza Bastiani la sera è fresca, la luna è piena e c’è una musica nell’aria, che sia l’inno comunale di Casina? O forse quello di Carpineti? Approfondirò…


Finalmente il trionfo della Valbrembana!

Come dicevano quelli colti: “Oportet ut scandala eveniant” (é opportuno che gli scandali vengano alla luce), e quindi saluto con favore la proposta della lega (che, come dice mio figlio, non merita nemmeno la maiuscola) di introdurre test per gl insegnanti, in modo da valutare il loro legame con il territorio, la loro conoscenza di storia, usi, tradizioni e lingua.

Quindi, com’è giusto e logico, se sei in val Brembana devi sapere il dialetto valbrembanese. Se sei a Casina il casinese, a Leguigno il leguignese. Finalmente. Agli insegnanti nella nostra provincia sarà chiesto di saper fare i tortelli e l’erbazzone. Italiano e matematica seguiranno. In tempi in cui le frontiere cadono, giriamo il mondo con un click del mouse, volete mettere? Si torna al cortile di casa, all’odore di zuppa di cavolo, al totem della tribù, alle care cose di pessimo gusto del buon Gozzano (che vi informo, udite udite, è ancora insegnato nel 2009 nei nostri licei cittadini da specchiati insegnanti reggiani!).

E’ giusto mettere un test. Io lo metterei anche agli onorevoli (si fa per dire) della medesima lega, che forse di un ripassino hanno bisogno, pòver fioi (http://www.youtube.com/watch?v=zrKKT-Y531I), ma valutiamo il fatto positivo, il contributo alla chiarezza: leghisti sono e leghisti restano. E poi: fanno quasi tenerezza, terrorizzati e terrorizzanti, spaventati, convinti di chiudere il mondo dentro a un monolocale di Gavirate, spaventati e convinti di tornare al bel tempo antico (si fa per dire). Peccato che in quel bel tempo antico i loro paparini e nonni fossero emigranti, sporchi, puzzolenti e analfabeti, pronti a prendere legnate ad Aigues Mortes. Ma si sa, tutto si scorda. Però attenti! Perchè la regione con il più alto tasso di abbandono scolastico non è la Calabria ma il Veneto. E come diceva Prodi: non è concesso a più di una generazione essere ricchi ed ignoranti. Perchè poi tutto si paga e quindi fossi nei signori (si fa per dire) della lega io mi divertirei ora, finchè c’è la ricreazione, perchè il futuro è incerto.

Però. Però la lega c’è e dà risposte sbagliate a problemi che esistono. Insegnanti delle elementari reggiane che se ne escono con un “uscite i quaderni” o “scendilo il bambino” ci sono e resteranno lì. Del sud o no. C’è chi continuerà a insegnare Corazzini e non Montale, a pensare che sia esistito Napoleone II o a non sapere proprio chi fosse quel tal Lutero, come due maestre agenti nelle nostre scuole reggiane. La qualità non è nemmeno un optional, è uno strano animale sconosciuto ai più e di nessun valore nelle nostre scuole. Insegnanti che di libri leggono solo quelli di testo, che non vanno al cinema, a teatro. Che entrano in classe al mattino come fossero in fabbrica o al bar. E su questo dov’è stato il tanto vantato “riformismo” della sinistra in questi anni? Proposte vere? Nebbia in Val Padana. E poi ti arriva la Gelmini e sulla scuola tramonta il sole. Ma guarda un po’.

Comunque, anche se fuori età, nel mio curricolum inserirò la mia conoscenza del dialetto reggiano e migliarese. So come si fanno i casàgai e il gnocco fritto, so chi era Matilde e Iller Pataccini. Ho visto almeno 3 partite della Reggiana nel 1970. Gelmini, arrivo!

Quale spazzatura, quale disgusto, quale miseria

Da “Avvenire” di oggi:
Niente «silenzi di convenienza», parole appropriate
Caro Direttore,
è da un po’ di giorni che sento tanta amarezza nel mio animo, amarezza che a volte sfocia in rabbia. Sono un sacerdote e vostro abbonato da tanti anni, ma da sempre compero quotidianamente il giornale Avvenire. Vi ringrazio di tutto quello che fate perché si combatta e non ci si adatti alla cultura corrente, di massa, di profondo egoismo e di banalità sconcertante che si estende e domina cuori e menti di tanti giovani. Vi ringrazio delle vostre battaglie su tantissimi temi. Ma sono deluso dal vostro atteggiamento circa quello che da settimane riempie alcuni giornali: la vita privata del presidente del Consiglio. Quale spazzatura, quale disgusto, quale miseria. Aveva ragione la moglie dicendo «Aiutatelo, è ammalato». E lui ora non nega lo squallore, ma lo indica come performance, come capacità, come virtù… Afferma: «Non sono un santo e gli italiani mi vogliono così». Ma quale falsità! Tanta è la mia sofferenza per il vostro atteggiamento di silenzio, di attesa di verifiche certe,, di… come il Tg! Ma perché non una parola chiara su quello squallore? Perché anche i Vescovi non sono così chiari e precisi come su tanti altri temi di morale? Perché, senza condannare il peccatore, non si dice quasi nulla di questo peccato d’immoralità? E lui se ne fa un vanto! Quanta sofferenza, quanta amarezza nel vedervi così quasi servili, così poco decisi e precisi a condannare una moralità così squallida che purtroppo inficia menti e cuori di tante persone, di tanti giovani. Dov’è la parola chiara, precisa, puntuale che condanna? E questo atteggiamento di prudenza (che io definisco di convenienza), non c’è solo su atteggiamenti di morale sessuale ma anche del dovere di accoglienza delle persone che fuggono dall’inferno e chiedono aiuto. Dov’è la tolleranza cristiana? Né sul suo giornale né nelle parole di tanti Vescovi c’è stata una condanna precisa, chiara, evangelica. Solo il mio vescovo , il cardinale Dionigi Tettamanzi e i Vescovi lombardi sono stati precisi sul dovere dell’accogliere. E li ringrazio di cuore. Ma non certamente la Cei né il quotidiano Avvenire. C’è tanta amarezza in me. Grazie dell’ospitalità per questo sfogo e grazie se risponderà e pubblicherà.

don Angelo Gornati, Limbiate

Risponde il Direttore:
Caro don Angelo, la sua lettera è giunta sul mio tavolo lo stesso giorno in cui un grande quotidiano nazionale titolava in prima pagina: «Berlusconi, spuntano altre ragazze / e il giornale dei vescovi lo attacca». E anche ieri lo stesso giornale è tornato ad argomentare con solerzia ancora in prima pagina e sempre a partire da ciò che su Avvenire era stato pubblicato. Lei mi dice che è sgomento per il nostro silenzio, mentre altri, prendendo al volo le nostre parole, ci fanno addirittura gridare. A chi devo credere? Per come sono fatto, credo a lei, e cerco di capire che cosa mi vuol dire. Non mi costa farlo, e non mi costa immaginare che cosa passa per la mente dei nostri preti in una stagione in cui la scena pubblica offre spettacoli niente affatto confortanti. Sono loro in trincea e più di tutti sanno quanto costa rappresentare alla gente le esigenze della vita cristiana. Eppure, proprio perché mi immedesimo nella sua delusione, don Angelo, non posso rinunciare a dirle come vedo le cose. E cioè che Avvenire non è stato zitto. Ha parlato sul tema a più riprese: con un fondo di Rossana Sisti, con un secondo fondo di Gianfranco Marcelli, con un terzo intervento di Piero Chinellato, infine con una mia risposta collettiva ad alcune lettere, che è il testo da cui ha attinto Repubblica per fare il titolo di cui dicevo. Vede, per i media nazionali la posizione di Avvenire è inequivocabile, glielo posso assicurare. E lo stesso mi sento di dire per i nostri Vescovi: sia il presidente cardinal Bagnasco sia il segretario generale monsignor Crociata hanno colto le occasioni pastorali che si sono presentate per prendere posizione in modo netto sul piano dei contenuti come della prassi. Chiunque è stato raggiunto dai loro interventi ha capito quello che si doveva capire: alla comunità cristiana tocca tenere alto il contenuto della fede, e non cedere a compromessi. Avvenire ha dato puntualmente conto di entrambe le loro prese di posizione. Per questo, pur con tutto il garbo possibile, non me la sento di accogliere la sua accusa di «convenienza». Non solo mi sembra ingenerosa, ma anche ingiusta. Provi a immaginare che cosa avrebbe fatto lei se nel Comune in cui opera si fosse presentata una situazione moralmente critica come quella nazionale. Avrebbe parlato chiaro, da prete, o avrebbe organizzato la dissidenza? Immagino che avrebbe fatto fino in fondo il prete. Che è, se ci pensa bene, esattamente la linea seguita dai Vescovi. Quanto agli immigrati, lei loda il pronunciamento dell’episcopato lombardo e ringrazia il suo arcivescovo, il cardinale Tettamanzi. E fa bene. Se, poi, avesse tenuto presente quanto il presidente della Cei aveva articolatamente detto a proposito della politica migratoria in occasione dell’assemblea generale dei Vescovi, non avrebbe colto divaricazioni. La cultura è naturalmente la stessa e anche l’approccio pastorale alla questione è il medesimo. Avvenire è stato zitto anche su questa tematica? Davvero difficile da sostenere e da dimostrare. Forse non s’è pronunciato in termini ‘da scomunica’ verso quanti operano in direzione opposta all’accoglienza. Ma lei crede che le parole grosse aiutino a convincere chi condivide e asseconda certe battaglie della Lega? Si sbaglia, don Angelo. Noi, rispetto ai problemi che pone l’immigrazione, dobbiamo parlare e muoverci in maniera da non perdere per strada la nostra gente, e non regalarla a posizioni culturali di chiusura. Dobbiamo invece con lucidità e lungimiranza continuare a tessere quello spirito comunitario che, per natura sua, è anche e necessariamente inclusivo. La saluto.

Briciole quotidane (dal “Corriere”)

Giovani e precari in cerca di lavoro? La scelta dell’Università è un problema? Pochi sbocchi occupazionali? No problem: oggi alla Multisala Adriano, nell’ambito del RomaFictionFest, provini per trovare nuovi protagonisti per “I Cesaroni”! E per le candidate sfortunate (ma dotate) c’è un altro appuntamento: per la serie “Le Messaline”, presentarsi Palazzo Grazioli (ore nanna).

http://roma.corriere.it/roma/notizie/serate_romane/09_luglio_7/fiction_fest_cesaroni-1601544940375.shtml

Il ministro (protempore) “Gridolo” Brunetta ci sconvolge. Non con statistiche sul calo del 150% dei lavativi ma con sue tranches de vie. “Le donne, da quando sono ministro, mi corteggiano molto”. Capperi! E noi che pensavamo che le donne (pardon, certe donne) fossero attirate dalla indigenza e da umili incarichi! Ma possiamo star tranquilli. “Gridolo” ci informa che anche a letto…. Che sia il potere a infondere vigore ed esperienza? Auguri! Ricordiamo però al caro “Gridolo” quel che diceva il poeta, riguardo un certo giudice di bassa statura che il gentil sesso avvicinava per “scoprire se è vero quel che si dice intorno ai nani, che siano forniti….” (F.De Andrè, Un giudice). In questo caso, comunque, leviamo alto il nostro “chissenefrega..”

http://www.corriere.it/politica/09_luglio_07/brunetta_tv_giovanna_cavalli_42d88418-6b34-11de-a24c-00144f02aabc.shtml

Se Atene piange…Anche in Polonia mica scherzano con le boiate a piede libero! Il 15 agosto (festa dell’Ascensione) Madonna terrà il primo concerto nel bel paese. Apriti cielo! Walesa, già eroe di Solidarnosc e Premio Nobel, lo definisce “satanico”, il partito dei simpatici gemelli Kaczynski (un incrocio fra Gobbels e Bombolo) è già mobilitato per impedire “Questo concer­to — ha dichiarato padre Sta­nislaw Malkowski, uno dei leader della protesta — è un attacco del diavolo alla no­stra intatta nazione cattolica e alla tradizione dei polac­chi ». Domanda: non c’è posto in Polonia per Calderolsky, Salvinznskzy e Borghezycs? Tanto pirla più, pirla meno….

http://www.corriere.it/spettacoli/09_luglio_08/walesa_contro_madonna_027eaa68-6b8f-11de-af15-00144f02aabc.shtml

Piccola città, bastardo posto

“Piccola città, bastardo posto..”, cantava il poeta di Pavana, ma alludeva alla Modena del dopoguerra, alle chiusure di una città di provincia che usciva dalla guerra e dalla miseria. Piccole città, bastardi posti è invece la weltanshauung di chi ha voluto questa legge schifosa contro i migranti. Piccole città, chiuse in sè stesse, impaurite, con il coprifuoco e le ronde in giro alla sera. Il mercato della paura tira, non risente di nessuna recessione. Del resto la ricetta è facile e precisa, ormai l’abbiamo imparata: i media strepitano, i partiti d’ordine chiedono il pugno duro, il governo taglia i fondi alle forze dell’ordine, i crimini commessi da stranieri sono enfatizzati, si fa una legge e tutto si sistema. Ronde paramilitari in giro che non costano anzichè soldi ai poveri agenti di volanti sempre meno volanti. Poi, prima o poi, ci scapperà il morto (il solito poveretto di turno) e allora qualcuno dira che sì, forse, mah..e tutto continuerà.

Io penso a quanta intelligenza potenziale sprechiamo accanendoci contro i migranti. L’italiano è nato da secoli di incontri, incroci, amori. Le nostre nonne hanno accolto e conosciuto, in senso biblico, etruschi, greci, latini, goti, longobardi, bizantini, normanni, svevi, spagnoli, francesi, austriaci, croati, albanesi e via via…Siamo figli di questa mescolanza di storie, culture, siamo il popolo più bastardo che ci sia (in tutti i sensi). E adesso? QUalcuno pensa di incrociare solo lecchesi doc con comaschi doc? Avete presente quelle vallate alpine dove per secoli si sono incrociati parenti con parenti? Cugini di I grado con cugini di II? Ricordate “Un tranquillo weekend di paura” di J.Boorman, con i poveri amici cittadini finiti nell’incubo dei Monti Appalachi perseguitati da montanari deformi e dementi? Qualcuno pensa di poter fermare il desiderio di una vita decente di milioni di persone? Qualcuno davvero crede che quest’ultima mascalzonata in forma di legge servirà a darci “sicurezza”? Ma chi ci tutela dai nostri legislatori, chi ci da la sicurezza che non facciano altri danni?

Quante intelligenze del domani rifiutiamo solo per tirar su 4 voti dalla casalinga di Voghera? I nostri figli finiranno in un call center o in bordello di lusso (se va bene), mentre India e Cina sfornano migliaia di ingegneri, fisici, chimici, matematici ogni anno. Ma noi siamo furbi, noi. Abbiamo capito il trucco: perchè studiare, faticare, basta un giochino in tv o essere di gamba svelta ed è fatta. Ognuno avrà i suoi 5 minuti di celebrità, diceva Andy Warhol, e poi via di nuovo, nel call center o nel bordello di lusso (se va bene).