Ahhhh, rieccolo…!

Ahhhh, rieccolo! Non bastava la pausa ferragostana, le boiate di bossi, i ricorsi della gelmina, ci voleva anche il ritorno del rivoluzionario in cashmere, dell’erede di Menotti Serrati: il sig.bertinotti che torna ed esterna! Non pago della lauta pensione ci invita alla riflessione, al “dibbattito”, su cosa? Ma sulla sinistra, ovvio, no?

Per l’ex presidente della Camera: “non si tratta di unire tutto quello che c’e’ adesso a sinistra, al contrario si tratta di dar vita a un’altra cosa rispetto a tutto il campo dell’esistente. Un’altra soggettivita’, che oggi non c’e'”.

(http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/BERTINOTTI-SCOMPORRE-SINISTRA-E-FONDARE-NUOVO-PARTITO/news-)

Ora, a parte l’evidente sconnessione cerebrale che testimonia un simile argomentare, degno del miglior onanismo solipsistico, mi chiedo: ne sentivamo il bisogno? Ci arrovellavamo sull’inquietante interrogativo: ma cosa dirà il compagno Fausto? Dove sarà il compagno Fausto?

No. In realtà il delirio berinottiano ci convince solo che, oggi, come allora (quando Menotti Serrati e gli altri massimalisti, i primi e migliori alleati del cav.benito) che c’è bisogno, per dirla evangelicamente, che “i morti seppelliscano i morti”, e che di simili geniali riflessioni si occupino gli psichiatri o gli psicologi sociali, meglio adusi a simili inutili elaborazioni.

Nell’attesa la classe operaia vota lega e partito delle libertà (loro). Magari questo è un problema più urgente, anche se mi rendo conto, non all’altezza della riflessione in cachemire sulla “soggettività”. Pazienza!

Arcobaleno e tormentoni

Arcobaleno su Fortezza Bastiani, dopo uno scroscio di pioggia. Arcobaleno come segnale di pace, armonia, oltre che banale effetto ottico (confesso, sono un bieco illuminista!). Ce ne vorrebbe su questo povero paese di illuminismo, a fiotti, a pioggia, a vagonate, a container. Invece sembra di regredire, giorno per giorno, verso una melma indistinta di ignoranza, violenza, arroganza.

Come previsto il tormentone ferragostano prosegue, la gelmina, lasciato il bikini (e si capisce perchè è ministra..) farà ricorso. E chi è saltata fuori, acquasanta fiammeggiante come sempre? Yes, lei, la binetti, quella che sembra pagata da AlQaeda per l’effetto che fa su un credente medio e mediocre come il sottoscritto. Come minimo stasera rifiuto l’arrosto di maiale e chiedo alla moglie couscous e magari le propongo il velo (almeno nei gioni pari). Se noi cattolici ci ritroviamo ad essere rappresentati dalla binetti, tanto vale iniziare a costruirsi la moschea qui in cortile, a Fortezza Bastiani.

Invece ci vuole pazienza (tanta), tirare un bel respiro profondo e pensare. Pensare che chi urla e strepita si sente debole ed ha paura. E per chi dice di aver Dio dalla propria parte è la peggior ammissione di sconfitta. Di cristiani (e ce ne sono) che pensano, in buona fede, che Dio non ce la fa da solo e che allora…bisogna dargli il famoso aiutino. Hanno dimenticato quella storia del “servo inutile” e hanno sostituito la carità con il codice canonico.

Mi piacerebbe una Chiesa che non abbia più paura del mondo, che ascolti i segni dei tempi, che ami davvero l’uomo nella sua completezza, anche quando non rientra nei nostri schemi ma, soprattutto quando più ha bisogno dell’aiuto di Dio che c’è sempre e comunque, anche attraverso noi, servi davvero inutili.

Ma la Chiesa è tante cose, anche belle e importanti, basta leggere l’intervento del Presidente Caritas di Reggio, Marzocchini, sulla Gazzetta, quando definisce una truffa assoluta e una vergogna nazionale lo spettacolo del Superenalotto, specchio fedele del degrado del paese in cui viviamo.

Però. Se giocando e vincendo si potesse spedire la binetti alla Mecca, dove si troverebbe così bene, quasi quasi gioco anch’io (si fa per dire).


Tormentoni: l’ora di religione

Come nel teatro d’avanspettacolo il “tormentone” era quella macchietta ricorrente che a senso, o no, interrompeva il corso della scena, così anche noi abbiamo i nostri “tormentoni”. Quello ferragostano 2009 sarà “L’ora di religione”. Il TAR del Lazio, una volta tanto, ha emesso una sentenza logica e motivata, degna di uno stato laico. La religione come materia facoltativa non deve dare adito a “crediti” e gli insegnanti relativi (designati dal vescovo, motu proprio, senza concorsi o inutili orpelli ma pagati dallo stato, cioè noi) non devono partecipare agli scrutini.

Apriti cielo! Mamma li turchi, episodio di “bieco illuminismo” (ma alla CEI chi glieli scrive i testi? Il portiere del “Bagaglino”?), discriminazione, la gelmina tuona “la religione cattolica esprime un patrimonio di storia, di valori e di tradizioni talmente importante che la sua unicità deve essere riconosciuta e tutelata. Una unicità che la scuola, pur nel rispetto di tutte le altre religioni, ha il dovere di riconoscere e valorizzare», insomma per dirla con Orwell, tutte le religioni sono uguali, ma una è più uguale delle altre. Bene. Viva.

Io, da cattolico affaticato ma praticante, condivido in pieno la sentenza del TAR. Mi piacerebbe vivere in un paese dove i vescovi facciano i vescovi (mestiere già complicato di suo), senza perdere tempo ed energie in nomine, sia che si tratti di fondazioni bancarie che di insegnanti pagati dal denaro pubblico. Un paese dove nelle scuole si insegni, con docenti formati nelle pubbliche università, la materia di “storia delle religioni” (tutte) e si lasciasse ai singoli e alle famiglia la cura dell’educazione religiosa. Il mio dissenso lo esprimo da anni, contribuendo alla auspicata povertà della Chiesa, destinando il mio 8 per mille alla Chiesa Valdese (fra l’altro fra i promotori dell’azione legale oggi conclusa dal TAR del Lazio). Vorrei una Chiesa che fosse Chiesa e uno Stato che fosse Stato. Senza Concordati, accordi vari e giochini di soldi o peggio ad intercorrere fra i due. Vorrei.

Tanto si sa come finirà, la gelmina ricorrerà al Consiglio di Stato e la questione sarà riportata nei binari della “normalità”. Soldi e potere. Business as usual.

Vigilanza democratica

In questa povera Italia governata da bossi-calderoli-marroni con il vecchio satiro che ci mette la faccia, bisogna passare a piccole azioni significative. Intanto appena si sente qualcuno dichiarare di aver votato lega, intervenire subito con frasi del tipo: “Oh, e io che pensavo che lei fosse una brava persona” oppure “mi scusi, provi a vergognarsi, appena un po’..”, fino a “Niente di male, c’è anche chi sgozza sua madre..”. Potremmo dotarci di T-shirt (da togliere al momento del bagno, mi raccomando!) con scritto: “Sono del nord ma non sono leghista” o il classico “chi vota lega sporca anche te, digli di smettere”.

Sull'”informazione” (si fa per dire) di oggi leggo una sapida intervista a tal don gaetano incerti, sì l’anziano cappellano delle Reggiane. Dichiara di votare lega e che il premier “è stato tonto a farsi beccare.” Lo ringrazio per le lezioni di morale cattolica che testimonia quanto ferma e fondata sia la sua fede kattolica, aspettiamo una bestemmia in diretta. Vista l’età non ci attentiamo a indicargli dove dovrebbe andare, ma lo invito a leggere “Avvenire” di oggi (foglio notoriamente bolscevico) laddove sottolinea come “La messa in mora di uno stile sobrio ha causato alla Chiesa cattolica mortificazione e sofferenza” (sullo stile letterario del foglio della CEI torneremo un’altra volta, per ora mi piace ricordare che qualcuno disse “il vostro parlare sia si/si, no/no, tutto il resto appartiene al demonio…).

Il mistero della maglietta bianca

Chiedo scusa se qualche minorenne incapperà in questo post. Vorrei parlare di bondi, sì del gommoso e viscidoso sedicente Ministro dei Beni Culturali. Mettere un simile figuro a dirigere un Ministero simile in Italia sarebbe come affidare la Banca Mondiale a Pappagone, ma tant’è, questi sono i tempi…

Ma sul viscidoso si è aperto un piccolo mistero, aperto dal solito paparazzo che si guadagna la vita beccando i vip (very important pirla) in vacanza qui o là. Il viscidoso (che ricordiamo defensor fidei et familiae) è stato beccato al mare con la sua nuova “compagna” una pimpante deputata del Partito della libertà (loro) per la quale ha lasciato la signora bondi. Come nel solito plot del deputato e uomo di potere. Ma passi. Lo spirito è forte, la carne è debole, il viscidoso ha anche lui un suo cotè sentimentale eccetera.

Fin qui tutto normale. La solita ipocrisia, con benedizione CEI, di chi ce la mena con la famiglia e poi fa quello che ormoni e pisello reclamano.

Ma se vedete le foto (lo so, ci vuole coraggio) noterete una cosa: il viscidoso veste una bianca T-shirt sempre, sullo yacht, in acqua, fra le braccia della fortunata deputata concubina. Una T-shirt bianca. Anche in acqua. Perchè? Il mistero si infittisce. Il Corriere della Sera che riporta le edificanti immagini non ce lo dice.

Lancio quindi un concorso a premi: indovinate perchè il viscidoso non si toglie la T-shirt. Le prime ipotesi:

1. Per non mostrare un enorme tatuaggio con la Carfagna impegnata nelle sue attività meritorie che le sono valse la poltrona (e il letto) di Ministro.

2. Per non mostrare un enorme tatuaggio fatto nel 1980 con una grande falce e martello e il motto “Lotta dura senza paura”, risalente ai bei tempi del PCI, di cui Bondi fu solerte amministratore.

3. Per non mostrare il suo difetto congenito: 3 capezzoli che fanno il paio (per somma algebrica) con lo zero cerebrale che lo contraddistingue.

Inviate le vostre risposte a Fortezza Bastiani, in palio la collezione degli articoli dell’ing.Filippi in campagna elettorale, rilegato in marocchino rosso (che non è la pelle di un extracomunitario comunista…). Attendo curioso….

Mi piacerebbe…

Mi ero appisolato nel meriggiare stanco e assorto. Nel dolce dormiveglia mi venivano in mente cose che mi piacerebbe fossero vere, o almeno possibili. Ho aperto un occhio, ho guardato il cielo, attraversato da una nuvola che sembrava un braccio alto levato. Mi sono riappisolato.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove chi non paga le tasse viene considerato un ladro e non un furbo.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove il termine “merito” valga per tutti, dove, davvero, anche il figlio di un immigrato possa diventare Presidente di qualcosa (se del Consiglio tanto meglio).

Mi piacerebbe vivere in un paese che si accorgesse che la cultura è decisiva  per il suo futuro e che potremmo vivere quasi di rendita mettendo a frutto il nostro patrimonio storico e artistico.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove un cattolico possa essere libero cittadino in libero stato, senza dover temere ogni giorno le reprimende di qualche represso pastore dismesso.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove arrangiarsi, fregare, farsi furbo, confondere privato e pubblico siano cose inconciliabili con la morale pubblica (e privata che è la stessa cosa).

Mi piacerebbe vivere in un paese dove ci fosse una morale.

Mi piacerebbe vivere in un paese di cui non devo vergognarmi ogni volta che vado all’estero.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove i vescovi non debbano nominare membri in consigli di amministrazione di fondazioni bancarie o simili.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove i dirigenti debbano rispondere concretamente del loro operato e del loro stipendio.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove non possa esistere un gioco d’azzardo che promette ai cittadini 130 milioni di euro di vincita.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove prevalga l’etica della responsabilità.

Intanto continuo il mio pisolino, lasciando ai sogni il loro spazio (economico e politico) secondo il principio che “i sogni son desideri..di felicità”.

Dialetto a scuola? (G.Caliceti)

La solita politica scolastica eversiva-diversiva del governo. Lo scorso anno il ritornello dell’estate inventato dalla Gelmini era: ritorno al grembiulino a scuola, sì o no? Si è andati avanti su tutti i giornali per settimane fino all’inizio dell’anno scolastico, con questo giochetto. Sembrava questione di vita e di morte.

Quest’anno è stata la Lega a trovare il motivetto che piace tanto ai giornali e all’opinione pubblica: il dialetto. In tutte le sue versioni: dialetto a scuola? Test di dialetto per i docenti del sud? Motivetto che Gelmini non si è fatta scappare e ha subito rilanciato in numerose variazioni. Il fine di questa politica-scolastica è sempre lo stesso: distrarre l’opinione pubblica per perpetrare i tagli economici e dei docenti già iniziati lo scorso anno.

La funzione della Lega è quella del palo: distogliere l’attenzione, mentre si compie il «furto» della scuola pubblica. Insegnare il dialetto o fare un test ai docenti arruolati a seconda delle regioni italiane in cui entrano di ruolo è una cosa assurda: se non altro perché in Italia esistono migliaia di dialetti e ognuno ha una sua variazione; di più, spesso ci sono differenze di pronuncia e di cadenza. Però è vero che attraverso la questione del dialetto ci si avvicina al disegno finale: lo smantellamento totale della scuola pubblica italiana. Dalla sua autonomia si passerà alla sua regionalizzazione sempre più feroce: una volta smantellata e indebolito mortalmente il suo centro, la scuola pubblica italiana sarà affidata alla buona e cattiva sorte dei suoi amministratori locali. Diventerà sempre più luogo di mercificazione del sapere e di scambio di favori e potere, un po’ come è già avvenuto con la regionalizzazione del sistema sanitario nazionale.

Si tende sempre a prendere con sufficienza e come boutade le idee della Lega, o come goliardiche provocazioni che prima o poi rientreranno. In realtà sono la vera matrice ideologica di questo governo, la più sincera. L’ideologia è semplice: il razzismo, la guerra dei più deboli contro i più deboli per creare movimentismo, per fare propaganda, per riscaldare gli animi. Mi stupisco che in Italia non ci sia ancora un partito o un movimento politico che dichiari esplicitamente il ripristino della pena di morte. Tutti sappiamo che, da sempre, in quasi tutti i paesi del mondo – democratici o no, occidentali o no – se si facesse un referendum sulla pena di morte vincerebbero i favorevoli.

Anche nel nostro paese sarebbe così. Ma da quando l’Italia è Repubblica, per una sorta di patto – se non antifascista, comunque civile – nessuno ha mai tirato fuori un partito o un movimento del genere, che tra l’altro sarebbe fortemente osteggiato dalla Chiesa. Stessa cosa, per anni, è accaduto sul tema del razzismo: nessun partito o movimento poteva cavalcare i bassi istinti per creare consenso. Ma adesso questo argine, questo confine, non c’è più, siamo nell’era dell’indecenza. Chi, tra i docenti, pensava che la Lega e il governo di centrodestra si accontentassero di qualche poeta dialettale inserito nelle antologie e nei libri di lettura di scuola per alunni e studenti, si deve ricredere. E il razzismo non guarda in faccia a nessuno. Ieri si scagliava contro gli extracomunitari, oggi contro i docenti e i presidi meridionali. E domani?

Lettera aperta alla gelmini (C.Magris)

Dante e Verga? Basta. Mi son de Trieste

Ministro, cambiamo i programmi: «El moroso de la Nona» al posto della Divina Commedia

Signor ministro, mi permetto di scriverLe per suggerirLe l’opportunità di ispirare pure la politica del Ministero da Lei diretto, ovvero l’Istruzione — a ogni livello, dalla scuola elementare all’università — e la cultura del nostro Paese, ai criteri che ispirano la proposta della Lega di rivedere l’art. 12 della Costituzione, ridimensionando il Tricolore quale simbolo dell’unità del Paese, affiancandogli bandiere e inni regionali. Programma peraltro moderato, visto che già l’unità regionale assomiglia troppo a quella dell’Italia che si vuole disgregare.

Ci sono le province, i comuni, le città, con i loro gonfaloni e le loro incontaminate identità; ci sono anche i rioni, con le loro osterie e le loro canzonacce, scurrili ma espressione di un’identità ancor più compatta e pura. Penso ad esempio che a Trieste l’Inno di Mameli dovrebbe venir sostituito, anche e soprattutto in occasione di visite ufficiali (ad esempio del presidente del Consiglio o del ministro per la Semplificazione) dall’Inno «No go le ciave del portòn», triestino doc.

Ma bandiere e inni sono soltanto simbo­li, sia pur importanti, validi solo se esprimo­no un’autentica realtà culturale del Paese. È dunque opportuno che il Ministero da Lei diretto si adoperi per promuovere un’istru­zione e una cultura capaci di creare una ve­ra, compatta, pura, identità locale.

La letteratura dovrebbe ad esempio esse­re insegnata soltanto su base regionale: nel Veneto, Dante, Leopardi, Manzoni, Svevo, Verga devono essere assolutamente sostitui­ti dalla conoscenza approfondita del Moro­so de la nona di Giacinto Gallina e questo vale per ogni regione, provincia, comune, frazione e rione. Anche la scienza deve esse­re insegnata secondo questo criterio; l’ope­ra di Galileo, doverosamente obbligatoria nei programmi in vigore in Toscana, deve essere esclusa da quelli vigenti in Lombar­dia e in Sicilia. Tutt’al più la sua fisica po­trebbe costituire materia di studio anche in altre regioni, ma debitamente tradotta; ad esempio, a Udine, nel friulano dei miei avi. Le ronde, costituite notoriamente da pro­fondi studiosi di storia locale, potrebbero essere adibite al controllo e alla requisizio­ne dei libri indebitamente presenti in una provincia, ad esempio eventuali esemplari del Cantico delle creature di San Francesco illecitamente infiltrati in una biblioteca sco­lastica di Alessandria o di Caserta.

Per quel che riguarda la Storia dell’Arte, che Michelangelo e Leonardo se lo tengano i maledetti toscani, noi di Trieste cosa c’en­triamo con il Giudizio Universale? E per la musica, massimo rispetto per Verdi, Mozart o Wagner, che come gli immigrati vanno be­ne a casa loro, ma noi ci riconosciamo di più nella Mula de Parenzo, che «ga messo su botega / de tuto la vendeva / fora che bacalà».

Come ho già detto, non solo l’Italia, ma già la regione, la provincia e il comune rap­presentano una unità coatta e prevaricatri­ce, un brutto retaggio dei giacobini e di quei mazziniani, garibaldini e liberali che hanno fatto l’Italia. Bisogna rivalutare il rio­ne, cellula dell’identità. Io, per esempio, so­no cresciuto nel rione triestino di Via del Ronco e nel quartiere che lo comprende; perché dovrei leggere Saba, che andava inve­ce sempre in Viale XX Settembre o in Via San Nicolò e oltretutto scriveva in italiano? Neanche Giotti e Marin vanno bene, perché è vero che scrivono in dialetto, ma pretendo­no di parlare a tutti; cantano l’amore, la fra­ternità, la luce della sera, l’ombra della mor­te e non «quel buso in mia contrada»; si ri­volgono a tutti — non solo agli italiani, che sarebbe già troppo, ma a tutti. Insomma, so­no rinnegati.

Ma non occorre che indichi a Lei, Signor Ministro, esempi concreti di come meglio distruggere quello che resta dell’unità d’Ita­lia. Finora abbiamo creduto che il senso pro­fondo di quell’unità non fosse in alcuna con­traddizione con l’amore altrettanto profon­do che ognuno di noi porta alla propria cit­tà, al proprio dialetto, parlato ogni giorno ma spontaneamente e senza alcuna posa ideologica che lo falsifica. Proprio chi è pro­fondamente legato alla propria terra natale, alla propria casa, a quel paesaggio in cui da bambino ha scoperto il mondo, si sente pro­fondamente offeso da queste falsificazioni ideologiche che mutilano non solo e non tanto l’Italia, quanto soprattutto i suoi innu­merevoli, diversi e incantevoli volti che con­corrono a formare la sua realtà. Ci riconosce­vamo in quella frase di Dante in cui egli dice che, a furia di bere l’acqua dell’Arno, aveva imparato ad amare fortemente Firenze, ag­giungendo però che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare. Sbagliava? Oggi certo sembrano più attuali altri suoi versi: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».

Con osservanza

Claudio Magris

Che dire al maestro? Grazie.

(http://www.corriere.it/cultura/09_agosto_07/dante_verga_claudio_magris_2bef846e-8316-11de-ac4b-00144f02aabc.shtml)

Parole, inni e bandiere

Torniamo un attimo sull’ultima bufala dei legonzi (inni e bandiere regionali). Abbiamo riso perchè la prima reazione è quella, inevitabile, che si ha di fronte allo scemo del paese che dice le sue corbellerie. Si ride. Poi, però, ci si pensa, magari si prova pena per il poveretto così svantaggiato dalla natura e forse ci si vergogna un po’ della risata appena risuonata.

Lo stesso con i legonzi, sparano le loro corbellerie, li compiangiamo, facciamo battute sull’arioso vuoto nella loro scatola cranica. Però. Come altre volte in questi anni, hanno ottenuto il risultato che volevano e noi non siamo stati in grado di far nulla. Hanno spostato un poco più avanti il confine della decenza, hanno pronunciato l’indicibile, hanno pervertito il dizionario condiviso. Hanno piantato la loro bandierina verde un poco più avanti verso la dissoluzione della nostra Nazione, delle nostre comunità. Cos’è in fondo questo se non una sorta di terrorismo linguistico?

Le ronde: togliere allo Stato il monopolio della violenza, uno dei pilastri dello Stato di diritto. Farsi giustizia da sè. La tribù si organizza e colpisce lo straniero. Fatto.

Il dialetto: rompere il collante naturale della lingua nazionale per riportarci all’epoca preunitaria. Poco importa se non si sa neppure cosa siano i dialetti e il loro rapporto con la lingua nazionale. Insegnare il dialetto locale. No all’italiano, no all’Italia. Fatto.

La fallocrazia: certo ora l’Europa ride/piange sull’Italia governata da un vecchio satiro, ma l’esaltazione del “celodurismo”, del braccio alzato a mimare padane erezioni, dove l’abbiamo vista? Il leader verde (fra l’altro-si dice- rimasto offeso proprio nel corso di una dimostrazione delle suddette doti con italica soubrette) fu il precursore: in fondo il vecchio satiro è stato solo il ripetuto “utilizzatore finale” dell’oggetto così vantato. Donne come oggetti usa e getta. Fatto (anzi fallo).

Il razzismo: dai bar della valtrompio agli autobus e metro milanesi, le sparate di Borghezio e i cori di Salvini. Dalli al nero, al marocchino, all'”altro”. Basta leggere le cronache della nostra “informazione”(si fa per dire) e sentire le bordate dei nostri legonzi contro rom/sinti e immigrati. Fatto.

La violenza: abbiamo riso quando quattro pirla serenissimi arrivarono con un trattore truccato da tank in piazza S.Marco. Io ho avuto i brividi. I simboli sono più forti dei fatti, spesso, anche se non ce ne accorgiamo. E i proiettili vantati sempre dal leader padano? Non bastano le parole? Abbiamo le armi. Fatto.

E ora gli inni e le bandiere. Bufala, boiata, demenzialità. Certo. Però. Chi ha un inno e una propria bandiera? Uno stato indipendente. Anche la Transnistria ce l’ha. Uno stato indipendente. Secessione. Fatto.

E noi ridiamo, abbozziamo, facciamo battute sul cervello (presunto) di calderoli. Intanto, senza accorgersene, ci troviamo ogni giorno ad inseguire una nuova realtà su terreni ignoti, inseguire gli altri. In difesa. Discutiamo sulle bandiere mentre il paese si sta decomponendo, senza riuscire a trovare un punto comune da cui ripartire. Viviamo un momento drammatico in cui ogni parte del paese sembra riscoprire il proprio peggio: il nord l’egoismo becero e ignorante degli arricchiti, il sud l’assistenzialismo piagnone e corrotto del vecchio familismo amorale.

Magari si riuscisse a proporre qualcosa, noi, l’opposizione, quelli che sono convinti che ci sia spazio per raggiungere l’Europa, che non sia tutto perduto.

Comunque nel chiuso delle sue mura Fortezza Bastiani sta già allestendo il proprio inno (indeciso fra Einaudi, Wagner e Paolo Conte) e la propria bandiera (un drappo verde: tranquilli, il verde non è nè padano nè islamico, è semplicemente…economico, del resto cosa posso chiedere? Mica sono un dirigente comunale…)

E la bandiera dei tre colori….

Qui a Fortezza Bastiani la sera è fresca, la luna è piena. In lontananza le note di una qualche festa estiva, un valzer forse o una mazurca. Musiche di altri tempi quando per divertirsi bastava poco. Adesso invece siamo complicati, in bilico fra la farsa e la tragedia. In questo la lega (che, come dice mio figlio, non merita neppure la maiuscola) tiene alto il livello comico. Pagliacci a piede libero i leghisti, squallide maschere del disfacimento morale e politico di un paese che non è mai stato un esempio di rigore.

L’ultima è contro il Tricolore. Ora, per quanti mi conoscono sanno bene la mia scarsa simpatia verso le operazioni trasformistiche condotte proprio a Reggio da bolsi ex comunisti, pronti a riciclarsi come strenui difensori del vessillo nazionale. Buffoni e opportunisti. Però. Però non posso scordare Giorgio Morelli, il “Solitario” che entra a Reggio il 24 aprile su una vecchia bicicletta e porta il Tricolore in Comune. Non posso dimenticare la commozione dei tanti emigranti (avi incolpevoli della massa di cefalopenici leghisti) in tante parti del mondo di fronte alla loro bandiera.

Adesso questi tragici buffoni se ne escono con la necessità di modificare l’articolo 12 della Costituzione per dare spazio ai “vessilli regionali”. Crisi economica devastante, cassa integrati, un premier-satiro ormai scaricato anche dai congiunti, zone intere del paese in mano alla criminalità organizzata e questi legonzi cosa vanno a pensare? Alle bandiere regionali?

Superata la spiacevole senzazione di essere presi per i classici fondelli, con l’ennesima trovata per gonzi della Valtrompio, raccolgo la sfida e propongo alcuni dei nuovi vessilli che garriranno sulle torri delle capitali regionali.

Lombardia: una casseula fosforescente verde su fondo grigio topo color aria di Milano.

Piemonte: Il profilo del seno plastico di Simona Ventura su fondo color gianduiotto.

Veneto: fondo color polenta, con osei azzurri in volo.

Liguria: verde pesto

Emilia: a strisce orizzontali bianche verdi rosse arancio (besciamella, pasta, ragù e formaggio gratinato).

Toscana: una fiorentina fumante su un fondo rosso Chianti.

Lazio: nera con un bel fascio che sorge dal Colosseo

Campania: un Kalashnikov adagiato su una pizza alla Napoli

Sicilia: una coppola e il motto “Il sordo, il cieco, il muto campano cent’anni in pace”

Sardegna: una villa con 64 tette al vento.

Finalmente! Così procede la putrefazione del belpaese, fra legonzi in preda a fumi alcoolici, un premier in perenne (o attesa) erezione e code di gitanti sulle autostrada. Che meraviglia!

Per fortuna qui a Fortezza Bastiani la sera è fresca, la luna è piena e c’è una musica nell’aria, che sia l’inno comunale di Casina? O forse quello di Carpineti? Approfondirò…